Venerdì, 02 Novembre 2012 15:26

Quella bara bianca ci appartiene

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Lo acclama Soriano, chiuso in quella cassa portata come una croce a spalla da giovani come lui, il giorno del suo funerale. Sul feretro,  coperto da una bandiera della Juventus, c’è una fotografia: è Filippo che sorride ancora.

E c’è Filippo nello sguardo vuoto di sua madre, perso lontano  nel tempo...Nelle  mille parole, dette senza fiato, di seguito per non fermarsi a pensare, di suo padre il giorno prima. E nei sorrisi accesi di lacrime delle sorelle che lo stringono nei loro ricordi. Nel dolore dei familiari, tutti.

Che mondo è un mondo in cui un ragazzo di soli 19 anni viene trucidato innocente, così, per “caso”? E  che  Paese è quello in cui non ci si sorprende del male, dove il male che riguarda il sud è l’ovvietà che passa sotto silenzio ? Nessuna notizia nei  TG nazionali, nessuna parola spesa dai molti politici latitanti, “distratti”. Che valore ha la vita di un ragazzo di soli 19 anni? O, forse, è  "normale" che accada nel meridione d’Italia?
Nascere in Calabria, a Soriano e  morire tornando a casa, dopo essere stati dalla propria fidanzata, non è normale, non è naturale.

Filippo era un lavoratore e veniva da una famiglia per bene come molte altre che vivono in questa terra e che non cedono all’illegalità. Questa morte  è un sacrificio insostenibile, abbiamo il dovere di non renderlo vano. Abbiamo il dovere di non pensare più che fin tanto che ci si ammazza tra bande rivali la cosa non ci riguarda: è l’indifferenza che nutre il potere criminale. Perché non ci sia mai più  un altro “Filippo”.

E' un tempo che non dovrebbe accadere mai quello del sopravvivere ai propri figli, ma succede e , mentre si può trovare una "ragione" ad una malattia, ad un incidente col tempo, ci sono  ferite, invece,  che portano con sé mille domande senza risposta fino alla fine dei giorni, di giorni come  notti buie del cuore. A noi è concesso solo di immaginare ed immedesimarci sfiorando il dolore della famiglia Ceravolo, mai potremo capire a fondo quanto sia dilaniante ed eterno. Ma c’è qualcosa che noi possiamo e dobbiamo fare: condannare chi agisce nell’illegalità, cominciando a strappare le piante marce, smettendo di dar loro da “bere” i nostri volti e i nostri sguardi .

Insegniamo ai nostri figli la gioia del sacrificio e l’umiltà della  dignità. Insegnamo che il valore è in loro, non nelle cose. Insegniamo che il denaro “non” è facile ! Che c'è sempre una strada migliore ed onesta percorribile, forse più faticosa, ma leggera nel cuore. Perché nessun giovane venga più reclutato dalle mafie.

Nei miei occhi chiusi, Filippo è la voce felice di sua madre che riecheggia ancora in un bel giardino, uno stereo e la musica. E’ il rumore molesto di un motorino che scorazza per queste vie nei giorni di sole; è una mano tirata su a salutare con rispetto ed un sorriso buono appena accennato ; è una divisa sportiva ed un pallone che corre sul campo di calcio.

 E’ la vita che gioca e sorride spensierata. E’ la vita che vuole “andare” a mille all’ora…

Di notte è  il motore di un furgone che passa alle quattro  diretto verso qualche mercato, una fiera o una festa patronale . E’ lo stesso rumore che torna il pomeriggio, quando ogni casa ha finito di pranzare. E’ la vita che cresce col sudore onesto.

Soriano lo sa e si stringe attorno a questa famiglia ed al suo dolore, Soriano non è quell’arma che ha ucciso, Soriano è Filippo . Questo paese si indigna e dice “no” alle mafie e  sente  il dovere della memoria perché questa barbarie non si ripeta mai più, perché la morte si tramuti in vita.

