Lunedì, 07 Ottobre 2019 20:20

Serra San Bruno città del Fungo

Scritto da Salvatore Albanese
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Il concetto di “evento”, nonostante si viva oggi un periodo di tagli e risparmi in tutti i settori dell'offerta culturale delle città, è un concetto inflazionato, usato spesso per definire la realizzazione di iniziative e manifestazioni che non poggiano su grandi idee, che non suscitano l’attenzione e l’aggregazione di grandi pubblici, che non sono ispirate da grandi missioni, che non conducono a grandi esiti. E l'aggettivo “grande”, sia chiaro, non deve intendersi in termini meramente quantitativi. La maggior parte degli eventi proposti, soprattutto nel corso della stagione estiva, sono destinati a non lasciare alcuna traccia, sono decontestualizzati, anacronistici, inefficaci (perché non conducono al raggiungimento di un obiettivo prefissato, anzi quasi mai hanno un obiettivo prefissato) ed inefficienti (molte manifestazioni comportano l’impiego di risorse pubbliche importanti, per un ammontare spesso ingiustificato se comparato ai risultati, ai benefici effimeri che – una volta calato il sipario – lasciano al territorio).

Non è certo questo il caso, anzi tutt'altro, della Festa del Fungo promossa dalla Pro Loco di Serra San Bruno (che merita ben più di un applauso), la cui VI edizione è andata in scena durante lo scorso fine settimana. Un’iniziativa culturale, questa sì, che si è confermata sui livelli positivi degli anni precedenti: capace di appagare il desiderio di socialità e partecipazione della comunità locale e, allo stesso tempo, di attrarre un numero consistente di turisti e visitatori. La Festa del Fungo, a poco più di un lustro di vita, è diventata appuntamento vincolante, obbligatorio, al pari delle feste “comandate”, capace di suscitare un senso di coesione che porta a partecipare in maniera naturale, a rispettare e vivere un senso del tempo unitario. Si sta insieme e si onora, come se non si trattasse di un fatto laico, il palinsesto delle attività “imposto” dalla Festa. In termini di marketing urbano l'iniziativa non vive ormai il problema del “pubblico” ed è quasi scontato che si arrivi al successo di presenze; l’unica variabile in tal senso resta legata all’aleatorietà dei fenomeni atmosferici. Insomma, quello della Festa del Fungo della Pro Loco di Serra San Bruno è un format che piace, di successo, che conta su un rapporto virtuoso con la comunità, con le attività produttive locali e con un territorio che non è soltanto location, ma è materia dell’evento. Questo anche perché intendiamo il fungo come elemento identitario della nostra cultura, della nostra storia, non solo dal punto di vista alimentare (il concetto comprende infatti anche gli esemplari non commestibili) benché non si sia mai pensato di identificare i “nostri funghi”, frutto della catena montana delle Serre, come prodotto unico, degno di tutela e riconoscimento.

È allora assolutamente certo, anche se non si è ancora verificato, che il destino della Festa del Fungo di Serra San Bruno sia quello di essere, da qui a poco, riconosciuta come evento storicizzato dalla Regione Calabria. Il che – maturati i tempi – consentirebbe alla manifestazione di essere inserita nella graduatoria delle attività e degli eventi culturali stilata annualmente dal dipartimento Turismo e, di conseguenza, vorrebbe dire incrementare ancora di più i livelli di partecipazione e diffusione extraterritoriale, ampliare ulteriormente la qualità e la durata dell’evento, ma anche poter contare su fondi di certo più consistenti rispetto a quelli di cui dispone attualmente la Pro Loco, capace di raggiungere gli eccellenti risultati attuali quasi a costo zero. Da qui potrebbe innescarsi un meccanismo che porterebbe la città, tutta, ad un enorme salto di qualità.

