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Domenica, 10 Maggio 2020 09:28

Eravamo quattro amici al bar

Scritto da Salvatore Albanese
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Alla fine è andato tutto come previsto. Era scontato che il Tar avrebbe, in tempi stretti, considerato illegittima l’ordinanza con cui il 29 aprile la Regione Calabria aveva tra le altre cose autorizzato il servizio all’esterno di bar e ristoranti, in totale contrasto con le linee dettate dal Dpcm del Governo con cui, solo dal 4 maggio successivo, si sarebbe dato avvio alla Fase 2. Lo sapeva bene anche Jole Santelli che stava commettendo un’“invasione di campo” illegittima ed inutile, perché come ha spiegato il Tar, la Regione può agire all’interno del quadro delle disposizioni governative, al massimo inasprendo le restrizioni, non attenuandole sconsideratamente. La Santelli sapeva anche che il rischio contagio dipende da tanti fattori, e non solo dal valore attuale di replicazione del virus in Calabria. Purtroppo, ci sono da prendere in considerazione anche «l’efficienza e la capacità di risposta del sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che producono le misure di contenimento via via adottate o revocate», hanno spiegato anche questo i giudici del Tar. Ed anche questo Jole Santelli lo sapeva bene. Così come sapeva che prima di ogni eventuale “fuga in avanti” sarebbe stato molto più saggio e giusto attendere le evoluzioni riscontrabili al culmine delle prime settimane successive all’avvio della "Fase 2". Tentare di giocare d’anticipo rispetto al resto d’Italia ha avuto davvero poco senso. 

In definitiva, allora, a pensare male ne potremmo semplicemente dedurre che la governatrice si sia garantita solo un po' di furba propaganda, ben conscia del fatto che la sua ordinanza sarebbe stata presto bocciata dal Tar. Ha solo sollevato un grande polverone, si è guadagnata qualche ospitata in tv, ne è uscita per tanti come “mamma buona” che ha provato a dispensare ossigeno e viveri ai suoi figlioli calabresi, la cui azione caritatevole è stata poi inibita dai cattivoni del Governo e dei tribunali. Per molti, in queste ore, la lettura dei fatti sarebbe infatti proprio questa. Ma in realtà era tutto prevedibile. Tutto eccetto forse il fatto che gli esercenti in alcune zone hanno finito per farsi la guerra, divisi in due fazioni: quelli che non disponevano di tavoli e spazi all’aperto hanno dovuto sopportare, fortunatamente solo per qualche giorno, la concorrenza sleale di quelli che invece ne disponevano. Ma proprio quest’ultimi, in definitiva, hanno pagato il prezzo maggiore di questo paradosso costruito ad arte: spinti in fretta e furia, per “tornare a guadagnare” subito, a buttare soldi vivi in sanificazioni e organizzazioni degli ambienti esterni utilizzabili di fatto solo per qualche giorno. Il tutto in funzione di un’ordinanza che presto sarebbe stata inequivocabilmente dichiarata illegittima e, di conseguenza, priva di ogni efficacia. Alla fine, tutto ciò, a che cosa è servito? A risollevare l’economia regionale o a far sborsare denaro a dei professionisti di un settore già devastato dalla crisi?

Non si trascuri inoltre il fatto che nelle idee della Santelli l'ordinanza della Regione sarebbe pure servita ad evitare che tanti calabresi potessero di colpo convincersi ad affiliarsi alla ‘ndrangheta: «O ci siamo noi a dare risposte a questo territorio o la Calabria diventerà preda del crimine», aveva spiegato la presidente. Insomma, una ex parlamentare che in tema di misure di contrasto alla criminalità organizzata in vent'anni di carriera politica non si è mai particolarmente fatta notare, aveva ben pensato che in tempi di crisi da pandemia mondiale sarebbe bastato montare i tavolini dei bar per aggirare le pressioni esercitate sui calabresi dalla ‘criminalità organizzata. Così come d’altronde il 29 aprile era bastata una notte di ordinaria follia per trasformare all’improvviso una governatrice rigorosa e prudente, disposta anche a sigillare i confini della sua regione e che aveva prontamente istituito diverse “zone rosse” nei comuni interessati dai contagi, in una presidente che di punto in bianco sogna di rivitalizzare la movida all’esterno dei locali mentre il virus continua insidioso a girare per le città. Per fortuna di imprenditori del settore entusiasti di una trovata che avrebbe potuto ledere in primis le loro stesse condizioni di salute, pare se ne siano contati davvero pochi (si ipotizza che solo il 10% circa dei locali abbia aderito all’ordinanza “libera tavolini”, mentre molti erano stati i sindaci, anche di centrodestra, “disobbedienti” alle disposizioni della governatrice). Salvato, in tutto ciò, il diritto di impresa per gli attori del settore che come da Dpcm dal 4 maggio hanno potuto riprendere con il servizio d’asporto e le consegne a domicilio in piena sicurezza per la salute propria, dei propri dipendenti e dei propri clienti. Basterà quindi pazientare qualche altro giorno e se, come tutti speriamo, si avrà riscontro del fatto che il virus si sarà acquietato, si potranno intraprendere serie e ulteriori “concessioni” verso il progressivo ritorno alla normalità e per una reale ripartenza dell’economia regionale. Fermo restando che per uscire dall’apnea servirebbe ancora adesso che la Regione e il Governo facessero finalmente realmente la loro rispettiva parte nell’assegnazione immediata di sussidi anche agli imprenditori del settore della ristorazione e affini. Questo perché riaprire purtroppo non significa ritornare a guadagnare. 
Allo stesso tempo ci sentiamo di consigliare a Jole Santelli – che con la sentenza del Tar ancora fresca ha dichiarato «i calabresi hanno vinto comunque perché hanno dimostrato di voler lavorare e di non pretendere politiche di assistenza» – di deporre le armi. Di abbandonare definitivamente il piglio e il gergo belligerante. Perché la volontà di poter tornare a lavorare dei suoi conterranei non può essere pesata nei giorni in cui il mondo intero inizia a leccarsi le ferite di una pandemia globale. Basta guerre istituzionali inutili, non ce le possiamo permettere. Glielo chiedono proprio i calabresi, che mai come in questo momento davvero di tutto sentono il bisogno tranne che di andare a spendersi in prima persona in conflitti che non appartengono alle comunità, ma che rappresentano solo malcelati screzi tra parti politiche. Un braccio di ferro senza senso proseguito, per inciso, anche ieri sera con una nuova ordinanza regionale strumentale e provocatoria, che in sostanza introduce poco o nulla (l'unica cosa saliente pare essere la possibilità di raggiungere le seconde case, il resto è raccolta di funghi, toelettatura per animali domestici e poco altro).
Se la Santelli sente di voler prorogare ulteriormente lo “stato di agitazione” lo faccia sulla sua pelle. Perché se per le guerre tra istituzioni bisogna continuare a spendersi sembra scontato che con la Sanità, le forze e le risorse di cui ci ritroviamo a disporre difficilmente potremmo uscirne vincitori. Deponiamo le armi e, lavoriamo, anche senza tavolini, per un domani normale, per concederci un futuro imminente in tutta sicurezza e salute. È di questo che i calabresi in questo momento difficile hanno estremamente bisogno.