Sabato, 27 Aprile 2013 13:49

La mafia è di destra o di sinistra?

mini enotrio-pugliese-onorata-societa-casolare-uomo-fucile_1La mafia è di destra o di sinistra? Tranne qualche eccezione, come ad esempio la famiglia Mancuso di Limbadi, che storicamente o almeno fino a qualche decennio addietro si professava di sinistra, la mafia e la ‘ndrangheta hanno sempre appoggiato politiche e partiti di centro e di destra. Eccezione, forse non unica, Ciccio Mancuso, capostipite della famiglia malavitosa che fu ai suoi tempi iscritto al PCI, e fiero della sua tessera di partito in tasca, avviò, con scarsi, scarsissimi risultati la propria progenie alla ad una formazione di sinistra. Anche le varie diversificazioni della cultura popolare sono state a volte assorbite dalla malavita. Per vestire il ruolo dell’”istituzione” ‘ndrangheta di un’aura popolare, di tradizione, vengono creati miti rubando anche musiche e balli. Questo accade principalmente per creare scientificamente quel substrato di cultura deviata che attecchisce nelle classi più disagiate e nei giovani, che per primi vengono affascinati da questo potere malvagio, che dapprima nasconde il suo vero volto di dolore, e mostra le sembianze di bella donna ammaliatrice. Lo stesso desiderio di darsi “nobili” origini, di autoproclamarsi prosieguo del brigantaggio, è una delle bugie maggiori e molto meglio riuscite alla mafia. I tre cavalieri Osso, Mastrosso e Carcagnosso, la ‘ndrina, l’onorata… Il brigantaggio fu un movimento popolare perchè canalizzò la carica di protesta e i fermenti di ribellione delle classi subalterne calabresi, anche se in forme individualistiche e prepolitiche. Anche se non si può certo negare il tentativo spesso riuscito di strumentalizzare questo movimento rivoluzionario, che potremmo, al limite, anche se con le dovute proporzioni, paragonarlo più che alla mafia al movimento partigiano (anche se quest’ultimo molto più politicizzato) o a tentativi di rivolta armata come può essere stato il movimento del sessantotto e le brigate rosse. 

La mafia, contrariamente a quanto spesso, troppo spesso viene scritto, non è mai stata popolare, non è cioè un insieme di manifestazioni delle classi subalterne, ma riguarda essenzialmente determinati gruppi di classi dominanti che, in alcune circostanze e per determinati motivi, gestiscono il potere o cercano di entrare a farne parte in modo subdolo e sotterraneo. Il fenomeno della mafia può essere compreso nella sua genesi, nelle sue implicazioni, nella sua funzione, in una prospettiva rigorosamente marxista, che utilizzi, s’intende, anche i concetti elaborati dalle “scienze dell’uomo”, senza però cadere nell’ambiguità tipica dell’uso borghese di esse, per cui vengono ad esempio arbitrariamente assimilati i concetti di gruppo e di classe, che “marxisticamente” vanno nettamente distinti in questa prospettiva. Occorre partire dalla divisione della società in classi contrapposte, dominante e subalterna. La mafia costituisce il tentativo delle classi dominanti di conservare l’egemonia o di partecipare ad essa in maniera maggiore, attraverso mezzi extralegali o sovrapposti al potere legale e organizzando, quindi, una serie di comportamenti che servono al mantenimento del dominio di classe. L’aspetto reazionario della mafia è immediatamente percepibile sol che si pensi alle forze politiche (decisamente conservatrici) che si poggiano ad essa e che essa appoggia, sempre nel senso opposto alle rivendicazioni dei contadini e dagli operai (la strage di Portella della ginestra o la repressione di Caulonia o l’uccisione delle decine di sindacalisti siciliani, o di Peppe Valarioti in Rosarno). La connessione tra mafia e forze politicihe conservatrici è stata sottolineata da diversi autori. Gemelli nota: “L’origine di questa famosa istituzione risale all’epoca feudale, quando alle forze pubbliche sostituivasi dappertutto la forza personale, quando il barone, il proprietario per difendere la roba erano obbligati a tenere al proprio obolo delle squadre di uomini facinorosi i quali proteggevano è vero il castello e la masseria, ma a patto di essere difesi e protetti contro le autorità per tutte le prepotenze e delitti e ruberie che commettevano agli altri” (Storia della Siciliana Rivoluzione del 1848). Il radicamento attuale dei partiti di destra nella ‘ndrangheta è oramai evidente e lo si percepisce nel territorio, anche se spesso anche i partiti di sinistra non ne sono immuni. Un’associazione di sinistra, che lavora sul territorio, che cerca di veicolare ai giovani punti di vista diversi dal pensiero dominante, sempre improntati alla solidarietà e al collettivismo, per i motivi storici che ho cercato di riassumere in questa riflessione, e perchè mantiene viva la cultura popolare e antagonista, è ancora destinataria di teste di pecore sgozzate, perché - e di questa espressione la mafia può assumersi tranquillamente la paternità - “lu cumannari è miegghjiu di lu futtari”.

