mini piazza_brognaturoBROGNATURO - E' stato un vero e proprio "sciopero della messa" quello messo in atto stamattina da una parte dei fedeli della parrocchia di Brognaturo. Circa la metà delle persone che si trovavano in chiesa per la messa domenicale, infatti, avevano chiesto al sacerdote inviato temporaneamente dalla Curia, don Steven, solo di pregare senza dire messa. Il prete non ha acconsentito e allora i parrocchiani che avevano avanzato la richiesta sono usciti dalla chiesa e hanno inscenato una sorta di sit-in nella piazza principale del paese (foto), per spiegare e rendere note le loro richieste. La rivendicazione principale, i fedeli brognaturesi, la rivolgono al vescovo, chiedendo che si rechi in paese per affrontare la situazione - scalpore ha fatto il caso di don Alessandro Iannuzzi, contestato da alcuni parrocchiani

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mini BROGNATURO_chiesaBROGNATURO – Scortato come un arbitro di terza categoria. Ciò che stiamo per raccontare, però, non è una partita di calcio ed i protagonisti non sono esagitati tifosi ed un direttore di gara distratto. La storia che ci accingiamo a narrare ricorda, forse, uno dei gustosi racconti di Guareschi. Un episodio da strapaese che rimanda ad un’Italia da anni Cinquanta. Una storia iniziata lo scorso mese di agosto, quando il compianto don Francesco Timpano, in seguito ad un malore lascia per sempre i suoi parrocchiani di Brognaturo. In paese arriva un nuovo prete, don Alessandro Iannuzzi. L’accoglienza è calorosa, l’atmosfera serena; tutto sembra lasciar presagire che, tra il parroco e la comunità dei fedeli possa scoccare l’idillio. Passano poche settimane e la situazione muta radicalmente, il nuovo sacerdote inizia ad introdurre qualche novità che fa storcere il naso ai più. Si giunge così alla notte di capodanno, quando, contravvenendo ad una secolare tradizione, il sacerdote si rifiuta di accompagnare il simulacro del bambinello in giro per le case. Inizia, così, un lungo braccio di ferro.

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Venerdì, 20 Gennaio 2012 16:04

Quel maniero perso tra i boschi della Lacina

mini simbario_com_bkumbria_1200412457BROGNATURO - «Ci stava 'nu castellu alla Lacina; duvi si dicia ca la terra 'ntrona; e mo lu riduciru a 'na rovina, ma tandu 'nci stacìa 'na gran matrona». Così cantava qualche anno addietro il medico menestrello Bruno Tassone che, in “Lu castellu di la barunissa”, ricordava, quando sui “Piani de la Lacina”, arroccato su un acrocoro che domina la vallata sottostante svettava un maniero ormai diruto ed abbandonato. Un luogo arcano, permeato dal fascino misterioso tipico dei luoghi senza storia e senza tempo. Poche, frammentarie ed inverosimili le notizie che circondano le vicende di un castello edificato in quella che è stata una delle foreste più impervie ed inospitali dell’intera Calabria. Il toponimo “Lacina” secondo taluni deriverebbe da Hera Lacinia, la dea al cui culto sarebbe stato elevato, dai tagliatori di bosco che rifornivano di legname le colonie della magna Grecia, un piccolo tempio rurale. Una tesi suggestiva ma non comprovata da alcuna fonte documentale e con ogni probabilità da derubricare al novero delle favole da focolare. E pur vero che l’area in questione in passato potrebbe aver ospitato una struttura sociale di qualche rilievo. Non è un caso che nelle limitrofe montagne di Cardinale siano stati rinvenuti alcuni reperti riconducibili al neolitico; mentre nella vicina Spadola, fino ai primi anni trenta, erano custoditi due leoni in pietra che, secondo il resoconto fatto dal sacerdote Bruno Maria Pisani in una relazione inserita in “Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato” e pubblicata a Napoli tra il 1853 ed il 1859, servivano a sostenere «l’altare dedicato a Minerva». In una singolare filiazione religiosa, sui luoghi in cui un tempo doveva ergersi il tempio dedicato alla divinità romana oggi sorge una chiesa elevata al culto di Santa Maria sopra Minerva. In ogni caso sulla genesi del piccolo borgo di Brognaturo non si hanno notizie certe, tranne quelle riportate nella citata opera, nella quale si asserisce, che a dare origine al piccolo villaggio siano stati i mandriani ed i guardiani di “porci” dei paesi vicini. Per il sacerdote serrese «L’etimologia del suo nome sembra alludere a questa particolarità; poiché la prima parte del vocabolo, Brogna, nel linguaggio volgare significa quella specie di conchiglia, con cui i porcari chiamano a raccolta le loro mandrie. Avvi però qualche oscura tradizione dell’esistenza di un antico paese posto in cima dei monti, i cui abitanti si sarebbero trasferiti nell’attuale Brognaturo. In un diploma del Conte Ruggiero si fa menzione di una località coincidente a quella di questo paesetto, sotto la denominazione greca di Brondismenon». Seguendo un metodo deduttivo si è portati a pensare che il villaggio greco, di cui parla l’estensore della menzionato relazione, potrebbe essere sorto in prossimità dei piani della “Lacina” dove una rigogliosa radura, in passato può aver ospitato un insediamento di una qualche importanza. In tale contesto troverebbe una logica spiegazione un “castello” edificato sulla sommità di un monte dal quale era possibile dominare la pianura sottostante. L’ipotesi suggestiva, anche in virtù della vicinanza della costa jonica, induce a pensare ad un villaggio sorto per favorire lo sfruttamento forestale ed a difesa del quale potrebbe essere stata schierata una piccola guarnigione. Al di là delle congetture, le poche notizie degne di essere seriamente prese in considerazione fanno risalire la costruzione del primo nucleo in muratura ai primi del ‘500. Di certo vi è che l’ultima proprietaria sia stata Maria Enrichetta Scoppa, baronessa di Badolato, nata a Sant’Andrea, nel 1831, che avrebbe eletto il maniero a propria dimora estiva fino al 1912, anno della sua dipartita. Nonostante sia descritta come donna di profondi sentimenti religiosi, la baronessa o qualche sua lontana antenata sarebbe all’origine di una leggenda che in passato doveva suscitare non poco i pensieri pruriginosi di una comunità tutta dedita alle attività agro-pastorali. Fino a qualche decennio addietro, infatti, si narrava che la nobildonna, alla ricerca di facili ma silenti avventure amorose, fosse solita ospitare nella sua magione aitanti giovani dei paesi vicini destinati, dopo aver goduto dei piaceri della carne, a sparire nelle paludi circostanti. A rendere la storia verosimile la presenza, dove oggi sorge il lago Alaco, di un’estesa torbiera nella quale erano possibile rinvenire diversi fenomeni carsici nei quali, secondo il racconto di vecchi pastori, “poteva sparire un’intera coppia di buoi”. Lasciata la leggenda, di quell’antica residenza, alla quale doveva essere associata una chiesa di cui si è persa ogni traccia, oggi non rimane che un imponente rudere sul quale imperiosi si ergono le caratteristiche torri angolari. Le poche persone che ancora conoscono il sentiero che conduce la castello di tanto in tanto vi fanno ritorno per ammirare il lago sottostante, sul quale sembra specchiarsi l’ennesimo pezzo di storia perduta. 

