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Il gup di Catanzaro, Maria Rosaria De Girolamo, ha condannato ad un totole di 69 anni e 6 mesi di reclusione, quindici persone ritenute affiliate o contigue alla cosca Mancuso di Limbadi. I soggetti, coinvolti nell'operazione "Black Money", sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, usura, detenzione abusiva di armi e riciclaggio, aggravati dalle modalità mafiose. Il pm Marisa Manzini, invece, aveva chiesto 86 anni ed otto mesi. Le condanne riguardano Giovanni D'Aloi (al quale sono stati inflitti otto anni), Bruno Raguseo (5 anni e 6 mesi), Giuseppe Costantino (6 anni e 6 mesi), Fabio Costantino (5 anni e 6 mesi) Antonio Pantano (4 anni e 10 mesi), Francesco Tavella (5 anni e 6 mesi), Antonino Scrugli (4 anni e 2 mesi), Orazio Cicerone (5 anni e 4 mesi), Antonio Cuturello (5 anni e 6 mesi), il latitante Mario De Rito (5 anni e 4 mesi) e Antonio Campisi (un anno). Oltre a loro, sono stati condannati anche i commercialisti Ercole Palasciano (2 anni), Francesco L'Abbate (un anno e sei mesi), Giuseppe Ierace (un anno) e Domenico Musarella (un anno e sei mesi). Assolti, invece, Antonio Mamone, Nunzio Manuel Callà, Salvatore Accorinti, Domenico De Lorenzo, Bruno Marano, Gabriele Bombai e Antonio Maccarone. Nei confronti di quest'ultimo, inoltre, erano stati sequestrati anche il ristorante "La Pineta" e il residence "Costa degli dei", che adesso gli verranno restituiti a seguito dell'assoluzione.
Beni mobili e immobili, per il valore di due milioni di euro, sono stati confiscati dalla Dia di Catanzaro nell'ambito di tre distinte operazioni portate a termine oggi. I beni in questione sono riconducibili a Giovanni Franzé, di 50 anni, di Stefanaconi, già arrestato per usura aggravata dal metodo mafioso, Francesco Pugliese, 53 anni di Nicotera, e Domenico Campisi, ucciso nel 2011, di San Calogero, entrambi condannati in via definitiva per traffico internazionale di droga a conclusione del processo scaturito dall'inchiesta "Decollo", condotta dalla Dda di Catanzaro. I beni confiscati consistono in 18 immobili, cinque rapporti finanziari, due aziende, sette autoveicoli e 20 oggetti preziosi che erano custoditi a Roma in una cassetta di sicurezza di un istituto di credito.
FABRIZIA - La Corte d’Appello di Catanzaro ha completamente ribaltato la sentenza di primo grado emessa diversi mesi fa dal tribunale di Vibo Valentia, condannando a 12 anni di reclusione Bruno Nesci e a 9 anni il genero Antonio Montagnese, entrambi di Fabrizia. Nell’ambito dello stesso processo, i giudici di secondo grado, hanno confermato le condanne di 10 anni di reclusione ciascuna ad Antonio Dessi e Domenico Audino, entrambi di Locri.
Le sentenze riguardano quindi il processo scaturito dall’operazione antimafia “Domino”. Ai due imputati fabriziesi è contestato il reato di associazione mafiosa. In particolare Nesci (56 anni) è indicato dagli inquirenti come capo del clan mafioso “Nesci-Montagnese” operante nella locale di Fabrizia. Mentre Dessi e Audino, già condannati nel processo per l’omicidio del vice presidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno, sono stati incriminati per tentato omicidio, in un agguato avvenuto nel 2004, proprio a danno di Bruno Nesci.
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