La morte di Filippo, dunque, è al momento senza responsabili anche se, tuttavia – secondo quanto riportato dall'edizione odierna del Quotidiano del Sud – nel fascicolo frutto della corposa informativa messa a punto dai carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno, all'epoca guidati dal capitano Stefano Esposito Vangone, compaiono alcuni nomi di persone che, ovviamente, rimangono secretati, così come la loro appartenenza – vera o presunta – a gruppi criminali della zona, come quello degli Emanuele e dei Loielo, clan da anni al centro di una sanguinosa faida per il controllo del territorio dell'Alto Mesima. Ovviamente, su questo e molti altri aspetti hanno lavorato senza sosta i militari dell'Arma e i sostituti procuratori della Dda, Simona Rossi prima e Camillo Falvo poi, alla ricerca di un qualche elemento che potesse, in sostanza, evidenziare un coinvolgimento degli indagati nella vicenda della morte di Filippo. Ma c'è di più: gli inquirenti, infatti, sarebbero al lavoro su un filone molto più ampio, che riguarda la faida tra il clan degli Emanuele e quello dei Loielo da un lato e quella tra i Patania di Stefanaconi ed i Piscopisani dall'altro. Entrambe unite da un filo conduttore, che porterebbe dritto a Pantaleone Mancuso, meglio conosciuto come “Scarpuni”, legato sia ai Loielo che ai Patania.
Filippo, però, non aveva alcun tipo di legame con i gruppi criminali della zona. L'unica sua “colpa” è stata quella di trovarsi nel luogo sbagliato, al momento sbagliato. Da anni i familiari, assistiti dall'avvocato Maria Rosaria Turcaloro, hanno avuto il coraggio e la tenacia di andare avanti e di lottare affinché si facesse definitivamente luce sulla morte di Filippo.