Venerdì, 11 Dicembre 2020 08:15

Il calabrese più famoso del 500, un “rinnegato” al comando della flotta ottomana

Scritto da Redazione
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Per la rubrica dedicata ai libri è tornato a “Detto tra noi”, su Radio Serra, lo storico della scienza e ricercatore del Museo Galileo di Firenze Francesco Barreca. Protagonista del suo intervento una figura che molti calabresi avranno sentito nominare benché si conosca poco la sua storia: Uluç Ali, “Uccialì” o “Occhialì”. Ai microfoni di Daniela Maiolo e Sergio Pelaia, con la regia di Bruno Iozzo, Barreca ha consigliato la lettura de "La vita di Occhialì" di Gustavo Valente. «Si tratta di un testo pubblicato per la prima volta nel 1960 – è stato l’incipit di Barreca – e ristampato nel 1994 che, ancora oggi, è un punto di riferimento per chi si occupi di Occhialì e della pirateria in generale».
Rispetto a questa figura che fa da ponte tra la Calabria e la Turchia, lo storico della scienza ha spiegato: «Occhialì era un ragazzo nato a Le Castella di nome Giovanni Dionigi Galeni, catturato dal pirata Barbarossa nel 1536, quando aveva 17 anni. Fu poi venduto come schiavo a Istanbul e qui si convertì all’Islam. Una volta libero cambiò il proprio nome in Uluç Ali, che in Occidente fu reso come Occhialì, Lucalì, Uccialì e diversi altri nomi... e si arruolò nella marina militare ottomana diventando in breve tempo uno dei protagonisti della pirateria nel Mediterraneo e uno dei più temuti condottieri al servizio dei turchi».
 
Da condottiero a governatore di Algeri nel 1568, mentre nel 1571 «fu uno dei pochi ammiragli ottomani a salvarsi, insieme alla sua flotta, nella disfatta di Lepanto, nonostante la sua cattura fosse uno degli obiettivi prioritari della Lega Santa».
 
Dopo la disfatta di Lepanto, una volta rientrato a Istanbul, fu promosso a comandante supremo delle forze navali turche e in meno di tre anni «riuscì – ha continuato Barreca – a ricostruire la flotta e a riconquistare Tunisi, porto strategico per il controllo del Mediterraneo che i turchi, non disponendo di forze navali sufficienti, non avevano potuto difendere. Quando Occhialì morì nel 1587 a Istanbul era considerato un eroe e uno dei più grandi militari della storia ottomana, oltre a essere molto ricco, tanto da far costruire una moschea e un villaggio chiamato Piccola Calabria».
 
Rispetto alle fonti Barreca ha poi precisato che chi fosse interessato a conoscere l’intensa vita di Occhialì il libro di Valente non è l’unico: se n'è occupato anche lo scrittore Sharo Gambino con “Alla ricerca di Uccialì, il calabrese alla battaglia di Lepanto” ed è disponibile anche la biografia di Enzo Ciconte pubblicata da Rubbettino. «Valente – è la chiosa dello storico della scienza – non sempre è puntuale nell’indicazione delle fonti e spesso non si preoccupa di esaminarle criticamente. In un certo senso la forza del libro sta proprio qui, nel raccogliere anche le testimonianze più incerte, le dicerie, espedienti che gli danno il sapore del romanzo d’avventura». 
 
Analizzando l’importanza storica del personaggio, Barreca ha detto ancora: «Occhialì fu sicuramente il calabrese più famoso della sua epoca. Il fatto che il calabrese più noto in Europa fosse un rinnegato confermava un antico pregiudizio nei nostri confronti: quello del traditore, meschino, inaffidabile. Basti pensare che, negli stessi anni in cui Occhialì terrorizzava i cristiani, in Europa cominciò a rivivere con più forza la credenza secondo la quale Giuda Iscariota sarebbe stato calabrese. La solidità di questo pregiudizio – ha spiegato infine – stimolò gli intellettuali calabresi, i quali si impegnarono attivamente a smentirlo. Tuttavia lo fecero opponendogli una narrazione infarcita di elementi mitici e leggendari, quindi del tutto speculare a quella dei detrattori, consolidando un approccio oscillante di volta in volta tra l’esaltazione e il dispregio che nelle sue linee generali perdura ancora oggi. Tempo fa scrissi per il Vizzarro un articolo in cui davo conto di queste due opposte narrazioni mitiche che si fronteggiano, e che abbiamo visto in azione anche in tempi recenti, ad esempio nelle polemiche venute fuori dopo lo spot di Muccino o ancora prima in occasione del film Anime Nere di Francesco Munzi». Un libro che, secondo Barreca, ci illumina sulla vita di un calabrese illustre, ma racconta anche qualcosa di profondo sul tempo presente.

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