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Domenica, 01 Maggio 2022 12:21

Giuseppe Bifezzi, il serrese che inventò il telegometro

Scritto da Tonino Ceravolo
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C’è da immaginare che sarebbe stato felice il personaggio della celebre scultura di Jan Fabre L’uomo che misura le nuvole se avesse potuto disporre, invece che di un semplice righello, dello strumento inventato da Giuseppe Bifezzi per potersi applicare al calcolo delle distanze. Avrebbe potuto misurare, nella sua esercitazione metrica che sembra non avere mai fine, non soltanto le nuvole, ma persino lo spazio che si interpone tra l’una e l’altra, la porzione di cielo libero che quando c’è le separa. Che il nome del marchingegno di Bifezzi dovesse essere innanzitutto spiegato lo ebbe ben chiaro l’estensore dell’articolo che sul numero 52 del Lucifero. Giornale scientifico, letterario, artistico, agronomico, industriale (28 gennaio 1846) annunciava la scoperta: “Il bisogno di levar di pianta con esattezza, facilità e prestezza, è stato sempre da tutti i Topografi altamente sentito. L’inventore del Telegometro ne comprese tutta l’importanza sin dal 1830 cominciamento della sua carriera, e divenne perciò impazientissimo a trovar modi di supplire ad un tanto bisogno. Dopo molti tentativi e lunghe meditazioni seguite da continui sperimenti, e dispendi, unendo sempre la teoria alla pratica, giunse alla costruzione del desiderato strumento, che denominò Telegometro da greche voci che voglion dire strumento che dimostra da lontano le diverse misure, ossia che disegna le distanze da un punto di stazione ad altri lontani senza far uso dell’effettiva misura”. E chiudeva l’incipit del suo articolo introducendo, prima di descriverne in dettaglio le funzioni, le diverse parti che componevano il telegometro: “Or questo strumento è principalmente composto di un piede circolare con riga, di un cannocchiale acromatico con micrometro, di un quadrante con indice; ed ha dippiù un disco con tre cerchi concentrici con asta per servire a triplice scopo secondo le diverse distanze”.

Giuseppe Bifezzi, inventore e cartografo

Era nato il 12 settembre del 1798 a Serra San Bruno (all’epoca soltanto Serra) Giuseppe Bifezzi e morto a Napoli, dove era giunto superati i vent’anni, il 13 giugno 1881, dimostrando, nel tempo, una personalità poliedrica e versatile, che lo aveva condotto a essere - come meglio vedremo in un successivo articolo - dopo il cosentino Prospero Parisio (autore nel 1589 di una ben nota carta geografica dedicata alla Calabria) il primo cartografo calabrese a segnalarsi nel panorama della cartografia dedicata alla regione e all’Italia meridionale. Ingegnere, geografo, litografo, capitano dell’esercito borbonico, componente del Real Officio Topografico, inventore, lo abbiamo appena visto, di uno strumento per la misurazione delle distanze (il telegometro, appunto), della sua “vocazione” probabilmente precoce si ha testimonianza in due lettere inviate a Bifezzi da Pietro Colletta (la prima a Serra il 28 ottobre del 1812, la seconda presso il Real Liceo di Catanzaro il 30 dicembre dello stesso anno) nelle quali assicura il suo interessamento per presentare al Ministro dell’Interno una “operetta” del giovane calabrese, “accompagnata dalle mie più vive raccomandazioni al vostro riguardo”. Una successiva lettera di Colletta (2 gennaio 1815) testimonia anche dell’interesse di Bifezzi per le lingue moderne, del quale si dà atto insieme con l’affettuoso ammonimento a non tralasciare la lingua madre e quelle “dotte”: “Avete preferito di scrivermi in francese. Piacemi, che non siano da voi trascurate le lingue oltramontane, che sono di un grandissimo uso nella vita civile; non dimenticate però, che vi farebbe grandissimo torto l’applicarvici con dispendio della nobilissima nostra lingua italiana tra le viventi, e delle lingue dotte, senza le quali non si può mai molto inoltrarsi nelle scienze”. Senza dimenticare che il medesimo volume che ospita le suddette missive del Colletta (Opere inedite o rare, vol. II, Dalla Stamperia Nazionale, 1861) riporta pure due altre lettere da lui indirizzate a Bifezzi, delle quali la seconda è particolarmente interessante per le istruzioni impartite in merito ad alcuni disegni: “Le copie suddette debbono esser fatte in matita o acquarella, a semplici contorni ed a tratteggi; senza colori, senza sfumature, senza pennello. La sola testa, e ‘l collo nudo, imitando i busti antichi. I capelli come nell’originale, ancorché sieno a pettinatura. [..] Si ricerca nelle suddette copie la somiglianza con gli originali, non la finezza di lavoro. Quanto minore sarà il numero dei tratti esprimenti la fisionomia, tanto più perfetta sarà l’opera del Signor Bifezzi, e tanto maggiori gli obblighi miei”. Personalità poliedrica, si diceva prima, ma sarebbe stato il telegometro, ancor più che l’opera geografica e cartografica, a rivelarsi decisivo per consolidare la fama di Bifezzi tra i suoi contemporanei.