Nel vuoto pieno di volti cari di questi giorni,  campeggiano nella casa dei Ceravolo delle  coppe sistemate  con devozione su un mobile , appartengono a Filippo e al suo papà. Parla, Martino, di come si sia sentito strappare il cuore vedendo suo figlio riverso sull’asfalto, di come aveva corso verso di lui, ricevuta quell’orribile telefonata, perdendo il controllo dell’autovettura  ben tre volte .Correva contro il tempo, verso Pizzoni, temeva in cuor suo che non l’avrebbe riabbracciato vivo. Parla del bambino che era e dell’uomo che sognava di diventare, del vuoto che sente, della sua solitudine. Martino ha perso un figlio, un amico, un compagno ed un fratello. Voleva comprare un nuovo camion per il lavoro appena ne avesse avuto la possibilità, Filippo, e regalare ai suoi genitori una crociera per il loro venticinquesimo anniversario di nozze. Trattiene le lacrime e ritorna ai suoi abbracci affettuosi. Racconta la sua gentilezza, di come accompagnava le signore alla macchina portando le buste della spesa; mi parla delle sue paure quando chiacchierando con qualche poliziotto o carabiniere che acquistava i loro prodotti, chiedeva se non avessero timore di portare un’arma ed effettuare operazioni pericolose. Concludeva sempre che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di svolgere quel lavoro.

E parlano le sorelle, raccontano di un ragazzo che aveva paura dei  tuoni durante i temporali e  di restare solo in casa, ma al cognato, che gli raccomandava di non uscire di casa dopo gli ultimi omicidi avvenuti nel nostro territorio, rispondeva: "Cosa vuoi che facciano a me?".

In una bella lettera la sorella Maria Teresa scrive: "Ricordo le marachelle che combinavi, mi fanno sorridere, come quella volta che hai litigato con me e con Simone e hai fatto finta di andartene via di casa ed invece, fifone com’eri, ti sei nascosto sotto il tuo letto e non vedevi l’ora che io mi alzassi per venir fuori perché non ce la facevi più". E la piccola Giusi, di appena otto anni: "Caro Filippo mio bello, io sono sempre con te anche se sei in cielo, io sarò sempre con te e ti parlerò e verrò sempre, ma proprio sempre a parlarti…Per me sarai sempre il miglior fratellino del mondo".

Era ingenuo  e dolce, buono e generoso. La nonna materna ricorda che quando le comprava  qualcosa  cercava di non farlo pesare dicendo che gli era stato regalato da qualcuno. 

Martino lo conosco da quando ero bambino, conosco lui e la sua famiglia. Sua madre ha allevato i suoi figli  insegnando loro il sacrificio del lavoro onesto. La signora Sina, così la chiamiamo, era la “signora bidella” del Liceo Scientifico. Rimasta vedova presto, era una donna forte. Teneva sempre il suo sguardo vigile sui ragazzi. Una presenza a cui riconoscevamo autorevolezza e rispetto.

Mi racconta, di come negli ultimi anni del suo lavoro in quel Liceo si respirasse una società diversa, cambiata, "non sono più" dice "i tempi di un tempo…" ed orgogliosa celebra un suo cognato, oggi Professore, che all’epoca in cui studiava e si trovava a Soriano in vacanza, aiutava la famiglia. Ricorda la meraviglia delle persone nel vederlo lavorare e la dignità con cui lui aiutava i fratelli commercianti a sistemare i vasi destinati alle vendite. Non sono più i tempi di un tempo, è vero! Ma non è colpa dei giovani, riflettiamo…

Martino non trova la forza di ricominciare ora che il figlio non c’è più. Si alzava con lui ogni mattina alle 4.00; la sera prima lo aiutava a sistemare la roba sul camion per il giorno dopo, gli diceva che era meglio se ne occupasse lui, dal momento che  il padre stava diventando vecchio. Era instancabile, tornato a casa, aveva ancora la forza di giocare a calcio, la sua grande passione, ci metteva l’anima. Uno zio lo rammenta piccolo organizzare le partite con i cugini, ricorda i litigi e l’impegno che ci metteva. "Ogni partita per lui era come la Champions" , aggiunge il padre sorridendo.

