mini personal_factoryUn vero esempio di Calabria vincente, capace di inventare ed esportare in tutto il resto del mondo un prodotto considerato da tanti la scoperta del decennio. Succede a Simbario, dove la Personal Factory, grazie ai fratelli Francesco e Luigi Tassone, ha ormai conquistato la ribalta internazionale. “Formule in rete e robot visionario: il business che tagli i costi in edilizia” ha titolato l’edizione odierna de La Repubblica.it, dando ampio lustro a quell’innovazione di frontiera che, partendo dal piccolo borgo dell’entroterra vibonese, ha destato l’interesse dei produttori internazionali, fino alla Cina. Una piccola macchina, “tascabile”, capace di produrre in loco centinaia di malte diverse abolendo del tutto la logistica. 
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mini eliana_iorfidaSERRA SAN BRUNO – Un riconoscimento prestigioso, non soltanto per l’autrice, ma che di riflesso e per suo tramite, si estende anche a tutta una nuova di generazione di intellettuali serresi. Una giuria d’indiscusso calibro - composta da giganti del panorama letterario, editoriale e giornalistico nazionale, quali Dacia Maraini, Franco Scaglia e Antonio Debenedetti, solo per citarne alcuni – ha assegnato la “Giara d’Argento” al romanzo secondo classificato “Sette paia di scarpe” di Eliana Iorfida, nell’ambito del Premio Letterario “La Giara” indetto da Rai Eri, giunto quest’anno alla sua seconda edizione, confermandosi ancora una volta una preziosa opportunità di scouting per scrittori esordienti al di sotto dei 39 anni. La archeologa trentaduenne originaria di Serra S. Bruno, - la cui premiazione è avvenuta nello splendido palcoscenico della Valle dei Templi di Agrigento - attraverso quest’opera prima, descrive la vita nel profondo nord-est siriano. «Sette paia di scarpe – si legge nella motivazione del premio - la storia di Ahida e della sua adolescenza sullo sfondo della guerra arabo-israeliana del 2006, ci trasporta in un mondo arcaico, rurale, destinato a metamorfosi profonde, senza tuttavia rinnegare i valori di una tradizione millenaria. Eliana Iorfida, narrandoci la vita del piccolo villaggio nella Jazeera siriana, ci descrive, senza giudizi morali o politici, una società dettata da rigide leggi patriarcali, di cui riconosce i limiti, la durezza, ma anche la forza e l’integrità morale. Di quel mondo ci restituisce i colori, la natura, e un senso profondo di humanitas, di collettività, che ci ricorda la genesi delle nostre radici mediterranee». «Ho dedicato quest’opera al popolo siriano che me l’ha ispirata – ha spiegato l’autrice al Quotidiano -  concedendomi il privilegio di conoscere una storia vera, toccante, durante una delle missioni archeologiche cui ho preso parte, tra il 2006 e il 2007, sotto la direzione scientifica del Prof. Buccellati (Università della California). Oggi la Siria sta vivendo un passaggio drammatico della propria storia, che non può lasciarci indifferenti». La scrittrice serrese ha iniziato a scrivere questo romanzo nel 2008, lasciandolo più volte in sospeso per via degli impegni quotidiani, ma senza abbandonarlo del tutto «perché sentivo – ha commentato - che le vicende travagliate dei personaggi erano lì ad aspettarmi, non potevo tradirle. L’autunno scorso ho appreso del concorso RAI e mi sono affrettata a spedirlo alla sede regionale di Cosenza, emozionata nel sottoporlo ad un primo giudizio autorevole ed esigente».  Gli autori di riferimento della scrittrice sono tanti, ma in chiusura di questo romanzo «ho voluto citare Corrado Alvaro e il suo importante reportage dalla Turchia degli anni ’30. Alvaro fu tra i primi a cogliere l’omogeneità della tradizione mediterranea, la comunanza del meridione d’Italia coi paesaggi e i volti che popolano la sponda opposta e che io ho stessa ho potuto apprezzare». La scrittrice si è quindi detta felice del traguardo raggiunto e onorata di aver rappresentato la Calabria in una circostanza così importante. «Spero – ha detto in conclusione - che l’opera diventi presto un libro e accompagni i miei futuri lettori in un viaggio avvincente, alla scoperta di un mondo che mi è rimasto nel cuore».  

