Martedì, 15 Aprile 2014 15:37

Gerocarne, parrucchiere sepolto vivo: chiesti due ergastoli

Scritto da Redazione
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processo toga2Il sostituto procuratore Salvatore Curcio, a conclusione della fase requisitoria nel processo per l’omicidio del parrucchiere Placido Scaramozzino, assassinato nel settembre del 1993, ha chiesto ieri due condanne all’ergastolo e una a 24 anni di reclusione, rispettivamente, nei confronti di Antonio Altamura (66 anni, ritenuto il capo della cosca 'ndranghetista della frazione Ariola di Gerocarne), Vincenzo Taverniti (53 anni, di Stilo) e Antonio Gallace (47 anni).

Le richieste di condanna sono state avanzate dai giudici della Corte d'assise d'appello di Catanzaro, dinanzi ai quali è in corso il processo di secondo grado, mentre, in primo grado, nell'aprile dello scorso anno, era stata sentenziata la condanna di Altamura e Taverniti e l'assoluzione di Gallace. Chiave del dibattito si è rivelata essere la dichiarazione fornita da un minore coinvolto nel delitto, che ha deciso di collaborare testimoniando al processo. Le dichiarazioni fornite dal giovane alla Dda di Catanzaro hanno permesso di fare luce sull’omicidio, ritenuto un fatto riconducibile alla “strategia” di sterminio posta in essere dal gruppo Maiolo in modo tale da favorire l’ascesa del clan Loielo.

Placido Scaramozzino fu legato e trascinato nella boscaglia alla periferia di Gerocarne, tramortito a colpi di zappa in testa ed, in seguito, sepolto ancora vivo. Il punto esatto della sepoltura non è stato mai individuato, né segnalato agli inquirenti, di conseguenza il corpo di Scaramozzino, a distanza di anni, non è ancora stato ritrovato.

 

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    I militari, quindi, hanno ricostruito le intimidazioni verso l’avvocato vibonese più volte minacciato di morte anche con l’utilizzo di una pistola indebitamente detenuta. Minacce, queste, che sono iniziate nel 2015 e si sono protratte sino ad oggi, indirizzate sia al legale che a tutte le persone che di volta in volta venivano individuate dal legittimo possessore del fondo per recarsi nel terreno conteso. L’atteggiamento intimidatorio adottato dai due figli e dal padre (quest’ultimo pregiudicato) era volto a far desistere, oltre al proprietario del fondo stesso, tutti i potenziali acquirenti del terreno e non in ultimo, il proprietario del capannone incendiato. Non è un caso, infatti, secondo gli inquirenti, che oggetto del danneggiamento seguito da incendio del 15 ottobre 2017 sia stato proprio il trattore utilizzato il giorno precedente per completare i lavori nel fondo agricolo dell’avvocato.

    Da qui l’accusa per i tre che si sarebbero procurati un ingiusto profitto consistente nel possesso ed utilizzo del fondo ai fini del pascolo con conseguente danno per il legittimo proprietario che non avrebbe potuto esercitare liberamente il suo diritto di proprietà.

    La vicenda trae origine, storicamente, già dai primi anni 2000 quando il terreno era già oggetto di contesa tra il legittimo proprietario e la famiglia Donato. La diatriba è culminata il 23 giugno 2010 in un tentativo di omicidio che sarebbe stato posto in essere da Giuseppe Donato (reato per il quale è stato condannato con pena definitiva) nei confronti dell’avvocato vibonese, legittimo proprietario del terreno agricolo in argomento.

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