E poi c’è Anna, la madre, il cui nome il ragazzo voleva tatuare sulla sua pelle. Nel suo sguardo perso nel tempo c'è un giorno sacro che è quello della vita che nasce e poi mille altri fatti di stelle sfavillanti nei suoi occhi, di carezze e premure, di vittorie e sconfitte, di notti insonni. L'amore verso il figlio è saldo nel profondo dell’ essere e non vi è nulla su questa terra che possa esservi paragonato, nulla.

La raggiungeva nel lettone, racconta, se c’era un temporale di notte; la costringeva a mettere la cintura di sicurezza in macchina anche se si sentiva soffocare, perché era prudente e senza cintura in macchina con lui non  si saliva; bussava piano la sera quando tornava dalla casa della ragazza con cui era fidanzato da quasi due anni per non svegliare il padre. Ad Ivana aveva  comprato un regalo per il suo compleanno ed aveva deciso di darglielo giorni fa, stranamente aveva voluto che lo avesse prima…

Buono e generoso nei ricordi di quanti lo hanno conosciuto, Filippo lascia un vuoto incolmabile e vola via, Angelo  tra gli Angeli.

Parli ancora la sua voce, come un’eco che risuona nei nostri cuori senza mai infrangersi.

Angela Varì

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Venerdì, 02 Novembre 2012 12:12

Madre Courage e i suoi figli

mini enotrio-pugliese-onorata-societa-tre-donne-e-bambino_1Donna, spesso, è sinonimo di madre, e da uomo, ho sempre avuto gran rispetto per la donna. Rispetto in lei, nella natura che la predispone all’essere madre. Nella letteratura calabrese, nella poesia, la donna, sempre è stata trattata come un essere puro, quasi sacro, mai venendo meno, mai dissacrando questo principio di “santità della donna”.  Cosi scriveva mio Sharo Gambino. “Santità intesa come purificazione mediante la maternità, anche quando la maternità è mancata per un difetto della natura o perché non c’è stato il  seme a compiere il miracolo eterno della vita”. La donna dunque protagonista della famiglia e della società. Madre sinonimo di amore e di dolcezza. In Calabria, spesso, donne forti, destinate ad un destino che spesso le ghettizza, le rinchiude, le arresta in casa. Alvaro stesso, spesso parla di donna e di destino, nei suoi romanzi. L’opera tutta di Alvaro, quella letteraria, è da considerarsi palcoscenico di umanità, sulla cui ribalta la donna recita sempre un ruolo di primo piano. L’immagine che ho io della donna in questi giorni, purtroppo, è molto più cruda e triste. La descrizione della madre fatta da Ignazio Buttitta in “Lamento per la morte di Turiddu Carnovali”, di quella santità che da emblema di amore diventa odio e rabbia, l’odio di colei che si vede strappato il frutto del suo grembo, il dolore che solo e soltanto una madre può provare. Di nuovo Alvaro. Quella madre che non esita a mutarsi in “fiera” dalle unghie graffianti a lanciare l’anatema contro chi era stato la causa della rovina degli Argirò. “Maledizione a chi dico io. Maledizione a chi ha voluto il male delle creature innocenti. Che li fascino con l’allume di rocca, che vadano mendicando per i forni, che non abbiano pace, che la madre li vada cercando e non li riconosca” Questa madre, queste madri greche nel sentimento, nel volto, nei costumi e negli atteggiamenti, si legano con un filo conduttore lungo secoli a Medea. Non a quella Medea di Seneca, per il quale ella uccide i propri figli per gelosia verso il marito che l’ha abbandonata, ma alla Medea assai meno terribile de “La lunga notte di Medea”, che uccide i suoi figli non sopportando l’idea che essi debbano soffrire la fame o l’oppressione o l’esilio dell’emigrazione, li uccide per salvarli. Un amore talmente forte che arriva quasi alla perversione, ad una cinica interpretazione della realtà che non lascia spiragli e che vede la morte violenta come l’unica soluzione Le madri di ragazzi innocenti, le madri di ragazzi che sono stati inghiottiti dal fascino perverso della mafia, le madri che si sono trovate in mezzo ad una guerra di 'ndrangheta senza sapere come e perché e piangono mariti morti, figli in galera, figli probabili bersagli.”Fino a che si ammazzano tra di loro….” le donne non sono mai “tra di loro”, perché questi famosi “loro” che si ammazzano selvaggiamente sono figli di donne disperate. A loro il mio pensiero. Oggi specialmente alla madre di Filippo, oggi ancora alla madre di Pasquale.

