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Domenica, 21 Aprile 2019 00:46

L’opera mancata di Ciro Amato, l’ultimo erede della “mastranza di la Serra” - FOTO

Scritto da Bruno Greco
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Il progetto dell'altare di Ciro Amato per la Chiesa Addolorata di Serra Il progetto dell'altare di Ciro Amato per la Chiesa Addolorata di Serra

SERRA SAN BRUNO – Serra si è stretta attorno alla salma di “Mastru Ciru” Amato venerdì scorso, all’interno della Chiesa dell’Assunta di Terravecchia, per offrirgli l’ultimo addio. Se ne va con lui l’ultimo erede della “mastranza di la Serra” (categoria che nella cittadina della Certosa ha fatto la storia rendendo estremamente sottile la distanza tra artigianato e arte) rientrato nel suo paese per riposare nel “Pantheon” dei “mastri” serresi dopo aver vissuto per tanti anni a Gerocarne. «Mastru Ciru era n’artista!». È un coro unanime quello riferito a Ciro Amato. Appena lo si menziona alle persone che lo hanno conosciuto, immediatamente si vede il mento che spinge in alto la testa come quando si descrivono figure di un certo spessore, e subito dopo parte frenetica la mano destra che disegna percorsi ellittici per denotare grande meraviglia. A descrivere al Vizzarro la figura dell’artista poliedrico (oltre che scultore era anche musicista) è stato per primo Franco Gambino, giornalista e fotografo che di Serra è una memoria storica. «Oltre ad essere importante per le opere sparse su tutta Serra, a me piace prima di tutto ricordare il ruolo di Mastru Ciru da un punto di vista sociale, che mi fa pensare agli anni 50-60 con immensa nostalgia. Infatti, oltre ad avere l’estro del grande artista, Mastru Ciru suonava in un’orchestra in quegli anni, l’Orchestra ritmica Ciro Amato appunto, assieme ad altri talentuosi amici». Secondo Gambino il contesto culturale raccontato è difficile da immaginare per i giovani serresi di oggi. «Era usanza allora dallo Jonio spostarsi in villeggiatura a Serra, e non viceversa, dove l’estate sembrava non finire mai e il giorno si concludeva alle 3 di notte, sempre. Tra coloro che partecipavano attivamente a mantenere calda l’estate serrese c’era proprio Ciro Amato con il suo gruppo e restano indelebili nel tempo le serate che si facevano al Kursaal o al Cinema Aurora». Quando descrive il grande scultore poi, Gambino si ferma un attimo come a contemplarne la figura prima di cominciare il racconto. «Mastru Ciru da ragazzino ha appreso l’arte presso la marmeria Rispoli, che si trovava proprio vicino la chiesa dell’Assunta dove venerdì scorso sono stati celebrati i funerali. Rispoli era un marmista napoletano di indescrivibile bravura, arrivato a Serra dopo essersi sposato con una Barillari nostra concittadina. In quel contesto ricco di stimoli è nata in Ciro Amato la passione per la scultura, e sotto la guida di Rispoli è diventato uno degli artisti più importanti di Serra. Io lo ricordo con grande affetto anche per la realizzazione del monumento funebre della famiglia Gambino, fatto su disegno preparatorio di un altro grande artista che è Nik Spatari. Un monumento il cui progetto aveva visto anche il contributo di mio fratello Sharo».

Il monumento funebre della famiglia Gambino realizzato da Ciro Amato su disegno di Nik Spatari (foto di Franco Gambino)

Stesso entusiasmo nel ricordare la figura di Amato è stato dimostrato da don Gerardo Letizia: «Un artista di altissima caratura, sono suoi gli altari della Chiesa Matrice e dell’Assunta di Spinetto. Ciro Amato era completo perché oltre ad essere bravo nella scultura, dunque da un punto di vista prettamente manuale, lui aveva una visione artistica a tutto tondo. Nella realizzazione dell’altare della Matrice si può notare nella policromia dell’opera il rimando coordinato a tutta la struttura della Chiesa, per questo per me era un grande artista. Poi com’è noto, la musica affina lo spirito e forse questo suo gran gusto per le cose derivava proprio dal fatto di essere anche un bravo musicista».

