mini spera_randi«C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio». Uno dei passi salienti de “La lentezza”, il romanzo in cui Milan Kundera descrive la nostra epoca «ossessionata dal desiderio di dimenticare, ed è per realizzare tale desiderio che si abbandona al demone della velocità; se accelera il passo è perché vuole farci capire che oramai non aspira più ad essere ricordata; che è stanca di se stessa, disgustata da se stessa; che vuole spegnere la tremula fiammella della memoria». Un passo chiaro, esplicativo di un’età ed un tempo costretti a convivere con lo spettro dell’oblio. Nel momento in cui la tecnologia offre apparentemente un’illimitata possibilità di preservare il passato, si registra una grande propensione a dimenticare. Un’esistenza, la nostra, invasa dall’informazione e dalla cronaca quasi mai destinata a diventare storia. Episodi clamorosi, sui quali l’enfasi mediatica esercita la propria sconfinata energia, lasciano presto il passo al demone invisibile della “velocità”. Uno spettro al quale non sembra sfuggire nessuno, a partire dalle piccole comunità, nelle quali per secoli il racconto orale ha tramandato il ricordo di eventi lontani, di fatti senza tempo. Ciò che spesso oggi manca è, quindi, la memoria a breve termine, il vissuto quotidiano destinato a non divenire mai storia. A volte però esercitare il ricordo diventa una forma di dovere. A poco più di un quarto di secolo, un tempo relativamente breve, viene per esempio da chiedersi dove sia finita quella che i serresi, con una locuzione dialettale, avevano battezzato “la Spera randi”. Un magnifico ostensorio sparito e mai più ritrovato. Il furto, compiuto a Serra San Bruno, nella notte del 18 novembre 1982, all’epoca lasciò inebetita l’intera cittadina. A distanza di anni, il ricordo sembra invece affievolirsi, a tratti addirittura svanire. Eppure non si tratta di un’opera minore. L’ostensorio rappresentava uno dei più grandi capolavori dell’arte calabrese. Era stato realizzato a Napoli, nel 1820, presso la fonderia Russo, ad opera dell’artista serrese Domenico Barillari. Un autentico capolavoro, capace di suscitare l’ammirazione del «Presidente della Accademia delle Belle Arti e disegno D. Costanzo Angelici il quale – nel vedere il modello, secondo il resoconto fatto per la “Platea”, da don Domenico Pisani, avrebbe manifestato -  la grande sua meraviglia dicendo: non essere credibile essere quella Opra, parto d’Ingegno Calabrese». Un oggetto artisticamente imponente, del quale, Domenico Pisani, in un breve saggio dal titolo “Vita e opere di Domenico Barillari” ha scritto: «L’opera è curata in ogni dettaglio e si presenta ricca di particolari: il piede e decorato da foglie di acanto che si accartocciano  e da un tralcio di vite che si insinua intorno alla base e si ripete più in alto. Una perlinatura dorata scorre parallela ad un serto di alloro disposto in fascia mentre, al di sopra, volute fitomorfe fanno da base, sul recto, a tre statuine a tutto tondo che rappresentano la Fede, la Speranza e la Carità e, sul verso, all’Agnus Dei». Il suo grado di perfezione aveva indotto gli artisti serresi del tempo a diffondere la leggenda secondo la quale l’autore, per evitarne la riproduzione, avrebbe gettato in mare il modello ligneo. Alto 112 centimetri e largo 40, del peso di 33 libbre , quasi sei chili, venne trafugato dalla chiesa dell’Addolorata. Oltre all’ostensorio il furto interessò una pisside ed alcuni calici in argento, un crocifisso in avorio ed una statuetta della Madonna. Ad agevolare il lavoro dei ladri, la presenza, all’epoca dei fatti, di una distesa di piccoli orti collocata alle spalle della chiesa. Dal luogo in cui oggi sorge il parcheggio di piazza Tozzo i malviventi poterono introdursi indisturbati nell’edificio di culto, dopo aver segato le sbarre di una finestra che dava nella sacrestia. Sul luogo, i carabinieri rinvennero, numerose cicche di sigaretta, segno che l’operazione andò avanti per diverse ore, alcuni seghetti, una pinza e un paio di cacciavite. La chiesa dell’Addolorata, del resto, già in passato aveva attirato le attenzioni degli “amanti” di arte sacra. Come riporta il resoconto di un cronista che all’epoca si occupò del furto dell’ostensorio, «Nel ’73 in pieno giorno [venne] asportata una tela di notevole valore artistico, opera dell’artista serrese Salomone Barillari. Qualche anno fa ci fu un altro furto. In quell’occasione vennero asportati numerosi oggetti d’arte di notevole valore che non sono mai stati recuperati». Un patrimonio artistico particolarmente ricco quello custodito a Serra San Bruno, dove, già tra Sette e Ottocento si erano segnalati gli appetiti sacrileghi dei ladri. A partire dal terremoto del 1783 iniziò ad essere saccheggiato ciò che rimaneva della Certosa. Furti e ruberie, descritti in un saggio di Bruno De Stefano Manno, nel quale si risale al movente dell’omicidio, consumato nel 1844, di un certosino di origine francese, padre Arsenio Compain che avrebbe pagato con la vita il desiderio di recuperare le opere d’arte trafugate dal monastero. Oggetti ed arredi sacri spesso finiti nelle case di facoltose famiglie del circondario. A riprova le tante abitazioni sulle quali spesso campeggiano fregi ed ornamenti risalenti all’antica fabbrica certosina. Le tracce dell’ostensorio sembrano, invece, essere irrimediabilmente svanite, a dispetto del riscatto offerto, nell’immediatezza dell’evento, dalla confraternita dell’Addolorata. Sulla “Spera randi” pare essere lentamente calato il velo dell’oblio. Eppure in molti all’epoca ritenevano che l’ostensorio non avesse mai lasciato Serra, custodito in un luogo sicuro, dove nessuno sarebbe mai andato a cercarlo.