 

(articolo pubblicato su 'Il Quotidiano della Calabria')

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mini Schermata_2013-07-30_a_13.34.15Una storia di sfruttamento dell’uomo sull’uomo tracciata dalla mano insanguinata dell’Occidente schiavista. Una ferita ancora aperta che brucia sotto il sole di Rosarno, lacerata da un lavoro da bestie, impastata di patimenti e sudore.  Un dramma sociale in nome del profitto che dura imperterrito da anni, ma che ha conosciuto l’attenzione dei media da poco tempo. Da quell’ancora vicinissimo 10 gennaio 2010, quando a Rosarno - a metà fra l’alto Tirreno reggino e l’arido Aspromonte – scoppia la “rivolta dei neri”: due delle centinaia di braccianti africani sfruttati dalle aziende agricole del posto vengono feriti dai fucili di ignoti e si accende la guerriglia urbana.
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mini libro_f._chiricoI codici della ’ndrangheta ignorano differenziazioni di genere, e non certo perché rispettosi delle pari opportunità: la presenza delle donne, semplicemente, non è contemplata e il loro silenzio mansueto – nonostante l’imprevedibilità della natura femminina «cantata» da tanta tradizione popolare – è presupposto dentro e fuori la famiglia-cosca. È un dato culturale, consegnato da un mondo contadino di poche parole che alle donne affidava la casa e precludeva la polis. Tuttavia qualche codice non rinuncia a richiamare il concetto, fornendo veri e propri consigli di bon ton: «La donna di un affiliato non manifesta mai curiosità sulle discussioni o attività del suo uomo ma tacitamente si adegua al proprio ruolo» La ’ndrangheta, però, prevede anche il riconoscimento di benefit, come l’assegnazione del titolo di «sorella d’omertà», l’unico che il mondo maschile e maschilista della criminalità organizzata calabrese conceda in via ufficiale alle esponenti dell’altro sesso. Il messaggio è chiaro: la caratteristica più importante di una donna di ’ndrangheta, non importa quanto sia scaltra, spietata o a quali importanti compiti dirigenziali sia stata cooptata, resta il silenzio. Nel dettaglio: non proferire parola quando le scelgono il marito, stare zitta durante gli interrogatori di Carabinieri e Polizia, restare muta di fronte alle decisioni di morte degli «omini».

Infrangendo il silenzio assegnato dalla tradizione e preteso dalle cosche, combattendo paura e pudore, raccogliendo, non in misura uguale, disprezzo e solidarietà, in Calabria ci sono donne che hanno parlato. Madri, figlie, sorelle che negli ultimi trent’anni hanno socializzato il dolore, per socializzare l’ingiustizia, rimanendo spesso sole o isolate e pagando, in troppe, un prezzo altissimo. Vittime di ’ndrangheta che, senza vittimistica rassegnazione, hanno trasformato la ricerca privata di giustizia in una battaglia collettiva di civiltà, «il pathos della tragedia in ethos della democrazia»

Le prime infrazioni arrivano negli anni Ottanta. Marianna Rombolà, a cui hanno ammazzato il marito a pochi metri dal portone di casa, nel 1988 decide di confidare nella giustizia dei tribunali: alcuni concittadini di Gioia Tauro le spediranno lettere di solidarietà, ma senza firma; hanno un nome e un cognome, invece, i tantissimi che le levano il saluto. E poi ci sono due «forestiere» – una ragazza innamorata e una madre disperata– che la Calabria la incrociano per loro sventura, donne cresciute stando zitte solo quando non avevano niente da dire. Il 22 febbraio 1981 Rossella Casini comunica al padre che sta per partire da Palmi e tornare a casa, a Firenze. Non ci arriverà mai.

La giovane fiorentina è stata uccisa e fatta a pezzi per avere spinto alla collaborazione il fidanzato calabrese, coinvolto in una sanguinosa faida. Per la ’ndrangheta Rossella era un’infame. Quando nel 1989 la «nordica» Angela Casella si rivolge alle donne di Ciminà, chiedendo aiuto e solidarietà per il figlio Cesare,sequestrato da Pavia, trova chi le ribatte un po’ stizzita: «Che ti dobbiamo fare, noi?». Di tragedie, nel paese aspromontano con oltre quaranta morti di faida, le donne ne avevano sopportate per vent’anni, tenendo la bocca chiusa e stando al loro posto: sotto il velo del lutto, pensando alla vendetta, se facevano parte delle famiglie coinvolte, o dietro le imposte, in attesa della prossima vittima, se ne erano estranee. In entrambi i casi, in silenzio. Qualcosa comincia a scricchiolare. La cappa si incrina, impercettibilmente, e dalla fessura rifluiscono parole. Nasce nel 1989 il comitato Donne contro la mafia e, quattro anni dopo la «missione» di Angela Casella, sarà la figlia di un sequestrato calabrese, Deborah Cartisano, ad animare il comitato Pro Bovalino Libera, promuovendo una catena del digiuno e trascinando in Calabria il capo della Polizia e la Commissione parlamentare antimafia. In quegli stessi giorni davanti al Tribunale di Reggio Calabria staziona un’altra donna che ha deciso di portare in piazza la sua battaglia contro il clan Mammoliti: si chiama Teresa Cordopatri, ha visto il fratello ammazzato sotto i suoi occhi, ed è calabrese.