L'orchestra Ciro Amato (foto di proprietà di Vincenzo Scrivo, componente del gruppo musicale)

Ma tra le tante opere che Amato ha realizzato per Serra San Bruno ce n’è una mancata che, oggi, avrebbe ulteriormente arricchito la splendida Chiesa Addolorata. Si tratta di un altare con urna sottostante, pensato dall’artista serrese per ospitare il Cristo deposto (statua conservata prima in una cassa in legno) lo stesso che viene portato in processione durante le celebrazioni del Venerdì e del Sabato Santo. A raccontarci il curioso aneddoto è stato Mario Letizia (fratello di Don Gerardo), allievo di Amato (dal punto di vista musicale) e amico, che all’epoca dei fatti, primi anni 80, ricopriva la carica di tesoriere in seno alla Confraternita dell’Addolorata. Letizia ci descrive un periodo in cui le chiese assorbivano in tutto e per tutto le direttive della nuova celebrazione liturgica, con il prete che officiava la messa rivolto verso il popolo e non più dandogli le spalle. La confraternita dell’Addolorata, allora guidata dal priore Francesco Palermo (1980-1983), emanò una sorta di bando per la realizzazione dell’altare. A partecipare furono in tre, tra questi proprio Ciro Amato «che con quel progetto dettagliato – ha spiegato Mario Letizia – attraverso una relazione e dei disegni preparatori, aveva colpito tutti noi. Insomma, il lavoro gli è stato commissionato dal Capitolo dei confratelli ed eravamo entusiasti che a farlo potesse essere proprio uno degli ultimi eredi della “mastranza di la Serra”». Amato comincia così a lavorare al suo progetto, procedendo alla realizzazione dell’altare. Nella relazione a cui Letizia fa riferimento l’artista aveva pensato anche ad un collegamento concettuale, come una sorta di cordone ombelicale, che legava la statua della madonna Addolorata posta in alto al ciborio fanzaghiano con il Cristo deposto sotto l’urna dell’altare. In questo caso, dunque, Amato non si era limitato solo al progetto ma aveva inserito l’opera in una dimensione religiosa che legava l’Addolorata al figlio deposto dalla Croce. A lavoro iniziato però arriva la denuncia di un confratello “dissidente” fatta direttamente al Procuratore della Repubblica dell’epoca: il Cristo deposto in un’urna ai piedi dell’altare non si era mai visto e dunque non ci poteva stare, non rispettava i canoni imposti dalla Chiesa. Una contestazione fatta nei confronti dell’opera che, secondo quanto siamo riusciti a ricostruire confrontando diverse fonti orali, in realtà cozzava nettamente con il parere positivo che a riguardo avrebbe dato la Commissione per l’Arte Sacra e anche l’allora vescovo Antonio Cantisani e lo stesso priore della Certosa. «In occasione degli interrogatori seguiti alla denuncia – sono ancora le parole di Letizia – abbiamo presentato tutta la documentazione raccolta in un dossier anche all’allora giudice Porcelli alla Pretura di Serra. In quelle carte avevo riportato anche la foto di un famoso giornale nazionale in cui c’era l’immagine di un altare simile dove aveva celebrato messa Papa Giovanni Paolo II».

Sempre secondo quanto riferito dall’ex tesoriere l’altare di seguito sarebbe stato venduto ad una confraternita di un paese vicino e la causa finita nel dimenticatoio dopo il passaggio delle consegne al nuovo seggio priorale. E con essa anche l’opera unica dell’ennesimo grande artista a cui la cittadina della Certosa ha dato l’addio pochi giorni fa.

(Su questa circostanza l'ex tesoriere ed ex priore Bruno Marino ha precisato che «l'altare non è stato venduto a nessuna altra confraternita, ma le parti già realizzate - alcuni capitelli, alcune colonne, ecc. - sono in possesso della Regia Arciconfraternita Maria Santissima dei Sette Dolori di Serra San Bruno», ndr).

(Per il progetto e il disegno preliminare si ringrazia il fotografo Bruno Tripodi che essendone in possesso li ha inviati alla nostra redazione)