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Domenica, 05 Novembre 2017 01:00

Serra ha bisogno di una biblioteca, “piccola” ma vera. Ecco perché vale la pena provare

Scritto da Francesco Barreca
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È ormai passato più di un anno da quando il sindaco di Serra San Bruno, Luigi Tassone, ha diffuso le immagini riprese nel corso di un sopralluogo alla biblioteca comunale “Enzo Vellone”, dando così modo ai cittadini di rendersi conto della grave condizione di abbandono dei libri e dei materiali da essa custoditi.

Nel prendere atto della situazione, il sindaco ha ribadito l’impegno della sua amministrazione nei confronti della cultura e ha confermato di avere intenzione di fare quanto possibile per porre rimedio al degrado della biblioteca. E in effetti qualche passo in avanti è stato fatto: la “Enzo Vellone” è stata data in gestione alla Pro loco ed è stata stipulata un’importante convenzione con l’Istituto Einaudi per progetti di alternanza scuola-lavoro e sostegno alla biblioteca innovativa che la stessa scuola sta realizzando. Si tratta di passi importanti e significativi, ma rimane tuttavia una generale incertezza sul profilo, il senso e il ruolo della biblioteca comunale nel tessuto culturale serrese.

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In genere, le biblioteche pubbliche nascono quando le istituzioni vengono in possesso – in virtù di una donazione privata, di una concessione in deposito o di un acquisto – di un patrimonio librario che si reputa meritevole di essere condiviso. La Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, tanto per fare un esempio, ha origine dalla biblioteca privata dell’erudito fiorentino Antonio Magliabechi (1633-1714), da lui donata alla città di Firenze, e dalla sua unione, avvenuta nel 1861, con un’altra biblioteca privata nel frattempo passata nelle mani dello Stato, quella Palatina, raccolta dai granduchi lorenesi Ferdinando III e Leopoldo II. A questa nuova biblioteca fu riconosciuto il titolo di “Nazionale” e nel 1870 si stabilì che una copia di tutti i libri stampati in Italia finisse nei suoi scaffali. Con ciò, si affermava che lo scopo principale di una Biblioteca Nazionale era quello di conservare e tramandare la produzione culturale scritta della Nazione.

Una biblioteca può anche nascere dal nulla e dedicarsi, sulla base di un progetto, all’acquisizione di un patrimonio di libri. La Biblioteca Calabrese di Soriano, una biblioteca “senza storia” e che si presenta come una “teca unica e specifica di selezionati testi di cultura e/o di autori calabresi”, è un eloquente esempio di biblioteca nata da un’idea e non da un fondo librario preesistente; le biblioteche speciali e specializzate – ovvero quelle rivolte a una selezionata categoria di utenti e perlopiù legate ad associazioni, scuole, università e istituti di ricerca – sono anch’esse esempi di biblioteche nate dal nulla. Quello che accomuna tutte queste realtà è l’enfasi posta sulla selezione del materiale da raccogliere in quanto attività precipua della biblioteca: una biblioteca medica non ospita opere di narrativa fantastica e la Biblioteca Calabrese non si preoccupa di acquistare le edizioni critiche dell’opera di Dante.

La biblioteca “Enzo Vellone”, istituita negli anni dell’amministrazione Lo Iacono, è nata dal nulla (essendo ormai dispersi i fondi e il ricordo del locale Centro di lettura, allestito nel secondo dopoguerra per cura del Comitato Centrale per l’Educazione Popolare) e senza un progetto a medio-lungo termine. Per riempirla ci si affidò all’iniziativa “regala un libro” (o a qualcosa del genere) e si accettarono indiscriminatamente testi di qualunque tipo, mortificando così quella che dovrebbe essere l’attività principale di una biblioteca di questo tipo: decidere che cosa escludere. A suggellare questa autodistruttiva tendenza generalista arrivò l’acquisto, come patrimonio iniziale della biblioteca, dell’Enciclopedia Treccani, un’opera già all’epoca consultabile in rete. Come era prevedibile, la povera “Enzo Vellone” non fu mai frequentata e una volta scattate le foto di rito, pubblicati i comunicati stampa e rilasciate le interviste fu abbandonata anche dalle istituzioni.

