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Domenica, 13 Marzo 2022 09:31

La “casa serrese” di Frangipane. Un disegno, un paese, un mondo

Scritto da Tonino Ceravolo
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La "casa serrese" oggi (foto di Bruno Tripodi) La "casa serrese" oggi (foto di Bruno Tripodi)

Un disegno 

Completamente senza nuvole, così appare il cielo nell’incantevole disegno che Alfonso Frangipane (Catanzaro, 1881 – Reggio Calabria, 1970) dedica a un frammento di spazio urbano di Serra San Bruno. Ma ciò che colpisce nel disegno non è certo il cielo piatto e dal tono melanconicamente uniforme, bensì ciò che sta sotto, lo squarcio di paesaggio ancora oggi ben visibile, per quanto con qualche modifica dell’impaginazione originaria, che la prova grafica di Frangipane restituisce, quasi un compendio visivo, una sintesi figurativa eloquente nell’icasticità insostituibile del linguaggio iconico. Come se, a saperlo leggere e decifrare, un paese apparisse all’improvviso e, con il paese, un mondo, che vuol dire una storia di culture umane e materiali, radunate in uno spazio circoscritto e angusto, eppure evidenti nei tanti segni disponibili in quell’hortus conclusus.

Il disegno lo riportiamo da una cartolina, che lo stesso Frangipane spedì da Reggio a Palermo il 10 maggio del 1939, inviando al destinatario “devoti ringraziamenti, vivi ricordi, auguri” e la cartolina fornisce ulteriori informazioni, perché sul retro, nel margine sinistro, si legge che la proprietà artistica apparteneva alle “edizioni del giornale Brutium” (fondato da Frangipane nel 1922 e pubblicato sotto la sua direzione fino al 1970, l’anno della morte), mentre in calce, sotto l’ampia firma dello studioso e artista, “La Calabria illustrata da disegni di Alfonso Frangipane. 4. La casa serrese (Serra San Bruno)”. Come si vede, non viene usato l’articolo indeterminativo, non si dice “una casa serrese”, una fra le tante, una fra le altre, ma “la casa serrese”, quasi che quella casa le rappresentasse tutte o che tutte fossero come quella casa, una casa “ideale”, una casa tipica, una specie di paradigma e di archetipo, da cui ogni altra discendeva o a cui ogni altra “guardava” come al suo modello. Da questo sottotesto, inespresso e implicito, bisogna partire per provare a far “parlare” quello che il disegno dice in figure.

Un paese e un mondo

Tre elementi catturano l’attenzione al centro del disegno: la fontana con le brocche posate per terra, la croce di legno in mezzo alla piazza e le due donne in prossimità della fontana, mentre una terza figura femminile appare, più sfuocata, sullo sfondo. E questi tre elementi già basterebbero per avere delle significative tracce indiziarie e cogliere, a partire da esse, aspetti importanti dell’antropologia di un paese. Il rapporto quotidiano con un bene primario come l’acqua (in un tempo in cui la rete urbana e periurbana delle fonti, il fiume, i torrenti, costituivano una insostituibile componente della quotidianità) è ben esemplificato dai due recipienti probabilmente condotti lì dalla donna piegata, laddove l’altra donna, quella in attesa raffigurata di spalle, nella foggia del vestito che indossa sembra quasi un’istantanea, un fotogramma, una tessera per un approccio alla fenomenologia dell’abbigliamento femminile, solitamente rubricata, in riferimento all’epoca, sotto la voce del costume popolare. Non per nulla di tale fenomenologia si discorre, per limitarci al caso serrese, in un articolo attento alle credenze e alle pratiche delle culture locali che il sacerdote Bruno Maria Tedeschi, intorno alla metà del XIX secolo, dedicò a Serra nell’opera Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato diretta da Filippo Cirelli osservando, al proposito, che il capo delle donne veniva coperto, insieme con tutta la parte superiore del corpo, mediante il vancale, un velo largo due palmi e lungo otto, di filo e cotone, avente lembi “ornati di strisce di diverso colore”, mentre nelle giornate festive, al posto del vancale, era indossata la saja, della medesima foggia e tessuta con lana e seta. A poca distanza dalle due donne vediamo, poi, la croce, con il gallo issato sopra l’iscrizione I.N.R.I. e i segni della passione di Cristo esposti sulle braccia del tronco di legno: la scala, il martello, i chiodi, a marcare con l’impronta inequivocabile del sacro i luoghi, a proteggerli, a costituire per i passanti un ineludibile memento nel fluire della vita di ogni giorno. Il mondo degli uomini e il mondo di Dio, racchiusi in una piccola porzione del selciato paesano. Quindi lo sguardo si sposta e si sofferma sulla parte bassa della “casa serrese”: una porta alla mercantile, un cancello introdotto da una scala in granito e, sulla destra, le grate intrecciate in ferro battuto, l’ingresso di una bottega artigiana con la tipica apertura. Il legno, la pietra, il ferro, il lavoro, la mastranza di la Serra che scorre in sequenza, con tutta la sua serie di ebanisti, falegnami, scalpellini e fabbri, un’aristocrazia artigiana che fu per secoli uno degli stigmi del luogo. Al primo piano, infine, la storia “più grande”, incisa nelle tre colonne visibili al centro della facciata. Una storia che parte da lontano e comincia con un terribile “flagello” quale fu il sisma del 1783 - l’Iliade funesta della Calabria, per rubare l’espressione al titolo di un bel libro di Augusto Placanica – per continuare con le lunghe vicissitudini della ricostruzione che videro pure l’utilizzo in chiave funzionale o soltanto decorativa (ed è di questo che le colonne e la casa danno testimonianza) di brandelli, parti, pezzi della Certosa pesantemente danneggiata dalle scosse, trasferiti nell’arredo urbano e che fanno anche memoria di quell’evento. Una storia, più storie, un paese, mondi diversi che si intersecano e convivono.

E di tutto questo un autorevole “testimone” 

Era stato un altro fenomeno catastrofico, il terremoto di Reggio e Messina del 28 dicembre 1908, a innescare in Alfonso Frangipane - lo racconta Giuseppina De Marco negli atti del convegno reggino dedicato allo studioso del 26 settembre 2009 - il desiderio e l’occasione per porre la Calabria all’attenzione del mondo culturale nazionale, anche nel tentativo di vincere l’intollerabile “calunnia della refrattarietà dell’ingegno calabrese per l’arte”, come lo stesso Frangipane aveva avuto modo di dire nel discorso inaugurale della mostra calabrese d’arte moderna il 12 settembre 1920. Da qui una lunga e indefessa operosità (con il suo importante lascito di mostre, libri, articoli), che si era tradotta pure, soprattutto nell’età giovanile, in un impegno artistico non banale. Di tale ultimo lato della sua poliedrica figura il disegno della “casa serrese” costituisce un autorevole testimone.

*Nuvole è una rubrica curata per il Vizzarro da Tonino Ceravolo, storico, antropologo e scrittore

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