Domenica, 23 Giugno 2024 07:32

Condannati al sottosviluppo

Scritto da Francesco Barreca
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Foto di Angelo Maggio (riproduzione riservata) Foto di Angelo Maggio (riproduzione riservata)

Nel dicembre del 2019, nell’imminenza delle elezioni regionali calabresi del 2020 che videro la vittoria della compianta Jole Santelli, un post su un blog de il Sole24ore titolava: “Calabria al voto, con Ndrangheta e sottosviluppo a dettare legge.” Nel post c'erano le solite cose, la solita tiritera, le solite formule: indicatori economici in base ai quali la regione sarebbe “il fanalino di coda”, ultime posizioni nelle classifiche sulla qualità della vita, l’operazione Rinascita-Scott e la “piaga” della ‘Ndrangheta, giovani che "fuggono" eccetera eccetera. La cosa curiosa è che sarebbe bastato cambiare la data e questo post lo si sarebbe potuto ripubblicare un paio di settimane fa, prima delle ultime elezioni europee, e questo non tanto perché la situazione non sia cambiata ma piuttosto perché nella discussione pubblica il sud, e la Calabria in particolare, sono ormai finzioni letterarie. Negli ultimi anni, con l’esaurirsi della questione meridionale come campo d’indagine storiografico, è sempre più chiaro come il "sud" sia soprattutto un prodotto discorsivo, un altro costruito per opposizione e relegato in una dimensione mitica, come l’Oriente di Edward Said. A Milano c’è la nebbia e a Napoli il sole. A Palermo si fanno i matrimoni con mille invitati e a Torino non s’invitano neanche i parenti di primo grado. In Lombardia c’è la cultura del lavoro e in Puglia si ozia. Il nord è sviluppato e il sud è sottosviluppato.

Come prodotto discorsivo, la Calabria è costruita intorno all’idea di sottosviluppo in modalità che definire sostanziali sarebbe, forse, addirittura riduttivo. Infatti, se da un lato il sottosviluppo è un elemento centrale delle narrazioni ‘esterne’ che vengono fatte della Calabria, dall’altro esso costituisce parte fondamentale delle ‘linee di resistenza’ discorsive che la Calabria stessa produce in opposizione a quelle narrazioni. Prendiamo il caso del dibattito interno sulla cosiddetta “autonomia differenziata”: da una parte si sostiene che con l’autonomia regioni “svantaggiate” come la Calabria “potrebbero finalmente destinare le proprie risorse alle esigenze peculiari del territorio e usare al meglio queste peculiarità” (parole della senatrice calabrese della Lega, Tilde Minasi); dall’altra, che essa porterebbe invece a “fughe in avanti di territori che già oggi vivono una situazione di vantaggio rispetto al Mezzogiorno” (lo sostengono Francesco Cannizzaro, Giuseppe Mangialavori e Giovanni Arruzzolo, deputati calabresi di Forza Italia). Insomma, autonomia differenziata sì perché c'è sottosviluppo e autonomia differenziata no perché c'è sottosviluppo. Tanto nelle narrazioni esterne che in quelle interne la Calabria esiste come prodotto del sottosviluppo. Tutto ciò che in Calabria accade, accade a causa del sottosviluppo o nonostante il sottosviluppo. Il sottosviluppo è la costante fondamentale dell’equazione che definisce la Calabria e il termine ultimo al quale essa viene ridotta e la normalità è articolazione discorsiva del sottosviluppo. Se un luminare di Oxford sceglie l’Unical come sede di ricerca tutti ci guardiamo meravigliati e ci chiediamo com’è possibile, ma se il commissario alla sanità, in piena crisi COVID, afferma di non sapere di dover essere lui a redigere il piano sanitario regionale e poi, in diretta televisiva nazionale, ci mette il carico da undici dichiarando di essere stato drogato noi scrolliamo le spalle e passiamo oltre con un vabbé, siamo in Calabria.