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Il primo e principale problema posto dalla biblioteca di Serra è la sua stessa esistenza. La “Enzo Vellone” è regolarmente iscritta all’Anagrafe delle Biblioteche Italiane (ABI) ed è registrata nell’elenco curato dall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU); tuttavia, la pagina a essa dedicata sul sito di ABI alla voce Informazioni bibliografiche riporta “servizio non attivo”, a quella Prestito locale “no” e a Patrimonio librario un genericissimo “Volumi ed opuscoli”. L’immagine a corredo è quella di Palazzo Tucci, nonostante la sua sede sia correttamente indicata essere Palazzo Chimirri. Non va meglio su ICCU: il link riportato punta al sito del Comune di Serra, dove campeggia tristemente un banner non cliccabile. Se la “Enzo Vellone” non fosse mai stata istituita, oggi non dovremmo confrontarci con la sua realtà spettrale, e dell’assenza di una biblioteca comunale a Serra San Bruno ce ne saremmo fatti una ragione sapendo dell’esistenza di una biblioteca funzionante e accessibile, quella dell’Istituto Einaudi.

La “Enzo Vellone” però sta lì, e in qualche modo bisogna fare qualcosa. La prima e più semplice soluzione sarebbe quella di sopprimerla definitivamente, prendendo atto che la comunità serrese non può o non ha bisogno di sostenere l’esistenza di una biblioteca comunale. Sarebbe una soluzione comoda e nemmeno troppo traumatica: come ho detto, a Serra esiste altro. Io, però, credo che una biblioteca comunale sia possibile e auspicabile, e che la condizione di zero assoluto in cui al momento versa la “Enzo Vellone”, se da un lato è scoraggiante, dall’altro lascia aperte le molte possibilità dovute al non avere una tradizione o un fondo privilegiato da ossequiare. Per ripartire, però, è necessario sanare la sua anomalia congenita. La biblioteca comunale è nata senza libri e senza idee: non avendo libri e immaginando che al momento nessuno nel pieno delle proprie facoltà mentali affiderebbe la propria collezione personale a un bibliotecario tale quale si è dimostrato il Comune in questi anni, meglio cominciare dalle idee, e in particolare da quella di una biblioteca civica.

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Storicamente, la maggior parte delle biblioteche civiche – cioè quelle biblioteche istituite e mantenute dagli enti locali a beneficio di una specifica comunità – sono nate intorno al nucleo costituito dagli archivi storici comunali. L’archivio, per chi non lo sapesse, è la raccolta degli atti e dei documenti prodotti da un soggetto personale o giuridico e, nel caso degli archivi pubblici, assume denominazione di “archivio storico” quando raccoglie, ordinati in un titolario, documenti prodotti da più di trent’anni e ritenuti degni d’esser conservati. In quanto tale, l’archivio storico pubblico è una realtà in continuo divenire, il prodotto di una sorta di auto-analisi istituzionale grazie alla quale quest’ultima definisce la propria identità storica e culturale. Proprio perché depositario della memoria di una comunità civile ed espressione della sua continuità vitale esso ha costituito e costituisce l’asse portante della maggior parte delle biblioteche civiche italiane. Rendere disponibile al pubblico la memoria civile condivisa è infatti oggi sempre più considerato un servizio sociale prima ancora che culturale, e offrire strumenti adeguati per la fruizione e comprensione di questa memoria è visto come un dovere delle amministrazioni nei confronti dei cittadini: garantire l’accesso agli archivi storici significa non soltanto permettere loro di istruirsi sul passato del luogo dove vivono, ma dargli la possibilità di realizzare con pienezza l’esser parte di una comunità civile.