Storie che diventano segnali. Come quella, dirompente, degli undici commercianti di Cittanova che nel 1991 hanno denunciato, presentandosi insieme in commissariato, le richieste di mazzetta dei Facchineri. Saranno due ragazze poco più che ventenni – Maria Concetta Chiaro e Maria Teresa Morano – a dare voce e volto alla loro ribellione. La strada è aperta, insomma. Ma resterà non abbastanza battuta. Le voci faticano a diventare coro. Quando non sono le minacce, le querele o, peggio, la morte, arrivano l’alone di scandalo, le accuse di esibizionismo e il fastidio mal dissimulato ad accogliere chi ha deciso di parlare chiaro, magari come la maestra Liliana Esposito Carbone, con la foto del figlio ammazzato perennemente al collo. Perché, in Calabria, la donna che parla lancia una doppia sfida: punta l’indice contro i «nemici» ma anche verso un mondo che tace. Diventa, insomma, un atto d’accusa ambulante che disturba sul piano criminale e imbarazza su quello sociale. E allora ecco scattare i vecchi e consolidati meccanismi di difesa e delegittimazione: Teresa Cordopatri è «buttana» per gli uomini dei Mammoliti, e «pazza» per i loro avvocati. Rossella Casini «era brava ma tornava tardi la sera». Liliana Carbone l’ha resa pazza il dolore. La tendenza vale, naturalmente, anche per le donne di ’ndrangheta che hanno scantonato: Concetta Managò era «imbottita di psicofarmaci», Lea Garofalo era «fuori controllo», Concetta Cacciola era «depressa psichica», Rosa Ferraro è «pazza perché parla troppo» e a Giuseppina Pesce «serve lo psichiatra». Proprio quello della fragilità emotiva femminile, sbandierata come «prova contro», come inconveniente di genere che priverebbe di valore scelte e parole, è un tema che vedremo ritornare costantemente: depresse, instabili, pazze – come la Cassandra dolente e furiosa di Christa Wolf – lo saranno considerate un po’ tutte, le ribelli che parlano.

«Oggi le donne calabresi piangono ancora chiuse in casa», dice Marianna Rombolà. Negli ultimi anni, invece, da certe case le donne hanno scelto di uscire, facendosi nemiche di «famiglia». Collaboratrici di giustizia come Giuseppina Pesce, cresciuta all’interno della cosca più potente di Rosarno, e Rosa Ferraro. Testimoni come Lea Garofalo, il cui esempio di coraggio risplende oggi nella figlia Denise, o come Maria Concetta Cacciola e Tita Buccafusca che, ritornate sui propri passi, hanno preferito l’acido a una vita tra quattro mura «onorate». Una scelta di rottura, la loro, che ha infranto muri considerati impenetrabili e potrebbe addirittura abbatterli, se diventasse contagiosa. La condizione è che la loro voce non risuoni solo nelle aule dei tribunali e che ad ascoltarla non ci siano solo i magistrati.

Io parlo raccoglie e ricostruisce alcune di queste storie, intrecciate con gli ultimi trent’anni di storia criminale calabrese e con il cammino di una terra perennemente in cerca di voce e parole.

(dall'Introduzione dell'Autrice)

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Riceviamo e pubblichiamo
 
 
I bambini sono il nostro futuro, la continuazione delle nostre esperienze e della nostra anima. Rispettarli, amarli, custodirli e proteggerli è un nostro dovere. Soprattutto è nostro dovere trasmettergli il significato della vita e dell'amore, il senso del rispetto iniziando con il rispettare le loro esigenze e le loro anime. Ogni essere vivente è un mondo a se, un universo a parte. Bisogna prenderne coscienza nel pieno rispetto di ogni esistenza. Giorno 21 Aprile, Domenica, alle ore 17.30, presso palazzo Chimirri a Serra San Bruno, I Parafoné vogliono condividere con voi, con la gioia che solo la musica può trasmettere un pomeriggio dedicato ai Ragazzi e ai parafonellini che cantano le nostre canzoni. Chiameremo questo concertino pomeridiano "Uno, Due, Tre... Stella!" e lo dedicheremo a tutti quei ragazzi e bambini che subiscono quotidianamente violenze... psicologiche, fisiche emotive e di qualsiasi genere.
 
