mini Pesce-GiuseppinaSua moglie lo aveva lasciato, e lui, il figlio del boss, tentò di sequestrarla recandosi a casa della ragazza con altre tre persone, armati di kalashnikov, pistola e fucile. Ma la ragazza si salvò pewrchè si era rifugiata altrove. L'episodio sarebbe avvenuto nel 2006, e il protagonista, in negativo, sarebbe Francesco Pesce, figlio di Salvatore, ritenuto il boss dell'omonima cosca di Rosarno. Il racconto del tentato sequestro emerge dai verbali della nuove dichiarazioni della pentita Giuseppina Pesce (foto), sorella proprio di Francesco, depositati dal pm Alessandra Cerreti nel processo alla cosca Pesce in corso a Palmi. Sulla base delle nuove affermazioni della pentita sono state formulate agli imputati nuovi capi di imputazione. Giuseppina Pesce, infatti, ha parlato anche di una rapina compiuta dalla cosca capeggiata dal padre Salvatore in una gioielleria di Rosarno nel febbraio del 2005. Il pm Cerreti ha contestato nuove accuse anche ad un altro imputato del processo, Domenico Varra', impiegato del Comune di Rosarno. Secondo il pm, tra l'altro, Varra' avrebbe fornito ai Pesce moduli prestampati del Comune di Rosarno che sarebbero stati falsificati per certificare rapporti di parentela inesistenti per consentire l'autorizzazione ai colloqui in carcere.

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mini SpagnuoloLuigi Mancuso, 19enne figlio di Giuseppe - ritenuto il boss dell'omonima cosca - è stato arrestato insieme ad un suo presunto complice (Danilo Pannace, 18 anni) con l'accusa di tentato omicidio aggravato. I due, nell'agosto scorso, avrebbero aggredito a calci e pugni un giovane rumeno, riducendolo in fin di vita. Gli arresti sono stati effettuati in esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip di Vibo Valentia su richiesta del procuratore della Repubblica Mario Spagnuolo (foto). L'aggressione ai danni del giovane rumeno sarebbe arrivata al culmine di una serie di atti intimidatori che Mancuso e Pannace avrebbero compiuto ai danni della comunità di rumeni, prevalentemente braccianti, che vive a San Gregorio d'Ippona, per indurre i migranti ad abbandonare il paese. Nel commentare gli arresti, il procuratore Spagnuolo ha parlato di "una importante pagina di legalità" per il vibonese. ''Oggi i Carabinieri e la Procura di Vibo Valentia - ha dichiarato Spagnuolo - hanno scritto un'importante pagina di legalita' in un territorio martoriato dall'arroganza e dalla prepotenza delle associazioni mafiose. La speranza della Procura di Vibo Valentia - ha aggiunto il procuratore - e' che i cittadini prendano esempio dall'atteggiamento collaborativo di quegli stranieri che hanno subito i gravi reati per cui oggi si procede''.
   

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Sabato, 10 Dicembre 2011 17:10

E' morta "mamma coraggio"

mini angela_casella’ morta Angela Casella. La “madre coraggio” si è spenta a Pavia, dopo una lunga malattia. Angela (anche se all'anagrafe era Angelina) Montagna Casella se ne è andata ieri sera, all'eta' di 65 anni, nella sua casa di via Vigentina a Pavia. Accanto a lei, fino all'ultimo, il marito Luigi ed i figli Carlo e Cesare. 
Nell’estate del 1989 si incatenò nelle piazze dei paesi dell’Aspromonte per risvegliare l’opinione pubblica sulla piaga dei sequestri di persona e sollecitare così la liberazione di suo figlio Cesare, vittima di un rapimento di ‘ndrangheta.

Figlio del titolare di una concessionaria di auto, Cesare Casella venne rapito a Pavia il 18 gennaio 1988, quando era appena diciottenne. Il suo fu uno tra i sequestri di persona più lunghi, infatti fu ostaggio dei suoi rapitori per 734 giorni.

Questo lungo calvario spingerà Angela a manifestare pubblicamente la sua disperazione di madre. La sua determinazione, che porterà i mass-media a coniare per lei il soprannome di Mamma Coraggio, crea uno rumoroso squarcio nel velo di silenzio e di omertà della Calabria di fine anni ‘80. La sua battaglia porterà lo Stato a incrementare il numero di militari in Aspromonte rendendo capillari le ricerche di sequestrati e latitanti.

Cesare fu liberato solo il 30 gennaio 1990, due anni dopo il rapimento. Proprio Angela, con la sua lotta estenuante, ebbe il merito di risvegliare l’opinione pubblica e sensibilizzare la coscienza dei calabresi. La liberazione di Cesare Casella segnò, di fatto, la fine della famigerata “industria” dei sequestri calabrese.

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