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mini incastri_-_pasqualeRiceviamo e pubblichiamo:

L’organizzazione IN.CA.STRI – INterculturali CAmmini illuSTRI, presieduta da Donatella Cristiano, con la collaborazione del coordinamento antimafie “Libera”, indice le Giornate della Responsabilità Civile in Memoria delle Vittime di Mafia, che avranno luogo sabato 6 sabato 13 aprile 2013 c/o Serra San Bruno (VV).

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mini enzo_ciconte_politicimalandriniRiceviamo e pubblichiamo:

‘Ndrangheta, magistratura, politica e massoneria: un quadrato perfetto con al centro alcuni uomini infedeli dei servizi segreti. È questo il singolare ritratto del malaffare mafioso in Italia che emerge dal nuovo libro di Enzo Ciconte Politici e malandrini da qualche giorno in libreria. A leggere le pagine del volume, ma anche a sfogliarne solamente l’indice, emerge chiaramente come il libro affronti l’argomento sia nella sua complessità storica e sociologica sia nella dovizia di fatti, personaggi e particolari che restituiscono al lettore l’immagine di una ‘ndrangheta capace di stringere rapporti e alleanze con politici a vari livelli passando dal controllo diretto o indiretto delle amministrazioni comunali fino ad arrivare all’infiltrazione negli organi di governo regionali e nazionali (e persino in paesi lontani dall’Italia come l’Australia).
Grande attenzione è posta al problema della presenza della ‘ndrangheta nelle fila delle amministrazioni pubbliche e dei partiti che operano nel Nord Italia dove nella ricerca dell’obiettivo dell’elezione a tutti i costi, di fronte al tramonto delle ideologie e della conseguente incapacità dei partiti di attrarre consensi, nuovi e vecchi politici in carriera non hanno disdegnato di chiedere “una mano” ai boss per raggiungere il risultato prefisso. In uno scenario così fosco l’autore non manca però di raccontare anche le storie dei tanti “signornò” che all’onore mafioso hanno preferito quello della buona coscienza e dell’onesta.

Il libro
La ’ndrangheta è l’organizzazione mafiosa in perenne trasformazione. La storia del filo che lega politici e ’ndrangheta è quella più negletta perché la mafia calabrese ha vissuto per un lungo periodo storico in una zona oscura impenetrabile alla conoscenza. Fare la storia del rapporto tra malandrini e politici vuol dire affrontare – e cercare di spiegare – una diversità che fa della ’ndrangheta un unicum nel panorama mafioso. La ’ndrangheta in determinati momenti storici si è differenziata da mafia e camorra sia perché ha stabilito relazioni con il Pci e con la destra eversiva, sia perché è l’unica organizzazione ad avere rapporti con uomini politici che operano nel Centro-Nord Italia e persino in alcuni Paesi stranieri. La ’ndrangheta s’è assicurata la protezione di una borghesia mafiosa ingorda ma anche miope, senza ideali e incapace di immaginare un futuro per la propria terra diverso da quello della subalternità ai governanti di turno o ai mafiosi. ’Ndrangheta, magistratura, politica e massoneria sono un incrocio perfetto. Al centro, come una rotonda che regola il traffico, uomini infedeli dei servizi segreti. Nella prima parte c’è il racconto di lunga durata che dalla Calabria del 1861 arriva sino ai nostri giorni. La seconda parte è dedicata al condizionamento ’ndranghetista su pezzi della politica di alcune regioni: Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Liguria, Lombardia. La terza parte mostra come la ’ndrangheta si sia interessata di politica in giro per il mondo. La quarta parte illustra alcune forme recenti di resistenza e di ribellione alla prepotenza e alla volontà di dominio ad opera in particolare di sindaci o di assessori o consiglieri comunali calabresi e del Nord Italia.

L'autore
Enzo Ciconte insegna Storia della criminalità organizzata all'Università Roma Tre e Semiologia e analisi del linguaggio mafioso all'Università dell'Aquila. È considerato tra i massimi esperti di fenomeni mafiosi.

Antonio Cavallaro
Ufficio stampa
Rubbettino Editore

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VIBO VALENTIA - La Squadra Mobile di Vibo ha tratto in arresto due soggetti: si tratta di Rosario Battaglia, 28enne di Piscopio e di Raffaele Moscato, 31 anni di Vibo Marina, entrambi ritenuti affiliati al gruppo di 'ndrangheta dei Piscopisani, contrapposto al clan Patania di Stefanaconi nella guerra di mafia che sta interessando i centri alle porte di Vibo Valentia. I due, arrestati ad aprile per il possesso di una pistola nel corso delle indagini su un omicidio, erano stati poi scarcerati il 9 ottobre scorso per decorrenza dei termini massimo di carcerazione preventiva.  