Abbiamo scelto questo titolo, del famoso gioco a cui tutti abbiamo giocato, per un motivo ben preciso: i bambini con la loro innocenza e fantasia riescono a vedere oltre le nostre nefandezze, ad amare sempre e comunque i genitori, anche se questi gli faranno del male. Nel gioco un bambino messo al muro, conterà 1,2,3....stella! e ci piace pensare che a fermarsi, sorpreso dal bambino, sia l'adulto... e che prenda coscienza che un bambino non può e non deve essere maltrattato né usato... e l'arrivo alla base sia un profondo abbraccio per tutti i nostri ragazzi e i bambini, di ogni parte del mondo che sono vittime della rabbia e dell'incoscienza degli adulti.
 
Nella giornata di domenica sosterremo l'iniziativa di Telefono Azzurro "Fiori d'azzurro": verranno vendute delle piante, il cui ricavato andrà interamente a questa associazione che da 25 anni si occupa delle esigenze di bambini in difficoltà.
 
Per una buona riuscita della giornata, ci piacerebbe la partecipazione attiva dei genitori che accompagneranno i bambini al concerto. Partecipazione attiva significa che ognuno è libero di fare un gesto d'affetto per i ragazzi... siccome è festa... si possono preparare ad esempio dolcetti, qualcosa da bere... o quello che la fantasia e il cuore vi suggeriscono.
 
Non abbiamo chiesto, nonostante ci è stato proposto, nessun contributo economico, appunto perchè ci teniamo a questo tipo di partecipazione, che ci faccia sentire tutti parte di un'unica festa e famiglia. 
 
Potete contattarci anche su Facebook, e organizziamo insieme questa festicciola... grazie!! A Domenica!
 
Parafonè
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Giovedì, 28 Febbraio 2013 11:52

Il gruppo Scout Serra 1 all' Angelus del Papa

 

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Riceviamo e pubblichiamo

Dopo la notizia delle dimissione del Santo Padre, la mobilitazione è stata immediata. La Comunità Capi, del gruppo scout Serra San Bruno 1, ha subito proposto al gruppo, alla comunità parrocchiale San Biagio e alla comunità serrese ,  di presenziare all’ultimo Angelus del 24 c.m., coinvolgendo all’evento anche la zona AGESCI di appartenenza quella dei “Normanni”. L’Assistente  Ecclesiastico del gruppo, nonché parroco della predetta parrocchia, Don Gerardo Letizia, ha condiviso questa scelta e l’ha sostenuta fin da subito “…saremo protagonisti della storia della chiesa e non solo..”. Quindi i preparativi, gli avvisi i manifesti, le iscrizioni, e così fino alla partenza fissata il 23 febbraio alle ore 22,00. Insieme a noi  una rappresentanza della comunità spadolese, e del Gruppo scout Maierato 1. Grande entusiasmo tra i partecipanti,  uniti nel viaggio dalla preghiera e dalle meditazioni per Sua Santità. Ed eccoci  a Roma  alle 6,30, viaggio perfetto,  tanti occhietti assonnati, ma pronti a condividere una giornata irripetibile. La città vuota e silenziosa,  veniva destata dal calpestio frettoloso dei nostri scarponi per raggiungere Piazza San Pietro. Sbucati da un vicolo ci appare alla vista il colonnato. La Piazza  deserta, per dare spazio alle riflessioni.., qualcuno borbotta ridendo “abbiamo forse sbagliato giorno!!”. Presto passiamo i controlli e ci apprestiamo  a salire la gradinata e poi dentro la Basilica. Per molti e non solo per i lupetti e lupette ,si è aperto uno spettacolo incredibile: l’altare del Bernini, San Pietro, S. Francesco di Paola per  fermarsi sotto la solenne statua marmorea di San Bruno...abbiamo deciso allora di immortalare il momento con un flash, una foto di gruppo. Immancabile la visita alle spoglie del Santo Padre Giovanni Paolo II e poi via verso il centro della Piazza dove, presa la postazione, abbiamo atteso almeno quattro ore per poter condividere insieme al mondo intero quell’Angelus" tanto sofferto." Il freddo pungente non ci ha scoraggiati, alta saliva la preghiera fatta di canti che nello stesso tempo  ha allietato la Piazza che man mano diveniva sempre più gremita. Tanti, molti gli stranieri, si sono fermati vicini al nostro cerchio per cantare con noi, per chiedere da dove arrivavamo, e del perché eravamo lì. Lo sguardo  di continuo rivolto a quella finestra, la seconda da destra, ora chiusa, poi aperta, poi  col drappo steso, poi ancora il legio, ma ecco che d’un tratto una piccola figura bianca si affaccia e saluta, il SANTO Padre; dalla folla, pur se composta, un grido di ode. Il mondo è presente, tante le lingue ma unico il messaggio di sostegno e d’affetto per il Papa. Spicca la voce degli scout del Serra San Bruno 1 che intonano il nome di “Benedetto”, per dirGli “Siamo con Te”.Siamo con Te, perchè la sofferenza è dell'uomo, per noi cristiani, è quella croce da portare in silenzio...e quella salita al monte Tabor Ti aspetta con grande, silenziosa,discreta  umanità...Grazie Papa Benedetto, per quell'Angelus, che ci accompagnerà nelle nostre "umane ed irte ascese al monte Tabor... Il gruppo scout Serra San Bruno 1, accogliendo l'esortazione dell'AGESCI, il 28 febbraio, dalle ore 19,30 alle20,30, si riunirà in preghiera "per Benedetto XVI e la Chiesa di Cristo", idealmente assieme a tutti i fratelli scout e le sorelle guide del mondo, per chiedere allo Spirito Santo di far sorgere tra noi un pastore che ci aiuti con il suo sostegno a portare avanti i valori del movimento scout, che sono i valori evangelici di pace e di giustizia, di fratellanza universale e di comunione tra i popoli.