Se nelle narrazioni esterne il sottosviluppo spiega, in quelle interne giustifica – proprio nel senso etimologico di dichiarare giusto. Non siamo disonesti e corrotti: siamo sottosviluppati. In Calabria c’è corruzione e disonestà come più o meno ovunque, e però la corruzione e la disonestà sono discorsivamente presentate come esito del sottosviluppo. Ci raccontiamo che la Calabria è diversa, è complicata, è una regione dove i problemi non possono essere affrontati come vengono affrontati altrove. In questo modo il sottosviluppo diventa la risorsa argomentativa più preziosa a disposizione della classe politica non solo calabrese. Col sud sottosviluppato, per esempio, si è battuto e si batte cassa a Bruxelles: uno dei punti di forza del PNRR presentato nel 2021 è l’insistenza – quasi fosse qualcosa di cui andare fieri – sul fatto che il sud Italia è “il territorio arretrato più vasto e popoloso dell’area euro”. L'intento è chiaro: il mezzogiorno sottosviluppato è il proverbiale pugno di morti buttato sul tavolo delle trattative. In questo senso, il sottosviluppo come prodotto discorsivo interno è declinato soprattutto come sottosviluppo culturale. E questo in parole povere non consiste in altro che nel fare gli scemi per non andare in guerra. La retorica del sottosviluppo ci piace e ci torna utile. Qualsiasi inefficienza, qualsiasi malagestione, qualsiasi disonestà è ricondotta al sottosviluppo e dunque liberi tutti: non sono certo io che gestisco la cosa pubblica a essere colpevole, è che in Calabria c’è un problema di sottosviluppo culturale. D’altra parte, che volete, la ‘ndrangheta, la massoneria, il mancato senso civico, la gente che lascia la spazzatura in mezzo alla strada, non ci sono le piste ciclabili e – addirittura – in molti paesi non hanno neanche le panchine rosse. Che cosa si potrebbe mai fare? Non siamo al nord, lì sì che funziona tutto. La cosa è talmente radicata che ormai la domanda di servizi e livelli minimi di vivibilità è indissolubilmente legata alla condizione di sottosviluppo. Vogliamo un ospedale e una sanità che funzionino non perché paghiamo le tasse e abbiamo diritto alla salute ma perché siamo sottosviluppati. L’ospedale di Serra – ospedale di montagna, ospedale di zona disagiata – continua a esistere proprio perché riusciamo a dimostrare, di volta in volta, di esserlo davvero, in una sinistra gara con i nostri vicini a chi sta messo peggio. Le battaglie contro la chiusura dei presidi ospedalieri ci sono in tutta Italia: solo al sud esse sono legate alla retorica del sottosviluppo. Altrove, quando qualcuno prova a parlare di sottosviluppo viene subito rimproverato: ora non esageriamo, gli si dice, non siamo mica in Calabria.

Nell’universo letterario del sottosviluppo anche la scelta tra andarsene e rimanere si tinge di sfumature etiche e ha un significato politico. Lo abbiamo visto alle ultime elezioni comunali a Serra: durante la campagna elettorale un argomento certo discutibile ma comunque legittimo – e cioè che chi non vive stabilmente in paese difficilmente potrebbe bene amministrarlo– prese la forma di un’assurda polemica sugli emigrati, alternativamente presentati come “codardi” e come “orgoglio” di Serra. Dal sottosviluppo spurgano poi le retoriche dei borghi, della paesologia, dei safari per vedere gli “ultimi carbonai nella Calabria che resiste”, del turismo esperienziale e trasformativo, dei tour promozionali allo SPRAR di San Sostene insieme a un ambassador della Canon per testare in nuovo sistema Eos-R e “fotografare, al buio, usi e costumi di giovani in cerca di un futuro migliore! [sic]”. La Calabria del sottosviluppo raccontata dalla Calabria stessa è come l’Africa di Boris (“l’Africa che piace alla gente: povertà, bambini c’aaa panza tanta, povertà, povertà, povertà”): talvolta è cool e attrattiva, altre invece inquietante e respingente. Dipende da cosa vuoi dimostrare. Ma siamo sempre lì, la Calabria è bella tutta e i centri isolati, spogliati di servizi e in progressivo abbandono sono tanto caratteristici e più sono messi male più sono genuini e autentici. Come diceva un amministratore locale intervistato da Antonio Cavallaro per il suo "La costruzione mediatica della povertà" (2003): "essere ultimo è molto meglio che essere penultimo. Se sei penultimo stai male uguale, ma se sei ultimo puoi rivendicare attenzioni che diversamente non avresti avuto." La restanza del sottosviluppo. 

Tutto questo, sia ben chiaro, non significa negare che in Calabria vi siano problemi, e che siano problemi gravi; piuttosto, significa che il primo passo per affrontarli dovrebbe essere quello di liberarsi della fastidiosa costante del sottosviluppo e dubitare di chi ce la propone per raccontare la Calabria. Vuol dire cominciare a riconoscere che la Calabria non è un’anomalia, non è speciale; che sottosviluppo non vuol dire niente e in particolare non vuol dire niente sottosviluppo culturale. Il supposto sottosviluppo è la conseguenza, e non la causa, dei problemi della Calabria. Ma in realtà la Calabria sottosviluppata non esiste: è un racconto, una finzione, una favola raccontata per farci stare tranquilli e non farci allarmare. Andrà tutto bene, la situazione non è poi così drammatica: in fondo, è solo sottosviluppo.

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