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Domenica, 01 Luglio 2012 15:45

O briganti o emigranti

Scritto da Sergio Gambino
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mini emigrazioneRiporta Costantino Ianni, in Homens sem paz, la risposta di un emigrante italiano ad un ministro: “Que coisa entendeis por uma nação, senhor ministro?". È a massa dos infelizes? Plantamos e ceifamos o trigo, mas nunca provamos do pão branco. Cultivamos a videira, mas não bebemos o vinho. Criamos os animais, mas não comemos a carne... Apesar disso, vós nos aconselhais a não abandonar a nossa pátria. Mas è uma pátria a terra em que não se consegue viver do próprio trabalho?". “Cosa intende per nazione, signor Ministro? Una massa di infelici? Piantiamo grano ma non mangiamo pane bianco. Coltiviamo la vite, ma non beviamo il vino. Alleviamo animali, ma non mangiamo carne. Ciò nonostante voi ci consigliate di non abbandonare la nostra Patria. Ma è una Patria la terra dove non si riesce a vivere del proprio lavoro?”. Una terra che produceva di tutto, come la Calabria, dove le potenzialità economiche sono grandi e sfruttate solo dal grande capitale, il quale, servendosi della mafia a discapito dei cittadini onesti e dei lavoratori, produce denaro e ricchezza per pochi. Una terra maltrattata e sfruttata malamente. Che cosa rimane, o meglio, che cosa rimaneva? La “spartenza”.

“E mannaia l’ingegnieri, chi ‘mbintau la ferrovia, cà si non facia li mezzi, all’America non si jia…”, ancora nella musica tradizionale calabrese. La “spartenza”, uno dei quattro temi di rilievo nella canzone popolare, uno dei drammi storici della nostra terra. La lontananza da quella terra che si abbandona per bisogno, ma che non si dimentica mai. Racconta Sergio Di Giorgio, che in una sua visita, assieme ad Ettore Castagna, in Chiaravalle a Gregorio Tino, suonatore di ciaramelle, ebbero ad ascoltare una sua testimonianza che lascia sicuramente perplessi. “Quando ero in trincea - racconta Tino - per far passare la paura, ripassavo le suonate della zampogna sul manico del fucile”. Picchierellava con i polpastrelli sulla canna del fucile e si estraniava dal luogo in cui era, ascoltando, in una sorta di sdoppiamento della propria mente, le suonate del suo strumento e della sua terra. Sì, perché i suoni, gli odori, il dialetto, quando sei all’estero, lontano da casa, ti rimbombano nelle orecchie incessantemente, quasi a coprire la diversa lingua che si è costretti ad ascoltare, in una sorta si alienazione della realtà, quasi come se fosse il trasfomare il fucile in una zampogna e il vento della trincea nel familiar suono. L'emigrazione europea della seconda metà dello scoso secolo invece, aveva come destinazione soprattutto stati europei in crescita come Francia, Svizzera, Belgio e Germania. Quest’ultima era considerata da molti, come una meta di emigrazione temporanea, dove lavorare e guadagnare per costruire, poi, un migliore futuro in Italia. Tuttavia questo fenomeno non si verificò e molti degli emigranti sono rimasti nei paesi di emigrazione. Lo stato italiano firmò, nel 1955, un patto di emigrazione con la Germania con il quale si garantiva il reciproco impegno in materia di migrazioni e che portò quasi tre milioni di italiani a varcare la frontiera in cerca di lavoro. Al giorno d'oggi sono presenti in Germania circa 650.000 cittadini italiani fino alla quarta generazione, di origine meridionale, ma anche veneta o emiliana. E gli emigrati che incontri in Germania oggi, hanno congelato il loro essere italiano al giorno della partenza, come se il tempo, nella loro terra di origine si fosse fermato al momento della propria partenza.

Wolfsburg, città nata intorno alla Wolkswagen, (la “Fabbrica”, come la chiamano i nostri paesani) è un modello di città fatta a misura di operaio. Gli operai sono fatti a misura della fabbrica. Insomma tutto è fine alla costruzione della “nuova Golf”. E altre tremilanovecentonovantanove macchine al giorno. Biagio, che lavora da quindici anni in Wolkswagen, al nostro arrivo, noi che veniamo dalla sua Serra San Bruno, ci aspetta alle porte della città per accompagnarci alla nostra destinazione. In pochi minuti vorrebbe raccontarci tutto, di quante cose abbia fatto in Germania, di come la Germania lo ha accolto e di quante cose belle ci sono, e ci porta dai suoi amici, presentandoci fiero e raccomandandosi di fargli fare bella figura, che lui del suo paese parla sempre con tutti. “Ti sei sposato?”. “Si” fa lui, “Con una tedesca?”, “Fossi matto! Mai con una tedesca, che ti lascia senza pensarci due volte!”. Mogli e buoi dei paesi tuoi. Gli piace la fabbrica, il marciapiede pulito, i coniglietti che mangiano l’erbetta indisturbati nel verde pubblico, ma la gente non si ferma neanche per dirti ciao...E la musica lo manda in estasi, quando vede la zampogna si emoziona, quando sente l’organetto vuole ballare, quando parla della sua terra il sentimento che lascia trapelare non è la nostalgia, è la rabbia. “Quando scendo per le ferie in Calabria è bello, poi, quando torno in Germania, al Brennero, l’anima si ferma in Italia e la ‘carcassa’ continua a guidare per altri novecento chilometri verso nord.” Ha due bimbi Biagio, che porta con sé al nostro spettacolo, ai quali parla dialetto, perché il tedesco “già lo parlano e lo scrivono meglio di me”. Si è anche presentato con i Verdi alle elezioni comunali di Wolfsburg, perché l’integrazione è importante, ci dice. Ma forse lo fa per i propri figli, per garantirgli un futuro, perché ci ha dimostrato e fatto capire che, anche se non ha nessuna intenzione di tornare in Calabria, nè tantomeno la possibilità, non vuole integrarsi davvero, perché lui ci tiene alla sua cultura, alle sue origini, alla sua provenienza. E’ costretto a stare in Germania, perché ha bisogno di lavorare, ma i tedeschi sono tutti casa e lavoro, e se hai voglia di scambiare quattro chiacchiere, per parlare davanti ad un caffè del più e del meno, devi andare al Bar Azzurri…in Poststrasse, o al ristorante di Pino (da Sinopoli) di fronte al Markthalle. Che Stato è quello stato che lascia la terra alle ortiche e ai sassi e alle erbacce, e non produce il grano per fare il pane a casa propria? Che nazione è quella nazione che ha i suoi figli all’estero e allo stesso tempo crea per i migranti che arrivano sulle proprie coste i “Lager di prima accoglienza” e la legge Bossi-Fini? Biagio verrà quest’estate e porterà birra sigarette e cioccolata agli amici, se ne andrà portandosi una scorta di pane, quello buono, quello che sua madre sa ancora fare, ma che la sua terra non si può più permettere.

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