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Domenica, 07 Luglio 2019 12:30

L'astronomo di clausura. La storia di un priore del ‘700 e la diffusione delle “scienze esatte” nella Certosa

Scritto da Francesco Barreca
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L’edizione del 1774 del Direttorio ascetico del gesuita Giovanni Battista Scaramelli (1687-1752), stampata a Napoli presso la Stamperia Manfrediana, riporta una curiosa dedica, non firmata da Scaramelli (il quale era già morto all’epoca della prima edizione del Direttorio, uscita a Venezia nel 1754), ma dall’editore, il napoletano Domenico Terres, e indirizzata all’“illustrissimo e reverendissimo padre Dom Saverio Cannizzari” priore della “Real Certosa di Santo Stefano” e “Barone delle terre di Serra, Spadola, Bivongi, Montauro e Gasperina.” Si tratta di una circostanza interessante non solo perché il dedicatario è un personaggio relativamente oscuro rispetto alla fama dell’opera – che ebbe diverse ristampe tra il 1756 e il 1774 – ma soprattutto perché Terres, nella dedica, dimostra una certa familiarità con Cannizzari. Morto nella Grangia di Gagliato l’8 gennaio del 1784, Cannizzari fu priore della Certosa dal 1766 al 1775 ed è ricordato da Vito Capialbi in Memorie delle tipografie calabresi (1835) come “astronomo” e appassionato di matematica, e proprio questa sua passione per le scienze matematiche è sottolineata anche da Terres in un passaggio della dedica che merita di essere riportato integralmente:

Tralasciando però noi questa volta di parlar delle Scienze Matematiche e Filosofiche, e delle altre varie sacre e profane erudizioni, alle quali Ella per suo innocente sollievo fa prudentemente applicarsi, e colle quali suol lodevolmente divertirsi: né parlando della sua connatural placidezza, colla quale contemperando il rigor della Giustizia, fa partorire la Tranquillità e Felicità ne’ suoi sudditi: tacendo questa e molte altre cose, che offender potrebbero la Sua religiosa modestia, fiera inimica di applausi, faremo solamente menzione del suo rigoroso Cartusiano Istituto, che da Lei, non sol come Monaco Certosino lodevolmente professasi; ma ancora come Superiore e Priore di cotesta Real Certosa di S. Stefano del Bosco, col Suo buon esempio, vien da’ suoi Religiosi esattamente osservato.

È curioso che Terres, nel presentare un testo di spiritualità ascetica a uno dei massimi rappresentanti di un Ordine Contemplativo, inviti il suo interlocutore a mettere da parte, “per questa volta”, le scienze matematiche, suggerendo così che, forse, quegli studi non erano, per Cannizzari, dei semplici “sollievi” o divertimenti; oltre a ciò, poi, il tono affettuoso e familiare sembra rivelare un solido legame tra i due e induce a ritenere che fosse proprio l’editore napoletano a rifornire il priore della Certosa di quei libri di matematica e astronomia che, secondo Capialbi, passarono alla Certosa alla morte di Cannizzari. D’altra parte, l’attività avviata da Terres insieme al fratello e ai figli intorno al 1740 era in breve diventata una delle più importanti realtà editoriali del mezzogiorno, grazie soprattutto ai contatti – nazionali e internazionali – che Domenico era riuscito a crearsi, e nei cataloghi di vendita rimastici, risalenti ai primi anni ’80 del Settecento, numerosi sono i testi rientranti nella sfera di interessi di Cannizzari. Inoltre, proprio in quegli anni Benedetto Tromby si trovava a Napoli, in qualità di procuratore ad lites nella spinosa controversia legale riguardante le ‘vantate carte’ della Certosa, e non è improbabile che venisse in contatto con Terres, editore specializzato in materie giuridiche, che metteva a disposizione dei clienti una sala di lettura all’interno della libreria a San Biagio dei Librai, stabilendo così un canale di vendita diretto tra Napoli e Serra San Bruno.