(Enotrio, Onorata Società - Tre donne e un bambino)

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mini s.onofrioVIBO VALENTIA – Stamattina, di fronte alle scuole elementari di Sant'Onofrio, una donna di 30 anni è stata accoltellata. Ad aggredirla sarebbero state una donna di 53 anni, Lucrezia Schiavone, nota alle forze dell’ordine, e la figlia Angela, 31 anni. Secondo quanto si è appreso, madre e figlia si sarebbero scagliate sulla malcapitata, con cui pare ci fossero forti attriti, colpendola prima con calci e pugni e poi con un coltello. La donna, ferita più volte alla schiena, è stata soccorsa da alcuni passanti che l’hanno condotta all’ospedale "Jazzolino" di Vibo, dove le sono stati applicati 20 punti di sutura. Le presunte responsabili, subito dopo l’aggressione si sarebbero date alla fuga. In meno di un’ora i carabinieri hanno rintracciato la madre mentre tentava di dirigersi verso Vibo, e l’hanno arrestata con l’accusa di tentato omicidio in concorso. La figlia risulta ancora irreperibile. 

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mini pasquale_con_la_madre_maria_rosaRiceviamo e pubblichiamo:

Quanto è difficile aggiungere qualcosa quando si leva un grido di dolore come quello della madre di Pasquale Andreacchi. Quelle parole risuonano ancora, cariche di sofferenza, nelle strade di Serra San Bruno, nella piccola Chiesa dell’Assunta, tra gli alberi e le foglie ingiallite di quel bosco dove sono stati rinvenuti gli sventurati resti del giovane scomparso 3 anni fa.

Chiede giustizia, quella madre, ma chiede anche di non essere lasciata sola con quel vuoto immenso che solo la morte di un figlio può suscitare. Chiede che quello che è successo a lei non succeda ad un’altra madre. Che la gente di quei luoghi, della nostra terra, della nostra regione, scacci da sé la mala erba della malavita organizzata e scelga la legalità quotidianamente nei grandi come nei piccoli gesti.

E certamente uno di questi piccoli grandi gesti poteva essere il corteo in memoria del “gigante buono”, perché il rifiuto della tragedia di un singolo giovane poteva essere la rinascita di tutti, sotto il segno di un ritrovato senso civico.

Invece, un’altra occasione, l’ennesima, ci è sfuggita di mano, tra le occhiate furtive di chi, dietro le tende o le finestre, sembrava guardare a qualcosa di lontano, che quasi non lo toccava affatto. Ed invece questo lutto tocca tutti noi, perché è il lutto delle nostre coscienze, distratte e stanche. 

Distratta la politica, intenta a tessersi le lodi addosso; distratta la scuola, che si fa orpello dei grandi ideali e di progetti didattici che poi ingialliscono in un cassetto; distratta la Chiesa, che avrebbe dovuto esaltare l’umiltà e dignità di questa famiglia; distratta anche quella società civile di cui tanto si favoleggia.

Il pensiero corre alla famiglia, ad un padre ed una madre e ai loro figli, che hanno chiaramente elevato un grido di aiuto a chi dovrebbe stargli vicino, istituzioni e cittadini, che se non sono riusciti a confortarli nell’anima come avrebbero dovuto, almeno potrebbero alleviare le pene di una esistenza difficile contro cui ogni giorno gli Andreacchi combattono.