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mini dentro_la_certosa_a_sinistra_sciascia_e_a_destra_padre_basilio_caminadaL’antico monastero certosino di Serra San Bruno, nel corso dei suoi mille anni di storia, è stato meta di visitatori illustri. Questo breve excursus tra coloro i quali hanno lasciato testimonianza del loro passaggio nell’amenità dell’eremo certosino, però, vogliamo iniziarlo da chi invece avrebbe desiderato trovarci riparo e a causa di alcune vicissitudini non ha potuto farlo. Si tratta dell’autore del Decamerone, Giovanni Boccaccio. E’ da una lettera del gennaio 1371 indirizzata da Napoli a Niccolò da Montefalcone, scoperta da Sharo Gambino nella Biblioteca di Firenze, che apprendiamo la notizia di una sua possibile visita alla Certosa di Serra San Bruno. Niccolò da Montefalcone, suo amico d’infanzia, era diventato Priore del monastero di Santo Stefano del Bosco, in quel tempo cistercense, e lo aveva invitato presso il suo convento. Niccolò gli aveva prospettato «l'amena solitudine dei boschi» che circondava il monastero, «l'abbondanza dei libri, i limpidi fonti, la santità del luogo e le cose confortevoli e l'abbondanza di ogni cosa e la benignità del clima». Tutto ciò aveva indotto in Boccaccio «non solo il desiderio di vedere» quel luogo, ma anche la volontà di trovarvi dimora e rifugiarvisi «se la necessità lo avesse richiesto». Tuttavia all’improvviso Niccolò, dopo tante affettuosità, silenziosamente esce di scena dalla vita di Boccaccio, ed egli, profondamente deluso, sostiene di essere «povero e i poveri non hanno amici». Ad aprire il registro dei visitatori della Certosa figura il nome di Alcide De Gasperi insieme a quello della moglie Francesca che giunsero a Serra nel marzo del 1953, due anni dopo la disastrosa alluvione avvenuta nel mese di ottobre. La visita a Serra dell’allora Presidente del Consiglio era stata preceduta da quella del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi che qui giunse accompagnato dalla consorte e dal Ministro dei Lavori Pubblici Aldisio. Re Ferdinando di Borbone venne due volte a Serra, il 23 aprile del 1833 e il 16 ottobre 1852, quando s’inginocchiò innanzi la chiesa Matrice e al busto argenteo di San Bruno. Il 24 agosto 1923 a visitare la Certosa ci fu il principe ereditario Umberto II di Savoia accompagnato dal Contrammiraglio Bonaldi e dal marchese della Rocchetta. Il principe, dopo aver partecipato alla messa conventuale, visitò il monastero per poi ripartirsene. Sul finire degli anni ‘60 giunse in Calabria Pierpaolo Pasolini, e anche lui volle visitare il monastero bruniano, accompagnato, tra gli altri, dal regista vibonese Andrea Frezza e dall'avvocato Franco Inzillo. Il regista de “Il vangelo secondo Matteo” dopo aver visitato la Certosa e una cella certosina dove il monaco trascorre per la quasi interezza la parabola della propria esistenza, rimase affascinato dalla vita contemplativa e di clausura del monaci bruniani. Nel 1975, a varcare la porta del millenario monastero fu il celebre scrittore siciliano Leonardo Sciascia (foto: lo scrittore dentro la certosa insieme a padre Basilio Caminada) che giunse alla Certosa di Serra San Bruno seguendo le tracce dello scienziato Ettore Majorana, scomparso nel 1938 e presumibilmente morto suicida. Sciascia si recò presso il convento in cerca di conferme alla sua ipotesi che voleva Majorana monaco certosino, ma non trovò niente che potesse dare conforto alla sua tesi. La visita in Calabria di Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, ebbe inizio il 19 marzo 2001, e si concluse il 23. Il 21 marzo fu caratterizzato dalla storica visita alla Certosa, alla presenza di autorità ecclesiastiche. In quella occasione Bartolomeo I tenne un toccante discorso, a cui fece seguito un caloroso saluto del Priore Dom Jacques Dupont, che volle così accogliere l’illustre ospite. Al termine dell’evento il Patriarca di Costantinopoli fece dono alla comunità monastica certosina di una preziosa lampada votiva conservata gelosamente dai monaci serresi nella Cappella delle reliquie. L’ultima visita degna di nota è stata quella delle Regina del Belgio Paola Ruffo di Calabria per la quale, vista l’assoluta clausura maschile, è valso l’antico privilegio di consentire alle regnanti di varcare la soglia della clausura e visitare il monastero.