Ora, a Serra, in teoria, esiste un archivio storico comunale. Dico “in teoria” perché, nonostante l’archivio sia regolarmente indicizzato nel Sistema Informativo Unificato per le Sovrintendenze Archivistiche (SIUSA), non è chiaro quale sia la sua reale consistenza e il suo stato di conservazione. Al di là di questo, tuttavia, io credo che per avviare una biblioteca civica a Serra sia sufficiente l’idea dell’archivio storico – cioè cominciare a ragionare nei termini di una biblioteca ipoteticamente centrata su un nucleo archivistico. Se si accetta questa impostazione, allora la biblioteca civica assume immediatamente il profilo di una biblioteca a carattere strettamente locale e come tale può vivere e operare in attesa che mezzi e personale consentano una più precisa ricognizione del fondo archivistico comunale. Una biblioteca, in altre parole, dove non si trovano l’ultimo romanzo di Dan Brown, le opere di Aristotele o l’intero Corpus Philosophorum Danicorum Medi Aevii, ma piuttosto testi come il “Cenno geografico-storico sul comune di Serra San Bruno” e “Effect of light regime on the natural regeneration of silver fir (Abies alba), Calabria, Southern Italy". Biblioteca a carattere locale, è bene chiarirlo, non vuol dire limitata negli interessi; al contrario, se adeguatamente sviluppata, una tale biblioteca assumerebbe per molti versi i caratteri di una biblioteca specializzata. L’abete bianco, i funghi, lo zafferano, il carbone, il granito, le salamandre, l’associazionismo religioso, le maestranze e le tradizioni popolari: sono tutte caselle (e scaffali, si spera) che, se riempite, darebbero alla biblioteca un respiro generale e, allo stesso tempo, geograficamente coerente. A Serra non mancano persone competenti in grado di fornire, se interpellate, delle linee guida e – credo – degli elenchi di testi sui quali cominciare a ragionare (peraltro, il Comune stesso, sul suo sito, fornisce un elenco iniziale di “libri su Serra”).

Una biblioteca di questo tipo potrebbe vivere solo integrandosi nella realtà culturale cittadina – cioè dialogando con le scuole e le associazioni presenti sul territorio, nell’ottica di realizzare quel sistema bibliotecario locale a suo tempo proposto da Tonino Ceravolo e coprire, coordinandosi con la biblioteca dell’Einaudi e la nuova biblioteca della scuola media Larussa (finanziata anche in parte dal Comune) un più ampio spettro della produzione libraria. L’integrazione con l’Einaudi, inoltre, potrebbe portare a realizzare i progetti di alternanza scuola-lavoro già previsti dalla convenzione tra i due enti, tanto più in quanto le peculiarità proprie di un archivio e di una biblioteca a forte vocazione locale e disciplinare offrirebbero agli studenti l’occasione di impratichirsi con il lavoro di ricerca attraverso laboratori di micro-storia intesi come mezzo per sfumare la distinzione tra “studiare” e “fare” la storia; allo stesso modo, accordi e progetti condivisi con la scuola media e la scuola elementare potrebbero avvicinare anche i più piccoli alle risorse offerte da una biblioteca. Dall’altro lato, il legame con le associazioni presenti sul territorio – la Pro loco e le congreghe in primis, ma anche il Brigante (dove è presente una piccola ma curata biblioteca), i gruppi micologici, di trekking, moto, fuoristrada, biciclette e insomma chiunque fosse interessato a fruire in qualche modo delle possibilità di una biblioteca – sarebbe invece vitale per fare della biblioteca un tassello di quel “museo diffuso” auspicato sempre da Ceravolo qui sul Vizzarro. La biblioteca come centro di informazioni turistiche, luogo di documentazione, studio e approfondimento, ma anche punto d’incontro e dialogo per le diverse realtà che, a vario titolo, contribuiscono a rendere vitale l’ambiente serrese.

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Tutto questo non è facile da realizzare e forse neanche economico. Tuttavia, a mio avviso vale la pena provare. Avviare una serie di incontri informali in cui valutare idee e progetti non costa nulla e permette di farsi un’idea concreta di limiti e possibilità. Poi, se si riesce a combinare qualcosa, bene; altrimenti c’è sempre la prima possibilità: sopprimere la “Enzo Vellone” e andare avanti come abbiamo sempre fatto.