Al di là di queste suggestioni, ciò che mi pare importante osservare è che lo studio di figure come Cannizzari permette di avvicinarsi a un tema controverso, complesso e virtualmente inesplorato: quello della diffusione delle conoscenze tecnico-scientifiche in ambienti ‘segregati’ come quello certosino. Una diffusione che non può che seguire vie traverse e peculiari, nelle quali l’interesse personale del singolo è mediato dagli obblighi dell’ascetismo, da un lato, e dall’inevitabilità di scendere a compromessi con gli umani negozi, dall’altro. Infatti, se un catalogo dei manoscritti della Grande Chartreuse risalente al XIV secolo non riporta alcun testo scientifico, gli inventari trasmessi dalla Certosa di Serra alla Sacra Congregazione dell’Indice alla fine del ‘500 (e pubblicati nel volume Il patrimonio librario della Certosa dei Santi Stefano e Brunone e sue dipendenze alla fine del XVI secolo) restituiscono un’immagine più complessa e variegata, riflesso dell’intrecciarsi di necessità pratiche della vita monastica e interessi personali. Diversi monaci, ad esempio, tenevano nella loro cella una copia dell’Opera terza de aritmetica e geometria di Giorgio Lapazaya, un testo fondamentale non solo come introduzione allo studio della materia, ma anche per l’agrimensura e l'attività di cantiere (e che Terres avrebbe ristampato ancora alla fine del ‘700); c’era chi aveva la Geografia di Tolomeo, grazie alla quale si potevano apprendere le tecniche cartografiche, e chi l’Epitome arithmeticae praticae, un manuale utile per risolvere problemi di matematica pratica per i quali è richiesto l’uso dei numeri razionali, scritto dall’illustre gesuita Cristoforo Clavio, del quale il monastero possedeva anche l’Apologia della riforma del calendario pubblicata in risposta alle critiche di Michael Maestlin; qualcun altro, infine, possedeva il commento di Galeno agli aforismi di Ippocrate, e verosimilmente se ne serviva come prontuario medico. Si trattava della manualistica in uso in quegli anni, di testi relativamente recenti, la cui presenza all’interno delle celle e non nella biblioteca comune porta a pensare che l’aggiornamento scientifico avvenisse più in virtù della personale preoccupazione dei monaci che non per volontà istituzionale di un Ordine comprensibilmente poco interessato a prendere parte a dispute su argomenti di filosofia naturale. Il catalogo delle cinquecentine attualmente possedute dalla Certosa stilato da un certosino e pubblicato da Tonino Ceravolo in Analecta Cartusiana, per la verità, segnala un volume de re rustica, uno di scritti astronomico-astrologici di Girolamo Cardano (tra i quali il commento al Tetrabiblos di Tolomeo), il commento a Dioscoride di Pietro Andrea Mattioli e l’antologia di testi alchemici curata da Guglielmo Grataroli: nessuno di questi, però, riporta il caratteristico ex libris S:SS (Sanctorum, Domus Sanctorum Stephani et Brunonis) – e anzi per il volume di Cardano la nota di possesso recita Ducis Terrae Novae – inducendo con ciò a ritenere che si tratti di testi incamerati dalla biblioteca in tempi successivi, magari grazie a doni di enti o privati. Il grande patrimonio librario dei certosini di Serra, tra i quali i libri di matematica e astronomia ricordati da Capialbi, è andato disperso nel corso delle vicissitudini conventuali. Rivolgersi allo studio di personaggi come Cannizzari, figura il cui interesse per quelle che oggi chiameremmo ‘scienze esatte’ apparve, anche ai suoi contemporanei, quasi in controtendenza rispetto alla vita contemplativa che si era scelto e la cui fama è spesso oscurata da quella di suoi più illustri confratelli, potrebbe, credo, aprire nuovi e interessanti prospettive di studio.