Martedì, 24 Settembre 2013 15:55

Clan Soriano, dal carcere duro le minacce del boss ai magistrati

Scritto da Loredana Colloca
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mini tribunale viboVIBO VALENTIA - Nonostante il regime di carcere duro, il presunto boss Leone Soriano ha trovato la forza di inveire contro magistrati e forze dell’ordine. Tra le righe, ma neanche tanto, durante la sua deposizione nell’aula bunker del tribunale di Vibo Valentia dove si sta svolgendo il processo al clan di cui sarebbe il capo indiscusso, ha lanciato avvertimenti e minacce. Un’abitudine che non ha perso nel corso degli anni. Collegato in videoconferenza dal carcere di Viterbo dove è sottoposto al 41bis, Soriano, nel corso di dichiarazioni spontanee, ha inveito contro gli artefici dell’operazione antimafia “Ragno”. Gli attacchi del boss hanno avuto come bersaglio, fra gli altri, l’allora pm della Dda di Catanzaro Giampaolo Boninsegna ed il comandante della Stazione dei carabinieri di Vibo, Nazzareno Lopreiato.

La loro colpa sarebbe stata quella di aver messo in atto una campagna persecutoria ai danni della famiglia Soriano. Sulla cui indole palesemente criminale ci sono ormai pochi dubbi e molte certezze.

Una, la più evidente, è che prima dell’intervento dei carabinieri, di fatto, una vasta area della provincia vibonese era letteralmente asservita al clan di Filandari. Nessuna attività economica, per poco remunerativa che fosse, riusciva a sfuggire alle pressioni di affiliati e favoreggiatori di quella che la procura antimafia ha definito una ‘ndrina a gestione familiare. Un sistema di una bestialità elementare, basato su estorsioni, ritorsioni, ricatti e intimidazioni, scomposto e ricostruito attraverso mesi di accurate indagini condotte dagli investigatori dell’arma di Vibo Valentia e della Dda di Catanzaro, sfociate nel 2011, nell’operazione denominata Ragno. Allora in dieci finirono in manette. Il patriarca, Leone Soriano, venne prelevato dalla sua casa, dove stava scontando una condanna agli arresti domiciliari. Da lì riusciva a gestire gli affari della cosca grazie alla collaborazione di congiunti e sodali. Fondamentale, emerse dalle indagini, il ruolo della moglie del boss, Rosetta Lopreiato, impegnata in prima persona in danneggiamenti e attentati dinamitardi messi in atto ai danni di alcuni esercizi commerciali del vibonese.

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    Una questione aperta anche per i paesi della provincia di Vibo Valentia che sta via via scalando posizioni nella classifica dei territorio dove si ricorre con maggiore frequenza allo shopping online. A diffondere i dati del fenomeno è stato il gruppo Poste Italiane che ha proprio sottolineato come nella nostra provincia stia letteralmente volando l’e-Commerce nella fascia centrale della Calabria che comprende proprio le province di Vibo e Catanzaro, dove «nei primi nove mesi del 2018 Poste Italiane ha consegnato oltre 365mila pacchi. In pratica, quasi due pacchi a testa per ogni abitante, a dimostrazione dell’abitudine sempre più diffusa allo shopping online in ogni parte d’Italia, anche grazie alla capillarità e alla flessibilità del servizio di Poste Italiane che prevede consegne anche di sera e nel week end».

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    Il padre e i due figli sono adesso ai domiciliari.

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    Il fondo in questione, di proprietà di un avvocato vibonese, era da tempo oggetto di attenzioni da parte della famiglia Donato, che – secondo i carabinieri - cercava di impossessarsene con minacce e pressioni indirizzate al proprietario del fondo e a tutte le persone che si recavano all’interno per lavorarlo.

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