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Mercoledì, 05 Dicembre 2018 12:42

“Lu dottori Carchidi”, il compianto medico serrese raccontato dal figlio Enzo

Scritto da Salvatore Albanese
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Ha già destato grande attesa e interesse la pubblicazione ormai imminente de Lu dottori Carchidi, ritratto inedito di un “uomo giusto” che per decenni rappresentò un punto di riferimento indiscusso per tutta la comunità di Serra San Bruno e non solo. Nazzareno Carchidi, medico serrese, professionista esemplare e onesto pronto a farsi letteralmente in quattro pur di dare risposta alle istanze di salute dei suoi concittadini, decine e decine, centinaia di persone che quotidianamente si appellavano a lui per ricevere consigli e cure di ogni genere. Perché il compianto dottore Carchidi non era un semplice medico di famiglia, era un medico “vecchio stampo” capace però di un’umanità smisurata, tanto quanto la sua competenza e professionalità. Medico, odontoiatra, perfino ortopedico pronto a porre rimedio ai più disparati casi di frattura ricorrendo anche a metodi e strumenti rudimentali, ben distanti da quelli forniti dalla medicina moderna.

Ma al di là della professionalità e della disponibilità sconfinata e dalla condotta deontologicamente ineccepibile, capace di trascurare anche gli affetti più cari pur di spendersi in ogni momento e in ogni modo per la collettività, il dottore Nazzareno Carchidi era soprattutto figura di grande umanità e carisma anche fuori da quello che era il contesto medico sanitario. Dotato di una spiccata intelligenza emotiva che gli permetteva di relazionarsi con chiunque in maniera appropriata e rispettosa, mai fuori dalle righe, il tutto condito da un’ironia sottile, mai denigratoria. Insomma, quello che nel lessico più attuale avremmo definito un leader di comunità, che oltre a medico, in fasi diverse della sua vita, era stato anche insegnante, politico e amministratore apprezzato.

A raccontarlo, in chiave del tutto inedita, in Lu dottori Carchidi, la cui uscita è prevista a ridosso della settimana di Natale, è il figlio Enzo, secondogenito di tre maschi. Enzo, non nuovo nell’indossare i panni dello scrittore (di recente ha dato alle stampe il romanzo Al di là della seduzione e il saggio Il pazzo e gli sciocchi) scava questa volta nei suoi ricordi più intimi, per consegnare ai lettori la figura già celebre del dottore Carchidi ma in chiave inedita, come solo chi lo ha realmente vissuto in una dimensione affettiva intima e familiare potrebbe fare, da una posizione “privilegiata” della quale può godere solo un figlio che racconta un padre.

Un libro fatto di aneddoti, curiosità, aspetti più celati della figura del dottore Carchidi e che ricorre anche all’ausilio delle immagini per arricchire la narrazione. Proprio in tal senso, lo stesso Enzo ha lanciato di recente un appello affinché chiunque in possesso di fotografie del padre possa contribuire alla stesura dell’opera prossima alle stampe. La prima tiratura sarà riservata a chiunque voglia prenotare il libro entro il prossimo 10 dicembre, rivolgendosi alla cartolibreria “Elena Barillari” in corso Umberto I a Serra San Bruno oppure online cliccando qui.

Con il breve contributo che segue Enzo Carchidi ha anticipato al Vizzarro i contenuti del suo nuovo libro.

Avevo più di 20 anni quando ho cominciato a capacitarmi del fatto che andare in ospedale fosse qualcosa di diverso dall’essere più o meno “spacciati”.
D’altronde era più o meno di quel tipo l’esperienza che fino ad allora avevo fatto osservando come andavano le cose nell’ambulatorio di mio padre, lu dottori “Zenu” Carchidi: quando non si trattava di casi davvero disperati era raro che rinunciasse ad intervenire personalmente.
Ed anche in quelle circostanze evitava quanto più poteva di starsene con le mani in mano. Ricordo in particolare il rassegnato tentativo – di cui sono stato diretto testimone in tenerissima età - di arginare in qualche modo le ferite (evidentemente insanabili) di un bambino cui era caduta in testa, da un albero, una sbarra di ferro che gli aveva fracassato il cranio. O quando, nell’attesa che arrivasse l’elicottero dei Carabinieri per trasportare d’urgenza il paziente all’ospedale di Messina, aveva ripulito le lesioni con una tale cura da meritare le lodi sperticate dell’intero reparto – d’eccellenza - di neurochirurgia (il ragazzo – che è anche fratello di un mio caro amico – si è salvato, e adesso è a sua volta un medico).
Insomma, per fortuna capitava solo di tanto in tanto che si arrendesse a pronunciare – con evidente espressione di partecipato rammarico – la fatidica frase “lo dobbiamo ricoverare” o che consigliasse una radiografia. Ma quando lo faceva… era raro che il paziente ne uscisse vivo.
Già: parliamo di tempi (e forse anche di luoghi) in cui il medico trattava con i pazienti, non con le analisi e gli esami di laboratorio. Il famoso “occhio clinico” valeva più di mille lastre e di molti sofisticati “accertamenti”.
Allo stesso modo, gli bastava perfino uno sguardo veloce per sentenziare, con un largo sorriso: “Fesserie!” di fronte a malanni di poco conto, o di lesioni magari appariscenti ma effettivamente non gravi.
Quel che osservavo, fin da bambino, era la sua capacità, davvero straordinaria, di immedesimarsi nella situazione del paziente (e dei suoi parenti), condividendone i dolori (o le gioie) con un’empatia talmente robusta e genuina da infondere comunque serenità e sicurezza.
Non so se era soltanto perché amava la sua missione o perché, semplicemente, amava le persone.
Sinceramente non mi sentirei di nutrire alcun dubbio né sull’una né sull’altra cosa.
Era un medico preparato e intelligentissimo. Ma, prima ancora, era un uomo sincero, disponibile, umile e buono.
Ed è dell’uomo, ovviamente, non del medico, che intendo parlare.
E parlerò da figlio. Con tutto l’affetto del caso, ma anche con il fermo proposito di non idealizzarne la figura in maniera eccessiva. 
Anche perché rischierei di fargli un torto: se lo descrivessi come un uomo assolutamente “perfetto” potrei rendere meno credibili le reali qualità della persona. Certamente tali da far passare quasi inosservate le sue idiosincrasie, le sue debolezze, e i suoi limiti.