Tra gli eventi che resteranno nella storia in maniera indelebile vanno collocate, senza dubbio, le visite di due papi a 27 anni di distanza l’una dall’altra. Giovanni Paolo II, il 5 ottobre 1984, dopo essersi brevemente intrattenuto con la popolazione, ha visitato la comunità certosina e ha firmato il registro del monastero. Importanti furono i discorsi che il Santo Padre tenne a Santa Maria del Bosco, luogo presso il quale San Bruno era solito pregare nel laghetto ancora esistente e dove sono state successivamente trovate le sue ossa e quelle dei suoi compagni. In quella circostanza, il Papa, richiamò il particolare carisma del monaci certosini la cui presenza spirituale costituisce «il cuore di questa Regione». A Serra Giovanni Paolo II ebbe una gradita sorpresa: gli abitanti di Spadola, per riconciliarsi con l’autorità pontificia, gli restituirono simbolicamente, con una pergamena, una pantofola che i loro antenati avrebbero sottratto a Callisto II il 1121 durante la sua visita in Certosa, mentre passava dal loro paesino. E altrettanto calorosa è stata l’accoglienza riservata, il 9 ottobre scorso, a Benedetto XVI, che nel suo viaggio pastorale in Calabria ha inserito la certosa di Serra come unica meta oltre a quella lametina. Carico di significato simbolico, in questa occasione, è stato il momento in cui l’attuale Pontefice ha partecipato insieme ai monaci alla celebrazione dei vespri nella chiesa conventuale. 

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mini oratorioSERRA SAN BRUNO – Grande partecipazione e tanto entusiasmo “natalizio” per la lodevole iniziativa che si è svolta ieri pomeriggio nei locali dell’oratorio “San Filippo Neri” della parrocchia dell’Assunta di Spinetto. Gli animatori dell’oratorio, supportati dal parroco don Biagio Cutullè e da don Ferdinando Fodaro, hanno organizzato una interessante mostra di oggetti natalizi creati dai bambini della parrocchia. L’esposizione, che ha suscitato grande curiosità nei tantissimi serresi che vi hanno preso parte, è stata inoltre allietata dalla presenza di alcuni Babbo Natale che per l’occasione hanno regalato dolci e altri doni ai bimbi e alle loro famiglie. Si tratta di una delle prime iniziative dell’oratorio, nato proprio da un'idea del giovane viceparroco, Don Ferdinando, che ha trovato l’attiva collaborazione di quattro ragazze e di un musicista che frequentano la parrocchia e che stanno animando diverse attività della comunità di fedeli di Spinetto. Come spiegano gli stessi organizzatori, l’oratorio è nato come luogo di incontro per favorire la crescita personale e spirituale delle persone che partecipano alle attività sociali. Con fantasia e voglia di fare, dunque, vengono utilizzati diversi modi e forme di espressione che trovano il minimo comune denominatore nella volontà di vivere l’esperienza della fede. Gli animatori della parrocchia non mancano di coinvolgere chi frequenta l’oratorio con musica, canti, pittura, giochi e attività ricreative, il tutto con l’unico scopo di far incontrare i fedeli e di sviluppare le capacità di ognuno di essi, costruendo un luogo di incontro e di condivisione su tre pilastri fondamentali: “ragione, religione, amorevolezza”. Al gruppo originario che ha cominciato ad organizzare le attività dell’oratorio, pian piano si sono aggiunti molti altri volontari, ragazzi, ragazze e persone adulte mossi dalla voglia di incontrarsi e di condividere con gli altri tanti momenti di riflessione e di gioia.

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Miei cari accoliti, vi scrivo questo pizzinno...ehm scusate questa lettera, per lasciare ai postumi ospedalieri la mia parola. Voglio raccontarvi una parabola:" 
Un Pubblico Ministero si alzò per metterlo alla prova: "Maestro, che cosa hai fatto per ereditare la vita eterna?".Nazzareno gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi? Cui cazzu si 'ndi futta di la leggi, pentiti di 'mmerda". Costui rispose: "Amerai Don Peppe tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e con tutti i tuoi voti.... e il prossimo tuo come te stesso, ma quest'ultima non è obbligatoria".E Don Peppe: "Hai risposto bene; fà questo e vivrai".  Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Don Peppe: "E chi è il mio prossimo?". Don Peppino riprese: "Un pidiellino scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero, lo sputazzarono, le derisero, e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.  Per caso, un Padre degli umiliati scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte.  Anche un magistrato, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un consigliere regionale, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione.  Gli si fece vicino, e gli chiese quanti voti avesse, quando capì che aveva una bella famiglia numerosa, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.  Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.  Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?". Quegli rispose: "Chi ha lavorato a futtacumpagnu.". Don Peppe gli disse: "Và e anche tu fa lo stesso"

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