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mini luciano_vasapolloContinua il percorso di lotta culturale dell’associazione 'Il Brigante' che, in collaborazione con l’associazione - Rivista 'Nuestra America', ha presentato nei giorni scorsi, nella ricorrenza del 160 anno della nascita del poeta rivoluzionario Josè Marti, il volume dal titolo 'Il risveglio dei maiali'. All’iniziativa hanno preso parte collettivi politici, organizzazioni sindacali, associazioni e cittadini. Ad aprire la discussione è stato Salvatore Albanese, il quale ha illustrato il progetto politico del Brigante ed il suo ruolo nella società come 'punto di riferimento culturale e di protesta nella nostra regione'. 

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mini 208407_151409121678456_847100382_nSabato 26 Gennaio partirà ufficialmente il Campionato Allievi della provincia di Vibo Valentia. Ai nastri di partenza ben 19 squadre suddivise in 3 diversi gironi, fra cui il Real Serra di mister Vincenzo Albano. Accederanno, a fine stagione, alle fasi finali le vincenti di ogni raggruppamento.

Il girone A, che vede impegnati i giovani del ASD Real Serra, è costituito anche dall’Allarese, dall’Ancinale, dal Soriano 2010, dalla Vazzanese e dal Promo Arena.

La partita d’esordio, lunedì 28 gennaio dalle 15.00, vedrà impegnata la compagine serrese fra le mura domestiche del “Comunale La Quercia”, dove ospiterà l’ostico Soriano 2010. Gli Allievi del Real Serra rappresentano un valore aggiunto alla prima squadra, impegnata nel Campionato di 3a Categoria, ecco perché fin da subito l’intero organico societario si è adoperato al massimo per valorizzazione dei ragazzi, tutti serresi, considerandoli una vera e propria risorsa calcistica, sportiva e non solo, per la nostra comunità e confermando, inoltre, l’intenzione di guardare allo sport come mondo di aggregazione e crescita: una vera e propria scuola di vita.

Anche la squadra degli Allievi è composta totalmente da ragazzi di Serra San Bruno. Alcuni di loro hanno maturato precedenti esperienze calcistiche nella scuola-calcio Ancinale, guidata da mister Franco Gagliardi, o nella vecchia scuola calcio Serra San Bruno. Nel gruppo degli Allievi spiccano il portiere Costa Giuseppe (classe ‘97) e l’attaccante Pasquale Andreacchi (classe ‘96), che hanno già fatto apprezzare le loro buone qualità nella prima squadra, e sono stati richiesti entrambi, nella recente sessione di calciomercato, da diverse società avversarie.

La preparazione per gli Allievi dell’ASD Real Serra è iniziata già dal mese di ottobre, sotto l’occhio esperto di un vecchio “leone” del calcio serrese, Albano Vincenzo alias Mella, da sempre impegnato oltre che nel coltivare la passione per il calcio (ha militato per diversi anni nell’A.C. Serrese disputando molti campionati di Prima Categoria), anche nel mondo dell’associazionismo e volontariato serrese. Lo stesso mister Albano alla vigilia dell’esordio in campionato ha dichiarato: “Sono molto contento di poter guidare questi ragazzi. È già ora una bella esperienza. Per me il calcio è un’importante mezzo di crescita umana e sociale, utile per lo sviluppo di valori educativi improntati alla lealtà, alla correttezza e al rispetto degli altri, sia nell’ambito sportivo sia nel ruolo di cittadino inserito nel contesto della società civile”. Anche lo stesso Presidente Bruno Masciari si è dimostrato entusiasta per l’avventura che da qui a poco interesserà i giovani allievi del Real: “Sono molto soddisfatto. L’associazione si propone anche quale centro di aggregazione e, soprattutto, come alternativa sportiva all’esperienza di strada”.

