“Eh bien - fu la risposta - nous mangeons des macaroni”.C’è da giurare, perciò, che quel viaggio Norman Douglas l’abbia fatto solo per riportare la battuta, anche se, in effetti, arrivi o no il pesce, spesso i certosini si nutrono di “macaroni” o, più verosimilmente, di spaghetti la cui ricetta è finalmente nota. Sharo Gambino, che su Serra sapeva tutto e ne ha scritto a non finire, assicurava di averla avuta in segreto da un novizio-cuciniere, ma di averne poi fatto dono per amicizia al suo amico trattore Nicola Franco, figlio del famoso gelataio pasticciere Fiorindo, tutt’e due “opranti” a Serra. Per quattro persone, si tritano due acciughe, una diecina di capperi dissalati e due spicchi d’aglio, che, assieme a un peperoncino a ciliegia, piccante, si fanno imbiondire in buon olio d’oliva. Al punto giusto, si versano i pomodori pelati e tagliati a filetti, lasciandoli cuocere a punto giusto. Pochi minuti prima di scolare gli spaghetti (400 grammi), che vanno cotti al dente in acqua leggermente salata, sbriciolare nella salsa 150 grammi di buon tonno, lasciare insaporire e amalgamare, spruzzare infine una manciatina d’origano dell’anno e condire la pasta, che poi, suddivisa, va servita in tegamini di coccio riscaldati. Sharo Gambino, per ovvie ragioni (egli era molto amico ei certosini e - giustamente! - questa amicizia non la voleva “guastare”) ha battezzato, o meglio camuffato, questo piatto, (che è tipicamente invernale, perciò va seguito da un vino molto asciutto, possibilmente di quello che fanno i monaci nella certosa), con l’apocrifa denominazione di “spaghetti alla serrese”. Mi duole il cuore per lui, ma noi li chiameremo col loro sacrosanto nome, “spaghetti alla certosa”, “macaroni à la Chartreuse”. E che diamine! Diamo a Cesare quello che è suo, ma diamo anche ai certosini di Serra quel che è loro, perché il Signore (si sa) ama le cose giuste.