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Domenica, 13 Dicembre 2020 13:03

L’etica del fare contro il vittimismo e la «mentalità dell’assediato»

Scritto da Bruno Greco
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“La Calabria tra il sottoterra e il cielo”. L’antropologo e scrittore Vito Teti, per un suo articolo su “La Lettura” del Corriere della Sera, prende in prestito le parole di padre Pino Stancari che proprio con questo titolo ha lasciato «una delle cose più belle scritte sulla Calabria».

Ospite del programma “Detto tra noi” su Radio Serra, l’antropologo e docente dell’Unical è entrato nel dibattito sulla “narrazione” della Calabria partendo dalla storia di Uccialì (qui l’analisi dello storico della scienza Francesco Barreca su “La vita di Occhialì” di Gustavo Valente) e dalla rivolta antispagnola di cui lo stesso Tommaso Campanella fu tra i promotori per osservare che «la responsabilità delle cose non è mai di chi denuncia il malessere ma di chi lo determina».

Ma una cosa è opporsi agli oppressori altra è invece vivere di vittimismo. Come spiegato dall’antropologo, la Calabria per risollevarsi avrebbe anche bisogno di fare dei “mea culpa” riconoscendo le proprie responsabilità. «Dobbiamo scavare dentro noi stessi – ha continuato Teti – perché solo conoscendo le nostre ombre possiamo cercare di elevarci, altrimenti la colpa sarà sempre degli altri. Giustificare la nostra condizione sempre da “calunniati” e “incompresi” porta a quella che nel mio articolo chiamo “mentalità dell’assediato”».

Il ricorso al fattore identitario che troppe volte scade nella retorica secondo Teti viene spesso adoperato a sproposito. «Bisognerebbe comprendere – sono le parole dell’antropologo – anche il significato del termine “identità” da un punto di vista filosofico e antropologico. Non si tratta di un piatto piano monocromatico ma è qualcosa di dinamico e plurale. Quando qualcuno dice “l’identità di noi calabresi”, cosa vuol dire questa espressione? La Calabria è eterogenea. L’identità monocromatica che si identifica con un “noi” io la trovo molto problematica. Eccediamo nell’interrogarci sul chi siamo, una cosa giusta che però poi sfocia nel giudicare troppo ciò che dicono gli altri». 

Per il calabrese dunque, coltivare costantemente lo stato di oppresso, di giudicato non è la soluzione. «Dal racconto “esotico” di Muccino a chi scrive di ‘ndrangheta – ha detto ancora Teti – siamo sempre tutti lì a dire che la Calabria è anche altro. Ricordo un passo di Croce nel suo “Un paradiso abitato da diavoli” in cui dice che è vero che esistono gli stereotipi antimeridionali, nel nostro caso anticalabresi, e che un pregiudizio va contrastato, ma il modo migliore per confutarlo è mettere in atto dei comportamenti che distruggano lo stereotipo. Stare a discutere su chi siamo diventa improduttivo se non agiamo. L’etica dell’essere deve essere accompagnata dall’etica del fare».