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mini serre_spopolamentoSERRA SAN BRUNO – Lento, inesorabile, a volte impercettibile. Un nemico oscuro, subdolo, senza volto, assale alle spalle le comunità ed i paesi delle aree interne della nostra regione. Il territorio montano, con la sua storia, la sua cultura, a volte estremo fortino della memoria e dell’identità rischia lentamente di sparire. A rivelarlo l’impietosa sequenza delle partenze, i cui cicli, da un secolo e mezzo, non sembrano volersi arrestare. Nel corso degli anni è cambiata la destinazione, il mezzo con cui si va via, la tipologia umana, la condizione economica e sociale di chi parte ma anche di chi resta. Ciò che però non muta è lo spirito di chi è costretto a mettersi in marcia, non per volontà, per necessità. Lo sradicamento, tanto mirabilmente descritto da Simon Weill ne “La prima radice”, appare in tutta la sua drammaticità. In anni in cui l’immigrazione viene descritta come il dramma degli altri, in quella fascia di territorio visivamente rappresentata dall’altipiano delle Serre, il fenomeno, tra picchi più o meno alti, è sempre andato avanti, senza sosta. Non è infrequente imbattersi in centri storici ormai spopolati, caratterizzati da porte sprangate, da finestre tristemente serrate. Nei luoghi deputati all’aggregazione spesso si registra l’assenza delle generazioni di mezzo. Le braccia da lavoro o i cervelli partono per tornare magari fugacemente nel solo periodo estivo. Un impoverimento costante, ben descritto da una comparazione dei diversi censimenti. Prendendo come riferimento i dati riferiti a nove comuni della fascia montana, San Nicola da Crissa, Vallelonga, Simbario, Spadola, Brognaturo, Serra San Bruno, Mongiana, Fabrizia e Nardodipace, si osserva immediatamente un drastico calo della popolazione residente. Ove si consideri, infatti, che nel 1861, anno del primo censimento generale della popolazione italiana, gli abitanti ammontavano alla ragguardevole cifra di 27.320, si comprende immediatamente come la scure dell’emigrazione si sia abbattuta impietosamente. Un terremoto di dimensioni vertiginose. I 16.604 abitanti che ancora risiedono nei centri considerati, evidenziano, infatti, un calo di ben 10.716 unità nell’ultimo secolo e mezzo. Una cittadina di dimensioni medio piccole sparita dalla carta geografica. Per avere un’idea del dato è come se un visitatore recandosi a Serra San Bruno, Fabrizia, Brognaturo e Vallellonga trovasse quattro cittadine fantasma, prive di popolazione. La situazione appare ancor più scoraggiante ove si consideri che il progressivo calo dei residenti prosegue ormai dal 1951. Nei nove comuni, oggi, la popolazione è addirittura inferiore di 8283 unità a quella del 1921 quando, a dispetto delle partenze oltreoceano e della Grande guerra, vi dimoravano ancora 24.887 persone. Al termine di un altro conflitto mondiale, nonostante le altissime perdite in termini di vite umane, al censimento del 1951 la popolazione risulta 28.759. Il boom economico con la famosa freccia del Sud, il treno che dall’Italia meridionale scaricava quotidianamente centinaia di braccia da lavoro a Torino e nelle altre città del triangolo industriale, intaccherà dapprima solo relativamente il numero dei residenti, attestatisi nel 1961 a 27.698. Situazione ben diversa vent’anni dopo, quando si registrano quasi diecimila presenze in meno e 17.969 abitanti. Segue una breve quanto effimera ripresa. Nel 1991 la popolazione sale, infatti, a 18.025. Gli anni novanta ed il primo scorcio del nuovo secolo, nonostante i primi flussi migratori in entrata, fanno registrare l’ennesima flessione. Nel 2001 vengono censiti 17.149 abitanti, oggi scesi a poco più di 16.000. In altri termini dal 1991 ad oggi e come se le popolazioni di Spadola, Brognaturo e Simbario fossero svanite nel nulla.

(articolo pubblicato nelle pagine vibonesi de Il Quotidiano della Calabria)

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