Domenica, 03 Novembre 2019 11:59

Addio al partigiano Fanfulla, che agì da “infiltrato” per la causa della Liberazione

Scritto da Bruno Greco
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Mentre all’estremo Sud dello stivale partiva la “campagna d’Italia” per porre fine all’esperienza nazifascista, un altro Sud, lontano da casa e dagli Alleati, donava il suo prezioso contributo in seno ai partigiani per mettere una pietra tombale al regime e all’ultimo tentativo di ripristinarlo attraverso la Repubblica sociale italiana (Salò). Carmine Fusca, Pino Scrivo, Pasquale Staglianò, Francesco Restuccia, sono solo alcuni dei vibonesi “sbandati” (oggi scomparsi) che hanno contribuito alla Liberazione. Grandi uomini che hanno scelto di diventare partigiani nonostante il Bando Graziani prevedesse la pena di morte per disertori e renitenti. Dunque, nonostante il fenomeno sia ascrivibile alle regioni del Nord, il contributo dei calabresi fu talmente consistente che, basta prendere come esempio la sola regione Piemonte, secondo una ricerca dell’Istituto regionale per la Storia della Resistenza, per capire che sono 917 i calabresi che compaiono tra le liste delle formazioni partigiane. Come afferma lo storico Pantaleone Sergi «la futura democrazia ha avuto anche una paternità meridionale».

IL PARTIGIANO FANFULLA Uno degli ultimi partigiani del Vibonese è scomparso lo scorso 17 settembre, tra le montagne delle Serre, nella sua casa di Nardodipace. A raccontare la storia del partigiano Fanfulla (Francesco Vallelonga) è stato Antonio Cavallaro in un articolo pubblicato sul “Quotidiano del Sud”. L’attacco di Cavallaro coincide con una suggestiva quanto significativa citazione di “Fischia il vento” che la famiglia ha voluto come epitaffio di Fanfulla: «Cessa il vento, calma la bufera, torna a casa il fiero partigian». Nato il 12 ottobre del 1922, come tanti altri altri era arrivato a far parte dell’esercito italiano di seguito all’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno del 1940. Era il 15 gennaio del 1942 quando Francesco lasciò la sua Nardodipace, assieme ad altri 11 compagni con i quali non sapeva né capiva dove dovesse andare o cosa fare. «Nella caserma di Baggio a Milano – scrive Cavallaro – un ufficiale ci fece vedere una bussola e ci mostrarono come sparare. Fu tutto lì l’addestramento che ricevemmo». Tra i ricordi più vivi, portati alla luce da Antonio Cavallaro, l’esperienza in Russia dove, sono le parole di Francesco Vallelonga «non avevamo nemmeno i cappotti per coprirci e portavamo ai piedi scarponi che sembravano fatti di cartone». Una permanenza, quella russa nel 1942 nell’ottava armata, difficile quanto ridicola, dopo un viaggio su un treno-merci che già di per sé sottolineava l’aleatorietà di un esercito messo su solo per soddisfare la megalomania del duce, che avrebbe fatto meglio a mantenere il patto di non belligeranza assunto all’inizio dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Dopo la ritirata cominciata il 19 dicembre del 1942 (che si è lasciata indietro un altissimo numero di vittime) durante la quale si carica in spalla un commilitone calabrese di nome Fortunato, Fanfulla rientra in Italia dove comincerà il suo prezioso contributo alla causa partigiana. Nell’astigiano viene prima ospitato e nascosto da una signora per poi diventare un “repubblichino”, con l’ausilio di falsi documenti, subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Proprio in seno alla neonata Repubblica sociale italiana diventa fondamentale il ruolo di Francesco Vallelonga. Nella caserma di Acqui Terme della Rsi, in qualità di aiuto cuoco, comincia la sua esperienza da partigiano “infiltrato”, in un luogo dove può ascoltare informazioni importanti sulle retate da riferire ai propri compagni e in più trovare armi da fornire di nascosto a favore della causa: «Avevo paura – ha raccontato il partigiano Fanfulla – ma in palio c’era la libertà mia e di altri». L’importante ruolo di Francesco venne ricoperto fino al 25 aprile del 1945, quando il Comitato di liberazione nazionale dava l’ultima spinta ai protagonisti della Resistenza incitando la cacciata dei nazi-fascisti negli ultimi posti ancora occupati. Ad Acqui l’accordo fu per una ritirata senza dispersione di sangue.

IL RICORDO DEL SINDACO DEMASI A ricordare la figura di Francesco Vallelonga, anche grazie alla lunga amicizia che lo ha sempre legato al figlio e compagno, l’architetto Damiano Vallelonga, è stato il sindaco di Nardodipace Antonio Demasi. «Nardodipace deve essere grata a uomini come Francesco Vallelonga, un esempio per la nostra comunità, che dopo il contributo fornito in seno alla Resistenza ha deciso di vivere qui la maggior parte della sua vita». Rispetto alle sue idee politiche maturate assieme ai compagni della Resistenza, Demasi ricorda in particolare una testimonianza del partigiano Fanfulla, rilasciata negli anni 80, durante i festeggiamenti del 25 aprile, all’allora emittente locale Radio Nardodipace. «Ricordo la suggestione provocata dal suo racconto, che rievocava quei momenti con estrema convinzione e orgoglio, come se li stesse rivivendo in quell’istante. Lui, che aveva conosciuto veramente il fascismo – come un altro partigiano di Nardodipace, Ilario Cavallaro, scomparso qualche anno fa – sapeva andare oltre i luoghi comuni, muovendo critiche mirate al regime e trascinando i giovani in quella bella quanto difficile e coraggiosa parentesi rappresentata dai giorni della Liberazione».

Img e foto:
- Francesco Vallelonga in compagnia di un suo commilitone durante la guerra
- Conferimento della "Croce al merito"
- Francesco Vallelonga assieme a Stella, compagna di una vita
Video:
- Un momento del funerale con l’arrivo della salma al cimitero di Nardodipace accompagnata da "Bella ciao"
gentilmente forniti da Antonio Cavallaro

Video

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