Venerdì, 25 Gennaio 2013 14:53

Scilipoti, un ragazzo di Calabria

Scritto da Salvatore Albanese
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mini tony-faccetta-nera-1027265_0x410Quando i nostri nipoti studieranno Storia, sui loro libri di testo, subito dopo le guerre mondiali, il fascismo, la Resistenza ed il Sessantotto, troveranno le pagine della seconda repubblica. E scopriranno che nel Parlamento italiano, anche nel 2013, è esistito un tale Domenico (per gli amici Mimmo) Scilipoti, “uomo di rottura” con una spiccata tendenza al trasformismo, maturata negli anni, per una triste questione di poltrone e vitalizi. Tralasciando il parlare sconquassato ed i congiuntivi devastati, i toni pessimi e rivoltanti o l'antipatia che, indipendentemente dalla posizione politica (non ci azzardiamo a parlare di ideologia), suscita un siffatto personaggio retorico e vuoto, intriso di un ultranazionalismo pecoreccio, massone e xenofobo, il punto è: come ha fatto Scilipoti a risultare candidato in Calabria?  Un semi-sconosciuto agopuntore di Barcellona Pozzo di Gotto?

Scilipoti è la metafora di questa fase politica. Eletto nel 2006 con l’Idv di Di Pietro, il più acerrimo degli anti-berlusconiani, dopo soli cinque anni decise di redimersi all’alba di una crisi di Governo annunciata da tempo. Alzò la testa e vide la luce: “Silvio!”. Con poca vergogna ed un voto vitale, nel settembre 2011, finì per salvare lo stesso Berlusconi, ormai messo alle corde dalla pessima gestione di un paese in piena caduta libera e dal grottesco “caso Ruby”. Da lì seguirono brutali convegni stile Circo Orfei, con veline sclerate, sarti, modelli, medicina olistica, farmaceutica galenica, fascisti nostalgici e centinaia di iscritti alla confraternita de “gli estermo-orientali del Tao”. Scilipoti, oggi, con la stessa spietata disinvoltura, come se fosse un riconoscimento al merito, trova posto per la corsa alla Camera dei Deputati nelle liste calabresi. Ma la cosa più atroce è che forse sarà rieletto in virtù di una sesta posizione che, in un partito come il Pdl, purtroppo, potrebbe valere ancora la poltrona. In particolar modo se si è candidati in Calabria, una delle poche regioni d’Italia in cui l’armata Berlusconi palesa ancora parvenze di esistenza.

Il fenomenale Domenico Scilipoti, evidentemente in credito di un favore da parte del Cavaliere da Arcore, continua a volare alto. Esplicita ed indiscussa personificazione di una politica formato baraccone, zeppa di riti bizantini, di mutanti che si fanno uomini e di uomini che si fanno politici, che si svestono dei panni degli ginecologi-agopuntori e saltellano da una regione all’altra, come se ovunque ci fosse bisogno di uno Scilipoti: una calamita da frigorifero spacciata per salvatore dei popoli.

Berlusconi nelle ore precedenti allo scadere delle presentazioni delle liste deve essersi proprio scervellato: “lo Scilipoti dove lo metto?”. Inizialmente ci aveva provato con l’Abruzzo, ma il governatore in quota Pdl, Giovanni Chiodi, aveva subito smorzato ogni rischio: “Se Scilipoti viene candidato in Abruzzo, siamo pronti alle dimissioni di massa!” aveva confidato senza alcuna remora a giornalisti e compagni di partito. Allora, come accade sempre più spesso, la pattumiera politica di scorta diviene la Calabria, terra sottomessa pronta ad accogliere i reflussi gastrici di tutto e di tutti. Evidentemente nelle logiche del partito nazionale il “nostro” Peppe Scopelliti non ha la forza di Chiodi, e senza che nessuno del Pdl regionale batta ciglio, la frittata è bella e pronta: Scilipoti sesto in Calabria nel listino per la Camera. Insomma saremo noi calabresi a decidere che questo signore, per ulteriori 5 anni, sarà degno di sedere a Montecitorio. Il verdetto è già scritto. E quasi quasi, la Rosy Bindi “calabrese” del Pd ha il sapore di un terno al lotto.

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