Dove sono allora, quei servizi sociali che dovrebbero fare da rete, proteggere chi è in difficoltà. Un tema che ci eravamo permessi di sollevare con l’amministrazione comunale qualche tempo fa e che avevamo chiesto di potenziare, adibendovi anche, se necessario i lavoratori socialmente utili che prestano servizio in quell’ente e che, non per forza debbono fare i netturbini. Ma quell’idea è stata accantonata con la superficialità tipica di chi non ha cultura e nemmeno cuore preferendo rispondere ad altri, meno nobili,  richiami. Oggi, il senso di abbandono denunciato da questa famiglia suona come la condanna di quella scelta miope dell’amministrazione comunale, che noi avevamo considerata cinica e che oggi ci fa orrore.

Come pure occorre dare agli Andreacchi un degno alloggio poiché quello in cui sono costretti a vivere, ridotto quasi ad una stamberga, non riuscirà a proteggerli dalle intemperie e dal clima rigido dell’inverno serrese che velocemente si avvicina. Anche qui, i ritardi un’amministrazione comunale ed un Aterp che, mentre una decina di famiglie serresi vive in semibaracche, non intervengono con la dovuta solerzia per riadattare gli alloggi disponibili ed assegnarli subito ai primi in graduatoria. Attività, queste, che dovrebbero provocare gioia in chi risolve i problemi degli ultimi ed invece si fanno trascorrere anni relegando i cittadini in condizioni subumane. Ma nel frattempo in questo quadro di desolazione, si continua a premiare l’attività di burocrati che hanno solo inanellato ritardi e miopie programmatorie ed infatti sono pronti per essere  erogati dall’Aterp centinaia di migliaia di euro a titolo di liquidazioni ad un ex Commissario dell’Ente, sottraendo risorse su risorse agli interventi che invece potrebbero essere resi agli alloggi. Come sempre pochi si arricchiscono a dismisura ed il popolo ignaro soffre. La Procura della  Repubblica e la Corte dei Conti dovranno fare luce su questo, che ci ripromettiamo di segnalare dettagliatamente.  I costi della politica ,che in questa provincia misera ammontano a circa 2 milioni di euro all’anno, sono anche questo, premi a chi vive sotto l’ombrello protettivo dei padroni dei partiti e sottrazione di servizi ai cittadini.

Una madre ha gridato il suo orrore davanti alla solitudine di una famiglia che può stringersi soltanto intorno ad una assenza incolmabile. Quanto ancora le nostre orecchie ed il nostro cuore rimarranno così sordi? Quanto tempo ci vorrà perché i cittadini aprano gli occhi e si ribellino?

Luciano Prestia

(segretario provinciale Uil)

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mini bruno_rosi_miniIl sindaco di Serra San Bruno, Bruno Rosi, interviene per rettificare ciò che era stato comunicato oggi pomeriggio dal delegato alla comunicazione dell'amministrazione comunale serrese. Quest'ultimo - il rag. Cesare Staropoli - aveva comunicato che la Madre Superiora delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret aveva revocato l'ordinanza di ritiro delle consorelle dall'asilo infantile "Chimirri". Il sindaco dopo qualche ora spiega che in realtà la Madre Superiora ha dato la disponibilità a verificare le condizioni per rivedere la determinazione adottata. Di seguito la nota inviataci dal sindaco di Serra.

"Esprimo soddisfazione per l’andamento dell’incontro con la Madre Superiora delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret - al quale ha preso parte anche il direttore didattico dell’Asilo infantile “Caterina Chimirri”, professor Angelo Rizzo - che ha deciso di approfondire la questione relativa al ritiro delle Consorelle dimostrandosi disponibile a meglio valutare la situazione e a vagliare l’opportunità di revocare il provvedimento di ritiro. In quella occasione ho avuto modo di ribadire il contributo di spiritualità apportato dalle Suore non dimenticando di sottolineare l’importanza, in termini morali, religiosi, storici e culturali, della loro presenza nella cittadina della Certosa. La Madre Superiora, confermando la sua sensibilità verso la tematica, ha dato la sua disponibilità a verificare le condizioni per rivedere la determinazione adottata e, nel più pessimistico caso di mancata revoca dell’atto, si è detta favorevole all’allungamento dei tempi in modo da consentire alla nostra cittadina il congiungimento con un nuovo Istituto religioso. È chiaro che il nostro lavoro va nel senso di mantenere le Suore della Carità riconoscendo il valore di questo patrimonio umano e spirituale per la nostra comunità”.

