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Venerdì, 31 Maggio 2019 11:03

La vicinanza con «il capo dei capi» e i messaggi hot alla disabile, ecco le accuse ai due preti vibonesi

Scritto da Redazione
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Il sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro Annamaria Frustaci ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di Graziano Maccarone, 41 anni, segretario particolare del vescovo di Mileto e Nicola De Luca, 40 anni, di Rombiolo, reggente della Chiesa della Madonna del Rosario di Tropea, per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio. Entrambi sono accusati di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Maccarone, inoltre, è accusato di aver inviato in due mesi oltre 3mila messaggi alla figlia disabile del debitore, evocando poi l’intervento del clan Mancuso di Limbadi, in caso di mancata restituzione del denaro.

Secondo la Dda, i due, in concorso tra loro, con più condotte e anche in tempi diversi, mediante violenza e minaccia avrebbero compiuto atti idonei a costringere un uomo a restituire la somma di denaro di circa 9mila euro, ricevuta in prestito dai due prelati, per estinguere un debito originariamente contratto dall’uomo e dalla figlia con il creditore, una terza persona, facendo ricorso a metodi intimidatori e richiedendo un importo maggiore rispetto a quello effettivamente dovuto. Nel luglio del 2012, in particolare, era stata notificata un’ordinanza con la quale il giudice disponeva l’assegnazione in favore del creditore dei beni pignorati alla donna. In un primo momento, i due prelati, sempre stando alla ricostruzione degli inquirenti, sarebbero andati incontro alle richieste di aiuto a loro rivolte dal padre della donna per evitare l’espropriazione dei beni pignorati alla figlia, corrispondendo la somma di 2050 euro (don De Luca), somma questa che il padre della vittima avrebbe poi consegnato al creditore. Agli inizi di ottobre 2012, invece, su richiesta dell’uomo, Maccarone avrebbe preso contatti con il creditore e con il suo avvocato per consegnare l’ulteriore somma di 6700 euro, concordando che «non era necessario restituire l’intera somma data in prestito e che in ogni caso la restituzione sarebbe avvenuta in diverse rate, non appena il debitore avesse avuto la disponibilità di denaro e, comunque, a partire dalla Pasqua dell’anno successivo (2013)». A giudizio della Dda, però, al di là del sostegno “apparente” offerto al debitore, la somma di 6700 euro sarebbe stata poi erogata in concomitanza con l’invio di numerosi messaggi a sfondo sessuale diretti a un’altra figlia maggiorenne disabile del debitore, con la quale Maccarone avrebbe intrattenuto, nell’arco di due mesi, ben 3mila contatti telefonici, facendosi inviare foto compromettenti e recapitare indumenti intimi tramite alcuni conoscenti. In un secondo momento, Maccarone avrebbe cambiato radicalmente atteggiamento, chiedendo l’immediata restituzione della somma, per sé e per don Nicola De Luca. I soldi che Maccarone aveva corrisposto al creditore, secondo la ricostruzione operata dagli inquirenti, gli erano stati consegnati dai «cugini di Nicotera Marina…non vi dico il cognome…già lo sapete…sono cugini miei», ai quali avrebbe dovuto restituirli al più presto, evocando così la propria vicinanza con il clan Mancuso, operante nel territori di Limbadi e Nicotera e, in particolar modo, con «Luigi Mancuso», definito da don Maccarone «il capo dei capi».

I due prelati, infine, non avendo ottenuto la restituzione del denaro dato in prestito entro il termine richiesto, avrebbero raddoppiato l’importo preteso.

Intervenendo sulla questione, però, la Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, guidata da monsignor Luigi Renzo, ha preso le difese dei sacerdoti rimasti coinvolti nella vicenda.