Fa riflettere non poco il fatto che proprio nel corso dell’edizione della Festa appena conclusa (come già abbiamo riportato qui) la ricerca dei funghi da esporre nella mostra micologica fulcro dell’evento ha portato venerdì scorso alla “scoperta” di un esemplare «rarissimo, dall’odore di cocco, che non è mai stato catalogato e che sarà oggetto di studio». Ecco, una circostanza del genere (se confermata) rende l’idea di quali sono i potenziali reali margini di sviluppo che un evento come la Festa del Fungo apre al territorio. Perché – ci spingiamo molto oltre la semplice storicizzazione che soprattutto porterebbe, come detto, a contare su qualche aiuto finanziario e istituzionale in più – in tal caso si aprirebbero scenari enormi. L’occasione sarebbe allora quella di passare ad una Festa “permanente”, non più intesa come evento di tre giorni all’anno, ma come volano attorno al quale costruire un’immagine nuova della città: la città del fungo (un po’ come Diamante e la sua Accademia internazionale del peperoncino). Ed una città del fungo degna di tale nome dovrà essere un luogo di riferimento per gli esperti del settore, per i micologi e gli appassionati, per le Università e i centri di ricerca naturalistica, per chiunque del ramo è capace di pensare al fungo non solo come il porcino buono da mangiare nel risotto (che già non è poco) ma come oggetto di studio scientifico. Gli attori delle scienze naturali e di quanto ruota attorno alla micologia guarderebbero quindi a Serra San Bruno e ai boschi delle Serre come un campo privilegiato di studio e osservazione diretta. E la città, dal canto suo, dovrebbe iniziare a calarsi in questi panni, dovrebbe prepararsi a saper trasmettere quanto già sa del fungo ma utilizzando mezzi e strumenti adeguati. Ad esempio, perché, piuttosto che tentare di riempire gli edifici già disponibili sul territorio con la roba vecchia degli abbaini e degli scantinati dei cittadini “benefattori”, non si pensa all’istituzione di un museo del fungo? A tal fine, quale spazio migliore dell’ex carcere mandamentale la cui ristrutturazione è costata un milione di euro di fondi pubblici e che dal 2014, anno di consegna dei lavori, resta di fatto vuoto ed inutilizzato? Un luogo in cui coniugare ogni possibile declinazione del tema fungo e del suo studio: una casa della filosofia, della letteratura, dell'economia, del diritto, della storia, della geografia, della scienza del fungo. Un luogo in cui esporre ceppi riproducenti le specie più comuni e più rare, commestibili e non commestibili dei funghi del territorio delle Serre, con apparecchiature informatiche collegate in rete in grado di connettersi a banche dati multimediali riguardanti il nostro patrimonio naturale e la micologia in generale, una biblioteca e un archivio multimediale scientifico-naturalistico a disposizione dei visitatori del centro per la consultazione, una sala conferenze attrezzata per incontri e dibattiti scientifici, laboratori per esperienze di didattica ambientale, le escursioni per toccare con mano le vie del fungo, manifestazioni di ricerca e raccolta e chissà quanto altro ancora. Un luogo che metta in comune al suo interno sapere e culture condivise tra cittadini e micologi; che metta in circolazione al suo esterno nuovi valori e messaggi da associare alla città. Vorrebbe dire nascere come cosa nuova, ma nascere da “dentro” la città, dalla sua identità e dalla sua storia. Vorrebbe dire progettare con le persone e con le loro tradizioni (gli usi locali e la conoscenza delle diverse specie di funghi, la conservazione, l’alimentazione, i riti, le credenze, una “mappatura” del bosco e delle zone in cui sono presenti alcuni esemplari piuttosto che altri, eccetera, eccetera). Sarebbero sterminati i campi in cui si potrebbe spaziare, nel pieno rispetto delle vocazioni e della cultura della città, del suo “genius loci”. Avviare dinamiche del genere significherebbe superare l’occasionalità, il localismo, il passatismo. Significherebbe creare un circuito virtuoso che dia benefici costanti al territorio e a chi lo abita, attirare ogni giorno persone (di scienza e non) interessate a noi, al nostro paese, alla nostra identità, ai nostri luoghi, ai nostri funghi.

 

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