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mini sharo_per_vizzarro_1Quando aprì il portone del suo appartamento, Sharo Gambino rimase impietrito. Era l’inizio del 1973. A Serra San Bruno faceva freddo e “Don ‘Ntoni” Macrì era avvolto in un cappotto scuro. Lo guardava dritto negli occhi. Il mammasantissima della ‘ndrangheta jonica disse che era andato in quel palazzo perché doveva recarsi da un notaio che stava al piano di sotto. Almeno così disse. E per caso si era accorto del nome sul citofono. Sharo lo conosceva bene: sulla scrivania, di là, c’erano le ultime bozze della seconda edizione de La mafia in Calabria. Aveva già scritto di quel boss della vecchia mala reggina, e lui adesso era lì davanti che provava a spiegargli, con un elegante giro di parole, il senso della sua inaspettata visita. Aveva letto, oltre che qualche suo articolo sulla ‘ndrangheta, anche la prima edizione del libro-inchiesta sulla ‘ndrangheta, e si dimostrava quasi sorpreso del clamore suscitato da sequestri e omicidi.

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mini Nicodemo_OliverioLa farsa del "Decreto liste pulite" è risultata alla fine un provvedimento virtuoso da parte del Governo Monti. In sostanza, nessun politico (passato e presente) che ha avuto problemi con la Giustizia rientra nella morsa del Decreto. Infatti, il testo che prevede i criteri di incandidabilità riporta che saranno esclusi coloro che hanno subìto «condanne definitive a più di due anni per delitti di allarme sociale (mafia e terrorismo) e contro la Pubblica Amministrazione (corruzione, concussione, peculato), nonché chi è stato condannato a più di due anni per delitti non colposi per i quali sia prevista una pena non inferiore nel massimo a 4 anni, (stalking, voto di scambio, aggiotaggio, reati fiscali, ecc.)».

Una mossa studiata a tavolino, come se prima della stesura del testo, parlamentari e senatori abbiano confessato le loro condanne per rientrare nei termini di legge. Anche Berlusconi ne esce pulito. Un plauso per il Governo Monti!

«Auspico ? sottolineava infatti la presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio Giulia Bongiorno ? che i partiti si dimostrino ancora più rigorosi della legge approvata, prevedendo regole e limiti ben più stringenti sulle candidature».

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Venerdì, 28 Dicembre 2012 16:28

‘Ndrangheta. Una piaga d'importazione

mini sharo_-_la_stampaA ben leggere nelle vicende storiche della 'ndrangheta, il suo dapprima lento e poi via via sempre più accelerato accrescimento è anche frutto di grossolani errori di valutazione. L'onorata società calabrese è stata in ogni tempo sottovalutata e ritenuta pericolo minore rispetto a quella siciliana. La riprova è nell'intervento delle forze dello Stato nella Locride e sull'Aspromonte, prima quasi inesistente ed ora massiccio in seguito alla frustata inferta moralmente da una madre scesa da Pavia in Calabria por cercare di recuperare il figlio prigioniero dell’anonima.

Il primo errore fu commesso all'alba dell'unità nazionale, allorché si provocò l'innesto sul suolo continentale della mafia siciliana. Avvenne sotto il governo Minghetti. Il ministro Tantelli, per rompere collusioni tra l'associazione criminosa e la pubblica sicurezza nelle province di Palermo, Trapani, Girgenti e Caltanissetta, adottò energiche misure di prevenzione. A partire dal 1874 per tre anni centinaia di mafiosi furono arrestati e condannati al domicilio coatto nelle isole di fronte alla Sicilia. Un contingente ebbe a destinazione la dirimpettaia Calabria

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mini atlantedellemafieRicotta calda con pane raffermo, aragoste e capocollo. Combinazioni forse insolite ma che raccontano molto di quel mondo fatto di valori arcaici tipici del mondo contadino e di feticci del lusso su cui la ndrangheta costruisce la propria immagine. Non esiste certo un codice alimentare mafioso che preveda determinati cibi o ne proibisca altri ma all’interno di quelle che sono le abitudini alimentari dei capibastone emergono chiaramente i due aspetti che caratterizzano le mafie oggi: il rispetto della tradizione (che si evince anche dalla sopravvivenza dei riti di affiliazione) e l’aspetto internazionale che le mafie sono riuscite a conquistare.