Bruno Rosi

- Sindaco di Serra San Bruno - 

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Venerdì, 22 Giugno 2012 14:49

Serra, l'asilo Chimirri non chiuderà

mini serra_san_brunoRiceviamo e pubblichiamo:

Comune di Serra San Bruno, Revocata l'ordinanza di ritiro delle Consorelle da parte della Madre Superiora - Asilo Infantile Caterina Chimirri. Mercoledi, 20 Giugno, il Sindaco di Serra San Bruno, Bruno Rosi e il Direttore Didattico dell'Asilo Infantile Caterina Chimirri, Dr. Angelo Rizzo, nella sede di Pizzo Calabro, hanno ufficialmente incontrato la Madre Superiore delle Suore della Carità, in merito alla decisione della stessa di ritirare le Consorelle da Serra San Bruno. Il Sindaco ha relazionato su danni morali, religiosi, economici e storici che tale inderogabile decisione avrebbe arrecato all'intera nostra comunità. La Madre Superiora, insieme alle Consigliere, d'avanti agli argomenti esposti, hanno REVOCATO il provvedimento, chiedendo alla Comunità di Serra San Bruno, di pregare intensamente perchè, giungano nell'ordine nuove vocazioni.

Il Delegato alla Comunicazione del Comune di Serra San Bruno, rag. Cesare Staropoli

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mini jovanovic_goranDi seguito la nota stampa diffusa dal Capitano Stefano Esposito Vangone, Comandante della Compagnia Carabinieri di Serra San Bruno:

"Nella tarda serata di venerdì i Carabinieri del Comando Stazione di Polia, unitamente al personale del Comando Stazione CC di Monterosso Calabro e del locale Comando del Corpo Forestale dello Stato hanno tratto in arresto, nella flagranza di reato di furto in abitazione:

  1. 1.JoVANOVIC GORAN (foto) nato in Croazia il 10.01.1981 ivi residente, in Italia senza fissa dimora, pregiudicato, rom;
  2. 2.JoVANOVIC NATALIJA nata in Croazia il 31.07.1984, ivi residente, in Italia senza fissa dimora, rom;
  3. 3.NIKOLIC IVAN nato in Croazia il 19.12.1955, residente a Roma (RM), vedovo, pregiudicato, nullafacente;
  4. 4.JoVANOVIC LIDIJA nata in Croazia il 21.01.1984, residente a Zagarolo (RM), nubile, nullafacente.

I militari sono intervenuti nel centro cittadino di Polia a seguito della richiesta di aiuto di D.M, il quale, dal balcone del piano superiore della propria abitazione, aveva scorto i quattro soggetti entrare con prepotenza all’interno del sottostante appartamento abitato della propria anziana madre, T.C. classe 1919.

Sceso al piano inferiore, poiché insospettitosi e allarmato dalla presenza degli sconosciuti in casa della madre, Il D.M. ha sorpreso i quattro rom girare indisturbati dentro l’abitazione, mentre questi, al contempo, intimoriti e ostacolati nei loro progetti dalla presenza dell’uomo, si sono dati a repentina fuga.

In tale frangente gli equipaggi sopra indicati, impegnati in un servizio di controllo del territorio, sono riusciti ad intercettare i malviventi mentre gli stessi, saliti in auto, stavano tentando di fuggire, provando, altresì,  nella circostanza, ad investire un militare del corpo forestale che si era loro parato davanti per ostacolarne la fuga.

Tutti i soggetti sono stati tratti in arresto per il reato di tentato furto in abitazione in concorso, nonché per il reato di resistenza in danno del personale del corpo forestale.

