Martedì, 24 Giugno 2014 13:49

San Giovanni, il nocino e la tradizione perduta di 'lu piecuriedhu’

Scritto da Bruno Greco
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piecuriedhuPrima dell’introduzione del calendario gregoriano, nel giorno della natività di San Giovanni Battista, si celebrava l’arrivo della stagione estiva. La notte del solstizio d’estate (23 e 24 giugno) è la più corta dell’anno e ci introduce di conseguenza al giorno più lungo in termini di luce.

Oltre alla celebrazione di San Giovanni, nella concezione pagana, questa notte viene ricordata anche come la notte del raduno delle streghe intorno all’albero di noci, pianta prediletta per compiere sortilegi. Persino i contadini in passato facevano crescere il noce lontano dalle altre piante pensando che lo stesso avesse una natura quasi velenosa.
Lo strano connubio tra sacro e profano è un mistero per la tradizione ma rappresenta anche il disvelamento di un’antitesi che in passato si traduceva con l’unione di due opposte polarità, ossia quella che in età precristiana si credeva fosse lo sposalizio tra il Sole e la Luna.
A livello astrale, il Sole, che rappresenta il fuoco divino, entra nella costellazione del Cancro, simbolo dell’Acqua, dominato dalla Luna. Non a caso, alcuni degli attributi iconografici del Battista sono il Fuoco e l’Acqua.

Il 24 giugno appunto, giorno in cui si festeggia uno dei più importanti santi della cristianità, i serresi si avviano nella campagna circostante alla ricerca dei malli di noci utili alla preparazione del Nocino di San Giovanni. Questa singolare bevanda, diffusa un po’ su tutto lo Stivale, nella fase preliminare si prepara con le noci non ancora mature, che conservate nell’alcool proprio nel giorno di San Giovanni, vengono lasciate maturare per diversi mesi prima che il Nocino sia pronto per essere gustato. Durante il solstizio d’estate, la guazza presente sulle piante si pensava avesse un potere particolare tanto da preservare dalle malattie. Infatti, in Campania, il Nocino preparato con i malli raccolti durante la notte di San Giovanni viene chiamato “a merecina” (la medicina).

Gli abitanti di Serra San Bruno sono particolarmente legati a questo giorno anche per motivi storici. Il 24 giugno del 1084, San Bruno, alle porte di Grenoble, fondava la Grande Chartreuse, casa madre dell’ordine dei certosini. Nel periodo che va dalla fondazione della Certosa francese fino all’arrivo a Serra, Brunone di Colonia viene chiamato a Roma da Papa Urbano II (suo allievo) del quale diviene guida spirituale. Quando Urbano II è costretto a riparare nel meridione d’Italia a causa dell’invasione dei territori pontifici da parte di Enrico IV, a Brunone di Colonia viene offerta la possibilità di diventare arcivescovo. Lo stesso, non completamente nelle corde del sistema ecclesiastico, rifiuta di indossare la mitra per dedicarsi alla vita eremitica e contemplativa. Così, nel 1091, giunto nei territori della Torre (attuale Serra San Bruno) Brunone dimostra la sua profonda devozione nei confronti del Battista menando vita eremitica come lo stesso fece nel deserto. La data di fondazione della Grande Chartreuse e la vita eremitica di Brunone giustificano dunque il protettorato di San Giovanni nei confronti dell’Ordine Certosino.
La chiesa matrice di Serra (ossia madre di tutte le chiese) è stata la prima eretta dalla popolazione, durante la nascita del centro urbano, che di una costruzione in legno fece il proprio luogo di culto. Ma in realtà, la prima vera chiesa sorta in muratura nella cittadina fu quella di San Giovanni, (divenuta chiesa dell’Assunta in Terravecchia con la nascita dell’omonima Confraternita). Nella stessa, il visitatore non mancherà di imbattersi nelle bellissima tela dedicata al Battista e conservata proprio a sinistra dello splendido altare maggiore e nella statua lignea di manifattura serrese che oggi viene esposta all’adorazione dei fedeli.

Durante questa festività, parenti e amici concordavano il cosiddetto “San Gianni”, ossia l’accordo orale durante il quale avveniva la scelta del padrino e della madrina per i propri figli. Questa forma di unione deriva appunto dal Battesimo che il Battista officiò nei confronti di Gesù nel fiume Giordano. In particolare le donne, per il “San Gianni”, donavano alla prescelta un vaso pieno di fiori e una stoffa dalla quale la futura madrina ne avrebbe ricavato una camicia o altro, abito che sarebbe divenuto simbolo dell’unione delle due famiglie.
Fino al non lontano 1965, era tradizione per il seggio priorale della chiesa dell’Assunta portare in processione per le vie del paese il cosiddetto “piecuriedhu” (agnello), statua lignea anch’essa di manifattura serrese. I confratelli dell’Assunta, con a capo il priore e al seguito degli zampognari, portavano in processione “lu piecuriedhu” nelle case dei serresi in segno di benedizione. Una sorta di prelazione era riservata alle promesse spose, che prima di ogni altro ricevevano l’Agnus Dei. A benedizione avvenuta “allu piecuredhu” veniva lasciata un’offerta. Le famiglie più abbienti ma non solo, davano in dono dei monili piuttosto preziosi, che col tempo vennero applicati alla statua e ancora oggi la decorano seppure molti sono andati perduti.

Nel 1965, durante il mandato del priore pro-tempore Luciano Cordiano, la tradizionale processione “di lu piecuriedhu” viene dallo stesso abolita perché ritenuto di matrice pagana l’atto di adorazione di un animale. In realtà, i fedeli col rito processionale dell’agnello ligneo, non partecipavano affatto ad un rito paganeggiante, tutt’altro, dato che l’Agnello di Dio non è altro che la rappresentazione più prossima a Gesù nonché il principale riconoscimento iconografico del Battista che predisse l’arrivo del Messia.Secondo i fedeli, l’abolizione della processione “di lu piecuriedhu” da parte del priore pro-tempore, deriverebbe da un fattore prettamente sociale. Il priore Cordiano, proveniente da una delle famiglie più abbienti della cittadina, si sarebbe rifiutato di portare in processione l’effige sacra, provando vergogna a partecipare all’atto caritatevole dei fedeli.
Se la seconda ipotesi abbia una matrice di verità non lo sapremo mai… ma, in fondo, come si dice, “Vox populi vox Dei!”.

Foto di Bruno Tripodi, pubblicazione Assumpta est

 

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