Quello che però conta di più non è tanto quello che si mangia ma l’aspetto conviviale. Cene e banchetti sono momenti fondamentali per stringere alleanze, studiare strategie. I matrimoni, così come accadeva nelle famiglie nobiliari di un tempo, possono diventare occasioni consolidare rapporti tra clan, così come i battesimi e le cresime forniscono l’occasione per creare parentele “spirituali” che si trasformano a loro volta in nuovi patti, in nuove alleanze. Tutto a tavola. E’ la tavola il vero foglio bianco su cui si scrivono i contratti delle mafie.

A parlarci di questi aspetti e a raccontarcene i risvolti non solo antropologici ma anche storici e culinari è Gianfranco Manfredi, giornalista esperto in eno-gastronomia, nel primo volume del documentatissimo “Atlante delle mafie” edito da Rubbettino e lanciato in questi giorni in libreria.

L’atlante curato da Enzo Ciconte, Francesco Forgione e Isaia Sales è suddiviso in tre volumi la cui pubblicazione verrà completata nell’arco di tre anni. Il primo volume tocca già argomenti di grande interesse e attualità: dalla storia della Camorra, al rapporto tra mafie e Chiesa, dai giudici antimafia allo scandalo calciopoli.

Il volume

A cosa è dovuto il successo plurisecolare delle mafie italiane? E come mai viene definita “mafia” ogni violenza privata che ha successo nel mondo? L’Atlante delle mafie prova a rispondere a queste due domande. Partendo dalla messa in discussione dal paradigma interpretativo dell’esclusività della Sicilia nella produzione di ciò che comunemente si intende per mafia. Se un fenomeno, nato in Sicilia nell’Ottocento, ha avuto una così lunga durata, affrancandosi dalle condizioni storiche e territoriali che ne resero possibile la sua originaria espansione e proiettandosi così agevolmente nella contemporaneità (divenendo addirittura un modello vincente per tutte le violenze private del globo) non è utile continuare a descriverlo solo come un originale prodotto siciliano. Il modello mafioso, infatti, si è dimostrato riproducibile nel tempo e in altri luoghi, non più specifico solo della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia. Con il termine mafia si deve intendere oggi un marchio di successo della violenza privata nell’economia globalizzata. Con questa ottica, l’Atlante delle mafie passa in rassegna le “qualità” criminali che differenziano nettamente i fenomeni mafiosi dalla criminalità comune e da quella organizzata. Esse vengono sintetizzate in cinque caratteristiche: culturali, politiche, economiche, ideologiche e ordinamentali. Secondo i curatori, si può ritenere mafia la “violenza di relazioni”, cioè una violenza in grado di stabilire contatti, rapporti, e cointeressenze con coloro che detengono il potere ufficiale, sia politico, economico e religioso, che formalmente dovrebbero reprimerla e tenerla a distanza. Perciò viene contestato ampiamente il luogo comune delle mafie come antistato, come antisistema. È stato proprio questo luogo comune a tenere per anni in ombra il vero motivo del successo delle mafie. Mentre alcune forme di violenza e di contestazione armata del potere costituito si sono manifestate contro le leggi e contro la visione unitaria dello Stato (il brigantaggio nell’Ottocento, le rivendicazioni etniche-territoriali e il terrorismo politico nel Novecento) e perciò alla fine sono state sconfitte, le mafie hanno usato una violenza non di contrapposizione, non di scontro frontale, ma di integrazione, interna cioè alla politica e al potere ufficiale. Dunque, per mafia si deve intendere una violenza di relazione e di integrazione. In questa loro caratteristica consiste la ragione del loro perdurante successo.

Antonio Cavallaro

Ufficio Stampa RUBBETTINO EDITORE

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mini Varone-VincenzoDi seguito la nota diffusa da Vincenzo Varone, sindaco di Mileto (VV), dopo lo scioglimento, da parte del Consiglio dei Ministri, a causa di infiltrazioni mafiose del del Consiglio Comunale.

"E’ il mio ultimo saluto da sindaco alla mia città che quasi tre anni fa mi ha eletto a furor di popolo (un risultato che nessun decreto prefettizio e ministeriale potrà mai cancellare), con una promessa che per me è un debito sonante. “Questa storia non finisce qui; questa macchia indelebile che è stata appiccicata addosso alla nostra Mileto prima o poi potete starne certi sarà cancellata. La verità un giorno verrà fuori tutta intera.

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mini thumbfalsecut1333476731591_475_280riceviamo e pubblichiamo nota stampa di Rubbettino editore:

La notizia dell’avviso di garanzia a Belsito, giunta come un fulmine a ciel sereno sui cieli della Padania non ha certo colto di sorpresa Enzo Ciconte, autore del libro “Ndrangheta padana”, edito da Rubbettino e disponibile sia in libreria che in formato ebook. “Ho denunciato tutto due anni fa – ha dichiarato ai nostri telefoni Ciconte – la ‘ndrangheta è sempre più un problema del Nord.

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