Il telegometro (e i “consueti effetti” di invidia e gelosia)

Della sua invenzione Bifezzi aveva fornito accurati ragguagli in una pubblicazione in-folio, corredata da disegni illustrativi, stampata a Napoli nel 1848 presso la Real Tipografia Militare, che si apriva con una Memoria dell’autore sul suo lavoro. L’invenzione del telegometro nasceva, secondo l’esordio della predetta Memoria, dalla consapevolezza che se la misura delle distanze orizzontali risultava essenziale nei rilievi topografici, altrettanto “difficile, lungo, ed inesatto” era il metodo del tempo per ottenerla. La cosiddetta “catena”, per esempio, non rimuoveva le difficoltà che nascevano “dalla ineguaglianza del terreno, dall’alterata di lei tensione, dal deviamento de’ misuratori della visuale”, mentre ulteriori ostacoli erano generati dall’associato impiego della bussola, condizionato “dalla infedeltà dell’ago magnetico deviato sovente da varie circostanze sfavorevoli”. Il principio dal quale mosse Bifezzi per la costruzione dell’apparecchio era quello, semplice e inconcusso, “che i diametri apparenti degli oggetti diminuiscono in ragione inversa delle distanze”, un principio che, tuttavia, nonostante la sua semplicità, riusciva di difficile applicazione a un congegno che potesse risolvere il problema, ma che, alla fine, fu predisposto sulla base della convinzione che occorresse – citiamo ancora dalla Memoria del 1848 – “variar la grandezza dell’oggetto da traguardarsi per un dato spazio in ragione delle distanze, e render così costante il suo diametro apparente, nonostanti i progressivi allontanamenti”. Non ci inoltreremo nella descrizione tecnica dello strumento – un telemetro ante-litteram, come ha osservato Elio Manzi – la cui affermazione non si produsse senza ostacoli, se è vero quanto lo stesso Bifezzi sostiene nella Memoria sopra citata sui “consueti effetti” d’invidia e di gelosia che fecero seguito alla sua invenzione: “Effetti i quali – scrive Bifezzi – han dato luogo ad inconseguenti ben nocive, e lunghe contrarietà al felice esito delle generose munificenze promesse all’inventore dal nostro sovrano allorché si compiacque di osservarlo in detto Reale Stabilimento onorandolo egli di sua augusta presenza. Ma ridondarono però a maggior gloria della invenzione, e con ciò non senza soddisfazione dell’autore dopo i felicissimi risultati degli esperimenti all’uopo fatti col medesimo strumento dalla dotta commissione a tale oggetto nominata”.

I tanti pregi della “macchina”

Di tali esperimenti e dei due processi verbali intorno al telegometro è rimasta precisa traccia nell’appendice a stampa alla Memoria, nella quale essi sono integralmente riportati. La commissione – formata, tra gli altri, dal Tenente Generale Carlo Filangieri, dal Colonnello del Genio Ferdinando Visconti e dal Tenente d’Artiglieria Mariano D’Ayala, in qualità di segretario votante – si riunì in due successive occasioni l’11 marzo e il 29 maggio del 1842, con il risultato di attestare la maggiore esattezza del telegometro nella misurazione delle distanze rispetto ad altri coevi strumenti quali la cosiddetta “stadia-bussola” e la “stadia-tavoletta”. Nelle Osservazioni storico-critico [sic!] sugli strumenti per misurare le distanze insino al telegometro dell’Ingegnere Topografo Bifezzi la medesima commissione rilevò come questa “macchina” avesse “[…] tanti pregi, e di siffatta natura, che bene si appose il Reale Istituto d’incoraggiamento concederne privativa al laborioso inventore Ingegnere Bifezzi”, riconoscendone, tra l’altro, il valore per la “[…] facilità e prestezza nel misurare: possibilità di lontano misurare, e quel che più monta, esattezza, perocché nelle due stadie le misure si debbono stimare sulle mire non senza difficoltà, mentre nel telegometro segnate dall’indice si leggono chiaramente sul quadrante”. Alla “privativa” ottenuta nel 1835 si aggiunsero, per l’inventore del telegometro, il “guidardone dell’onorificenza di Capitano”, avendo avuto prima quella di II Tenente, e la pensione di 200 ducati annui, “per non ricordare – conclude con qualche amarezza Bifezzi nella Memoria – ciò che fa torto a coloro tutti, i quali allora vi han tanto cospirato a discapito della propria riputazione, della dignità nazionale”.

Un’invenzione “nazionale” 

Il telegometro, come ricorda anche la scheda dell’Istituto Geografico Militare che ne ospita a Firenze nel Museo degli strumenti un esemplare, comparve nella Grande Esposizione di Londra, promossa dalla Royal Society of Arts, nel 1862 e venne presentato successivamente pure nell’Esposizione internazionale marittima di Napoli del 1871, insieme con due altri congegni (il telescopometro e il pantelemetro). Il relatore del Giurì del VI gruppo, Arminio Nobile, sottolineò come tali apparecchi non fossero “[…] sventuratamente costruiti con la precisione desiderabile, non avendo il signor Bifezzi potuto avere un buon meccanico a sua disposizione”, ma, analizzando per tutti e tre il “principio teorico”, si dispensò di parlare del telegometro “perché già da gran tempo è stato favorevolmente giudicato da uomini competenti”. Certamente più entusiasta la conclusione dell’articolo sul Lucifero citato all’inizio: “Ci compiacciamo quindi dell’invenzione del Telegometro, ch’è tutta nazionale, e che serve con somma utilità a’ bisogni dell’Uffiziale istruito e del Topografo, dello Architetto e dell’Agrimensore, ed a tutti gli uffiziali facoltativi nelle occorrenze di guerra, e ne’ tempi di pace pe’ disimpegni del proprio mestiere”.

*Nuvole è una rubrica curata per il Vizzarro da Tonino Ceravolo, storico, antropologo e scrittore

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