Venerdì, 24 Maggio 2019 09:33

Da Camaldoli a Serra San Bruno, ecco i «boschi sacri» d'Italia

Scritto da Bruno Greco
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Foto di Biagio Tassone Foto di Biagio Tassone

Il rischio che le cose possano finire a causa della spregiudicatezza umana è una sensazione così tangibile che è giunto il tempo di pensare ai “comandamenti” per affrontare l’oramai ordinaria “questione ambientale”. Regole ferree che rappresentano un paradosso, perché, in fondo, la convivenza tra natura ed essere umano non avrebbe bisogno di fondarsi su direttive imposte ma piuttosto verificarsi naturalmente. Il delicato argomento è stato affrontato nell’inserto Scienze in uscita ieri (come ogni giovedì) con il quotidiano La Repubblica. Sono 200 le regole – o meglio «piccoli gesti quotidiani» come li definisce il naturalista britannico Chris Packham – ai quali ognuno di noi, senza troppi sforzi, potrebbe sottostare per salvare la natura. Comportamenti virtuosi che stanno alla base di un Manifesto stilato con il supporto di 17 studiosi: «Il mio – ha dichiarato Packham – è un manifesto della gente, non dei governi. Anche perché non c’è bisogno di aspettare che si muova la politica». Alcuni semplici esempi? Far crescere i fiori selvatici nel giardino di casa, creare uno stagno in ogni stabilimento industriale, far adottare un albero dai bimbi delle scuole, ridurre lo spreco di cibo. Niente di trascendentale e che per produrre cambiamenti necessiterebbe inizialmente solo della volontà del 3,5% della popolazione.

I BOSCHI SACRI, DA CAMALDOLI A SERRA SAN BRUNO Legato all’argomento affrontato con l’intervista al naturalista Packham, Repubblica in Scienze ha dedicato ampio spazio al lavoro del professor Roberto Mercurio, ordinario di selvicoltura all’Università Mediterranea di Reggio Calabria e autore di un ebook dal titolo “Il valore religioso dei boschi”. L’esperto si è occupato di censire 20 aree attigue a dei monasteri, partendo dall’Eremo di Camadoli, vicino ad Arezzo, fino ad arrivare a Serra San Bruno, unico centro del Sud Italia censito assieme al Santuario di monte San Michele Arcangelo in provincia di Foggia. Un accostamento al Manifesto di Packham per nulla casuale se si pensa al rapporto millenario tra alcuni siti religiosi e la natura, dove le “regole non dette” per preservare l’ambiente si rispettano praticamente da sempre. La natura in alcuni luoghi sacri (dove si cammina tassativamente a piedi e si mantiene il silenzio) ha avuto una funzione primaria visto anche il suo ruolo diretto con il trascendente: «I francescani – sono le parole di Mercurio – vietavano il taglio degli alberi nelle cosiddette “Selvette”, quelle porzioni di bosco che crescevano a lato dei monasteri e che servivano come ambienti di contatto con la bellezza del creato». Le piante e gli alberi presenti in alcuni luoghi sacri vantano ancora oggi le caratteristiche genetiche più antiche, maggiore resistenza ai parassiti e ai cambiamenti climatici. «Un po’ come è già accaduto – prosegue l’articolo – all’abete bianco presente attorno al monastero (la Certosa, ndr) di Serra San Bruno. Questi alberi hanno dimostrato una notevole capacità di adattamento allo smog – ha raccontato ancora Mercurio – a partire dagli anni Ottanta questa specie è entrata in una fase di declino in tutta Europa ma non in Calabria, dove ha saputo adeguarsi alle nuove condizioni ambientali». L’abete bianco di Serra San Bruno dunque come la cryptomeria della foresta sacra giapponese e il rovere del bosco del convento di Sargiano, in provincia di Arezzo, sopravvissuto alla crisi della sua specie grazie anche ai certosini e al rispetto per la natura che la sola presenza del monastero impone. Tutto questo per capire che, in un periodo come il nostro così critico per l’ambiente, i serresi l’insegnamento di Packham ce l’hanno dietro l’angolo, o per meglio dire in casa propria.

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