Di seguito i gironi del campionato Allievi 2013 della provincia di Vibo

GIRONE A
Allarese
Ancinale
Real Serra
Soriano 2010
Vazzanese
Promo Arena

GIRONE B
Città di Briatico
Rombiolese
Pizzo
Nuova Mileto Calcio
Real Vibo
Cessaniti
Real Jonadi Giovani

GIRONE C
Capo Vaticano
Nicotera
Marina di Nicotera
Real Spilinga
Zungrese
Junior Tropea

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Giovedì, 17 Gennaio 2013 13:26

Leggendo Sole Nero...

 

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Per alcuni autori della letteratura meridionalistica e non solo, molto spesso, l’infanzia o l’adolescenza sono state un utile strumento di lettura e d’analisi: primo per raccontare storie che fossero espressione di un contesto socio-culturale territoriale regionale, se non addirittura nazionale; secondo, evidenziare eventuali fenomeni sociali. E’ il caso di Saverio Strati con il suo “Tibi e Tascia” e “Mani vuote”, di Corrado Alvaro con “Gente in Aspromonte”, di Pier Paolo Pasolini con “Ragazzi di vita” ed “Una vita violenta”, ma anche della letteratura del centro-nord del Paese, come con Fenoglio ed il suo Agostino di “Malora”, di Carlo Cassola con “La ragazza di Bubbe”e per certi aspetti, anche se figura controversa, ma comunque adolescenziale, anche l’Alessandro di “Eroi del nostro tempo” di Pratolini; ed  infine, ultimi, non per ordine d’importanza, Silone e prima ancora di Verga, rispettivamente con il loro Neorealismo politico e Verismo letterario. Ma non sono solo i personaggi di questi romanzi le icone della letteratura sociale del sud del Paese (escludendo i borgatari violenti di Pasolini e le metafore di Pratolini, Fenoglio, Gadda, ecc.) i paradigmi di quegli scenari reali o presunti (molto spesso agropastorali della prima metà del Novecento) che la realtà, pure letteraria, ha oramai consegnato alla storia o alla finzione cinematografica. Più di altri, a raccontarci di tutto questo è il Gesuino di Malifà di Sharo Gambino (Frama e Rubbettino edizioni), l’esempio e  l’emblema  di quel racconto sociale che esce fuori dagli stereotipi della violenza di mafia, di casta sociale o delle vicende degli adulti in generale e ne mette in luce le contraddizioni dell’uomo in quanto essere, e dell’essere sociale con i suoi ma e i suoi perché. L'Autore, per la prima volta nel panorama letterario meridionalistico, in superficie spinge dal fondo dell’abisso della coscienza collettiva, di quel Meridione indifferente ed a volte apatico, in particolare  di quella Calabria rurale, che in parte oramai appartiene al passato, la violenza feroce, distinta dai tratti gentili dell’adolescenza, tratteggiandone aspetti e psicologia, tanto da farne un'unicità ed un caso letterario. Sì, il Malifà di Gambino esce dagli stereotipi e proietta sullo sfondo di quel mondo l’immagine di quella violenza degli adulti, frutto ed effetto di condizionamenti culturali e deviazioni sociali, ma porta in rilievo, soprattutto, un altro tipo di violenza: più cruda, più feroce, più drammatica, perché fatta d’innocenza ed ingenuità; perché perpetrata da bambini in un mondo di adulti violenti, ma subita da un ragazzo per l’espiazione di una colpa che lui non ha commesso, nel momento più bello e più tragico della sua vita. E' quell'attimo in cui, nell'avvertire la gioia inebriante dell'abbracciare e sentire il profumo di un corpo caldo bagnato di  una  donna e  la scoperta del suo stesso, di corpo, con il torpore della ragione e la piacevole inquietudine dell’anima, nell’aprirsi dei sentimenti, lo allontana  così dal suo Dio ( perché sente il paradosso della ragione della fede, sentendo la ragione dell'avvertire), e lo avvicina alla vita degli uomini, però, purtroppo, quando già il suo cammino è oramai segnato (da quel suo stesso Dio?) verso le porte del paradiso. Dall’altra, la visione deistica e l’inculcata percezione della presenza sbagliata di quel  Dio non suo, nonché l’idea di una religiosità opprimente, fatta anche di residuati ancestrali di paganesimo e visione delirante, quasi eremitiana, di primo cristianesimo orientale o da  primo Medioevo; ma anche presenza violenta nell’assenza di un padre e di una speranza insperata per un futuro migliore, lo portano al risveglio della coscienza ed al "lume della ragione," e lo assegnano al mondo delle cose e dell'inquietudine del corpo.