Il “modus operandi”, le circostanze di tempo e di luogo, nonché l’età della vittima, fanno ritenere ai militari che gli arrestati potrebbero essere coinvolti anche nei numerosi furti in abitazione perpetrati in danno di anziane signore nel centro cittadino di Serra San Bruno. Le attività d’indagine in corso, pertanto, terranno in considerazione anche le attuali risultanze investigative, non escludendo la possibilità di addebitare ai quattro rom croati, numerosi fatti reato perpetrati in quel centro cittadino nel recente passato".

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mini barbieri-filippinaSi parla, tra le ipotesi, di una presunta diagnosi tardiva. Fatto sta che Filippina Barbieri (foto), 58 anni, vedova, è deceduta all'alba di ieri. Ha avuto un’emorragia interna, e in relazione ad un eventuale ritardo nella diagnosi - o ad altre circostanze che possano essere alla base della vicenda - potrebbe profilarsi un nuovo caso di malasanità. Sull’episodio, infatti, è stata avviata un’inchiesta da parte della polizia e coordinata dal pm di turno, Vittorio Gallucci. Filippina Barbieri risiedeva con il figlio ventenne, Francesco Grande, a Mezzocasale, frazione di San Gregorio D’Ippona. E’ morta poco prima di essere sottoposta ad intervento chirurgico per tentare di arrestare l’imponente perdita di sangue, una volta risultate inutili due trasfusioni. L’indagine è partita dopo che ieri mattina Francesco Grande ha presentato denuncia presso la Questura di Vibo. La polizia, quindi, ha subito posto sotto sequestro la cartella clinica e ogni altra idonea documentazione sanitaria. Il figlio della donna, senza accusare pregiudizialmente nessuno, ha invocato quasi con serenità che venga fatta chiarezza. Di seguito le dichiarazioni rilasciate dal giovane al Quotidiano della Calabria. «Chiedo – ha insistito il ragazzo - chiarezza a chi di competenza e se ci sono responsabilità di accertarle e di avere risposte precise sulle cause che hanno provocato la morte di mia madre. Vorrei conoscere se è stato fatto tutto il possibile per salvarla e come mai non è stata fatta prima la tac, che ha rivelato la emorragia quando già era in fase avanzata». Il giovane ha nominato come difensore di fiducia l’avvocato Maria Grazia Pianura, che ha subito contattato come eventuale consulente di parte il medico legale catanzarese Massimiliano Cardamona. «Penso che il magistrato – ha dichiarato il legale – farà effettuare l’autopsia e presto dovremmo essere convocati per l’affidamento dell’incarico». Francesco Grande ha spiegato al Quotidiano che da tre anni la mamma soffriva di pancreatite, ma quando aveva delle crisi bastava che facesse le cure e i valori rientravano nella norma. «Preciso – ha detto – che mia madre era stata ricoverata nel reparto medicina dell’ospedale di Vibo dal 27 dicembre sino al 3 gennaio scorso quando è stata dimessa con una terapia da effettuare a casa. Ieri sera (sabato) ha avvertito dei dolori all’addome e alla schiena. Telefoniamo al 118 e l’ambulanza arriva quasi subito, fatta precedere dal medico di guardia. Al pronto soccorso, anche se in codice verde, mia madre viene visitata subito perché non ci sono pazienti in attesa. Le vengono praticati antidolorifici. Dagli esami risulta che non si tratta di pancreatite. La lastre non rivelano nulla. E’ molto pallida e fredda. I dolori aumentano. Viene trasferita in chirurgia generale. Con un filo di voce mi chiede di aiutarla. La pressione è molto bassa. Arrivano tutti gli specialisti reperibili. Mia madre viene rianimata e la pressione risale. I medici se ne vanno ma la situazione permane grave. La dottoressa di turno del reparto di chirurgia decide per una tac che rivela la emorragia. Ritornano i medici e le vengono trasfuse due sacche di sangue. Ma non si riprende. Si decide per l’operazione e prima di entrare in sala operatoria dico a mia madre: ti aspetto qua.non l’ho più vista viva». 

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