Lunedì, 07 Marzo 2016 13:52

'Strada del mare', truffa aggravata e falso ideologico: i dettagli dell'inchiesta

Scritto da Redazione
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VIBO VALENTIA - Dalla fase progettuale a quella dell’esecuzione dei lavori, per finire con la contabilizzazione e la liquidazione degli stati di avanzamento dei lavori.

Investono tutte le fasi della famigerata vicenda della "Strada del mare" le presunte irregolarità alla base del sequestro richiesto dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia e disposto dal gip a conclusione di quello che può essere considerato l’epilogo degli accertamenti che, negli ultimi anni, sono stati disposti dall’ufficio giudiziario sulla gestione della Provincia.

I finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Vibo e del Nucleo speciale di polizia valutaria di Reggio Calabria, hanno eseguito sequestri preventivi di beni in esecuzione di un decreto del gip che ha disposto l’esecuzione di misure ablative di natura patrimoniale per un valore di circa 5 milioni di euro (immobili, quote societarie, rapporti finanziari) nei confronti di cinque soggetti indagati, di cui due imprenditori del Vibonese e tre ex funzionari dell’amministrazione provinciale di Vibo Valentia: si tratta, nello specifico, dell'imprenditore Vincenzo Restuccia e del dirigente tecnico dell'impresa Antonino Scidà; di Giacomo Consoli e Francesco Teti (rispettivamente ex dirigente ed ex funzionario della Provincia) e Antonio Francolino (attualmente funzionario dell'ente, responsabile del settore viabilità). 

Attualmente, sono stati sottoposti a sequestro 24 fabbricati, di cui uno ubicato in Roma e due a Milano; 47 terreni tutti ubicati nel Vibonese; quote societarie in 11 società riconducibili agli indagati; una ditta individuale; 4 autovetture e 22 saldi attivi esistenti su conti correnti ed altri sui rapporti finanziari.

La vicenda della "Strada del mare" ha riguardato l’esame delle procedure di affidamento e di esecuzione dei lavori connessi all’appalto per la costruzione dell’asse viario di collegamento rapido tra Rosarno e Pizzo.

Le indagini, inoltre, avrebberp accertato numerose irregolarità che partono dalla gestione della progettazione per arrivare all’approvazione - da parte della direzione lavori e del responsabile del procedimento - di ben 11 stati di avanzamento, i quali avrebbero consentito il pagamento, a favore dell’impresa aggiudicataria, di importi nettamente superiori rispetto a quelli corrispondenti al valore dei lavori effettivamente realizzati: le somme dei singoli S.A.L. sarebbero state, infatti, appositamente “gonfiate” concordando le percentuali da applicare di volta in volta e inserendo indebitamente lavori non previsti nel progetto iniziale, sul falso presupposto che fossero necessari per l’esecuzione a regola d’arte.

Nel corso delle indagini sarebbero emersi anche casi di pagamenti effettuati dalla Provincia di Vibo, utilizzando risorse finanziarie destinate ad altri fini, stornando fondi da un capitolo di bilancio all’altro.

Truffa aggravata ai danni di ente pubblico e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici sono i reati contestati.

L’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Vibo, rappresenta l’ultimo dei filoni investigativi avviati a seguito dell’indagine denominata “Odor lucri” che, nel 2012, aveva portato all'accertamento di un peculato di circa un milione e 300mila euro che sarebbe stato portato a termine da un dipendente dell'ente di contrada Bitonto attraverso l’emissione di falsi mandati di pagamento a favore di persone compiacenti, al fermo di due responsabili ed al sequestro di beni per un importo equivalente alla somma di cui si era indebitamente appropriato il dipendente provinciale. 

Le evidenze investigative emerse all’epoca avevano portato l'autorità giudiziaria ad ampliare il contesto dell’attività di indagine finalizzandola alla complessiva verifica del corretto uso e destinazione delle risorse pubbliche gestite dalla Provincia, dando origine, quindi, ad un ampio contesto investigativo su molteplici aspetti gestionali.

In questo quadro si inseriscono anche l’indagine sulla “tangenziale est”, conclusasi con la denuncia di dieci tra funzionari e dipendenti dell’ente, imprenditori e professionisti per i reati di truffa aggravata, frode in pubbliche forniture e disastro colposo, con il sequestro di un tratto di strada di oltre due chilometri e mezzo e la segnalazione alla Corte dei conti di un’ipotesi di danno erariale per circa sette milioni e mezzo di euro; l’indagine denominata “Bis in idem” che ha consentito di scoprire una truffa di oltre 30 milioni di euro legata all’illecita gestione di fondi destinati a sostegno delle crisi aziendali ed occupazionali ed ha portato all’esecuzione nove arresti e 4 misure interdittive a carico di imprenditori e funzionari pubblici per reati di falso e truffa, al sequestro di beni su tutto il territorio nazionale; l’indagine sull’ irregolare affidamento di appalti per fornitura di servizi ad una ditta che sarebbe riconducibile ad un ex consigliere della Provincia di Vibo valentia, con la denuncia per abuso di ufficio di cinque tra funzionari e dipendenti dell’Ente e imprenditori e quella sulle presunte irregolarità nell’assegnazione dei fondi a favore dei gruppi consiliari della Provincia, che ha portato alla denuncia di 37 soggetti tra rappresentanti dell’ente, dirigenti di settore e revisori dei conti per ipotesi di reato che vanno dal peculato all’ abuso d’ufficio e al falso ideologico in atto pubblico.

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    Dalle chiacchiere ai fatti, già oggi in sede di approvazione del DUP abbiamo verificato quanto regge il patto di potere sancito - officiante Vito Pitaro, con Mangialavori e il centrodestra - sulle elezioni provinciali di Vibo. Gli eroici tutori dell'ortodossia democratica in salsa vibonese hanno fatto ancora una volta da stampella a Costa e dimostrato, qualora ce ne fosse ancora bisogno, quali erano i contorni del baratto politico stipulato in sfregio al Pd di tutto il territorio vibonese.

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    Pino Pellegrino

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