E’ vero, il Gesuino di Gambino con la sua Malifà è un concetto letterario nella Storia, ma che trova la sua origine e si alimenta nell’arretratezza socio-culturale e nell’ignoranza religiosa ed a volte violenta della ruralità sociale di Ragonà e Cassari di Nardodipace, nonché della Calabria degli anni cinquanta, residuali scampoli di una feudalità d’anno Mille. Ma è anche l’espressione di una società morente (perché vittima dei suoi stessi pregiudizi) la quale, non riuscendo a creare tensione connettiva e sviluppo sociale, si ripiega su se stessa e muore. Se la morte del protagonista è la metafora di una società che raggiunge il suo epilogo e si piega su se stessa, sotto il suo stesso peso, dall’altra, però, la presenza di figure, direi minori, poste sullo sfondo: il Fiorello, l’organizzatore di rivolte, l’uomo che rifiuta l’idea manzoniana dell’ineluttabilità della violenza del potere sulla società, fanno dire all’autore che c’è una possibile speranza, anche in quell’emisfero fatto di sottomessi. Purtroppo, il mondo di Gesuino nonostante tutto non è morto, anche se in agonia, mentre quello indicato e suggerito da Fiorello non è ancora nato, perchè Godot,  non è ancora arrivato. Nel riferimento letterario di Malifà, saranno pure cambiate le forme del suo malessere sociale, ma non la sostanza. La terra che vide Gambino fare il maestro serale nel 1959 - “Eroe del nostro tempo!” - sin da più di trent’anni, oramai ha la sua chiesa ed il suo cimitero; non girano più per le strade uomini avvinazzati a portare cadaveri stecchiti al camposanto del vicino paese o durante le lunghe nevicate invernali non si conservano più morti in casa, in attesa di poter aprire un varco lungo distese di neve e scoscesi pendii. Ma il riferimento letterario del Gesuino di Gambino gira ancora, come residuato di ere a noi lontane nel tempo, carico e gravato dei suoi pregiudizi religiosi e della sua idea di giustizia, un po’ ricurvo per il peso degli anni e della sua statura, a volte, con il suo sacco vuoto sulle spalle, e le lunga braccia penzoloni, come rami rinsecchiti. Metafora di una metafora! Figure che la modernità non ha cancellato e che il presente sta sbiadendo, ma comunque, ancora testimoni di un Tempo, come corpi di pietre scolpite su una strana isola: alieni che tracciano scie, senza volerlo, nella memoria delle loro Malifà. Aspetti di un mondo dove la finzione letteraria non ha avuto confini e la realtà, anche d’oggi, è sfumata, dove il bianco dell’uno ed il nero dell’altro intridono l’area di un grigio indistinto. L’idea di speranza di Gambino e di autodeterminazione e presa di coscienza di sé dei malifioti con Fiorello, non è come quella di Silone con il suo Berardo Viola, il quale condisce di visione leniniana pseudo-pararivoluzionaria la pentola della storia dei cafoni della Marsica. Il Fiorello di Malifà, nelle sue istanze ed esigenze di rivolta non ha ambizioni velleitaristiche di organizzare la loro rivolta attraverso il giornale e l’informazione, o di fomentare sedizioni e spedizioni punitive;  non individua nelle classi sociali più abbienti  l’elemento e l’ostacolo d’ abbattere per la creazione di una società comunista (come nel caso della rivolta di Caulonia) ma rivendica il diritto di dissentire e di protestare, nelle regole e con le regole (questa sì è finzione letteraria!) organizzando a sua volta i malafioti, contro quello Stato che gli nega l’identità di cittadino: la mancanza  assoluta di strutture viabilistiche, l’assenza di un medico, di un prete, delle più elementari condizioni di vita sociale. Nella Malifà di Gambino, ovvero, la Ragonà e la Cassari vive degli anni cinquanta, questi sono i temi e gli aspetti che sembrano riportarci, anche se eufemisticamente, all’Eboli leviana. Un mondo al di fuori del tempo e della storia, un mondo dove quel Cristo stenta ancora ad arrivare, anche perché l’assenza di quello stesso Cristo, ne determina la mancanza della critica della ragione e dell’autocritica della coscienza, disponendo così il proprio biglietto da visita, ancora stampato col grigio dell’ignoranza. Il paradosso è che, nonostante il vorticare, a volte  violento, del mondo d’oggi e delle società occidentali, la spinta propulsiva del motore di quel Nazareno, ancora non s’intravvede, e l’attesa di Vladimiro e compagni sembrerebbe inutile. Il viaggio di Girotta da Malifà alla casa del medico, perché visitasse quel corpo morente, sembra essere la metafora dell’assenza di un “cammino”, di quel famoso e più volte evocato Cristo (come il richiamo di Godot, diluito e spalmato sull'attesa dell'eternità) lungo il palcoscenico della vita. Così, le pozioni magiche della Scazzòntara (vicina di casa dei Sambàrvara) mentre Gesuino muore, non ci portano di certo oltre “I morti della collina”, e ci lasciano nel nostro viaggio “dei fatti e delle gesta” - come - “simboli del destino” dei malifioti, molto, molto prima del cimitero di “Spoon River”, e direi nel tempo remoto, anche se fuori dalla storia. E’ “Il mondo dei vinti”. E sebbene sia un universo fatto di una umanità vera, paesaggi reali, sentimenti concreti, come i personaggi alla Concia della Brancaleone del “Carcere” di Cesare Pavese; un universo oramai quasi archiviato dalla grigiosa e sfumata memoria di una senilità traballante, o dalla nebbia del tempo, di ancora sopravvissuti testimoni di un mondo, o ancora come patrimonio collettivo dentro le ingiallite pagine di un libro. Racconti, questi, nati non dall’estro fantasioso di uno scrittore immaginifico, ma solo vicende, a volte non definite col proprio nome, e registrate dall’acuta ed attenta osservazione di uomini che con la loro umanità si sono calati nell’inferno di quel presente.

Vincenzo Nadile

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mini UNPLIRiceviamo e pubblichiamo:

“Vibo Valentia provincia, Perché?”sarà il  tema al centro del convegno delle Proloco del vibonese, organizzato dall’UNPLI (Unione Nazionale Proloco d’Italia) Comitato Provinciale, presieduto da Giuseppe Maiuli, con il patrocinio del Comune di Vibo Valentia, che si svolgerà il  prossimo 28 Dicembre, dalle ore 17,00 presso la sala congressi dell’Hotel 501 a Vibo Valentia. Sono previsti nel programma gli interventi di autorevoli personalità dal mondo della politica vibonese, della cultura e dell’imprenditoria giovanile, che si confronteranno su un argomento di stringente attualità partendo dagli ultimi sviluppi sulla questione “abolizione delle province “congelata” attraverso una attenta riflessione ed analisi sui perché debba esistere la provincia di vibo valentia ieri ,oggi e domani. ad essere preceduti dai saluti del sindaco di vibo valentia Nicola D’Agostino, del Commissario Straordinario della Provincia di Vibo Valentia Mario Ciclosi, e dall’introduzione del Presidente Unpli Provinciale Giuseppe Maiuli, saranno infatti  l’Assessore agli Affari Istituzionali del Comune di Vibo Valentia Nicolino La Gamba, il Prof. Giuseppe Cinquegrana ,storico e Antropologo , Alberto Capria  Dirigente Scolastico Regionale, ad esaminare il caso “Provincia”sotto il profilo storico –antropologico , economico e sociale , affidando infine le conclusioni a Mario Romano, Presidente Giovani Imprenditori Vibo Valentia . A moderare il  convegno il direttore TG Rete Kalabria Mimmo Famularo.” Un convegno che vuole essere l’occasione per un dibattito serio dal quale emerga il ruolo di importanza strategica dell’UNPLI e delle Proloco in quanto associazioni che sanno esaltare le tipicità del territorio come quello vibonese che ha tutte le carte in regola per essere e rimanere Provincia , lasciando la politica agli addetti ai lavori” ha inteso chiarire il presidente UNPLI provinciale Maiuli. In serata è prevista la consegna del premio “Arcobaleno 2012”, “un riconoscimento tangibile che negli anni passati andava a personalità vicine alle Proloco , quest’anno invece il consiglio UNPLI ha scelto di premiare proprio i protagonisti ovvero le Associazioni Turistiche che con impegno e dedizione hanno reso grande il mondo delle Proloco valorizzando il territorio con il loro fondamentale ruolo di “ambasciatori e  promotori del turismo ,della storia , della gastronomia e della cultura del luogo”. Dopo il convegno, a suggellare una giornata di aggregazione e formazione , seguirà il Gran Galà delle Proloco ,un banchetto di delizie enogastronomiche made in Vibo Valentia , messi a disposizione dalle imprese locali sponsor dell’evento , elaborati dalle sapienti mani dello chef del 501 , che allieteranno le papille gustative dei soci delle Proloco associate unpli ,“un evento  reso possibile anche grazie alla grande disponibilità di Peppino Mancini a cui va il mio più sentito ringraziamento , senza dimenticare l’appoggio del consiglio unpli formato dal segretario Soccorso Capomolla, dal Vice Presidente Tommaso Belvedere e dai consiglieri Campisi Patrizia, Gigia Turina e Michele Monteleone che ringrazio uno ad uno”.conclude il presidente Maiuli .

La serata sarà allietata dalla buona musica del gruppo etnico popolare “i KUNTURA”, dal duo arpa e flauto di Magda Muscia e Paola Testa per finire con i zampognari del maestro Lorenzo.

Comitato provinciale Vibo Valentia UNPLI 

 

 

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