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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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Per comprendere il ruolo di Daniel D’Alessandro, detto “Bellebuono”, nei delitti che ruotano attorno al business delle curve milanesi, più che concentrarsi sul soprannome – una chiara citazione da “Gomorra” – e sui tatuaggi evocativi, è forse utile analizzare alcuni fatti che emergono dai filoni investigativi seguiti dalla Dda lombarda sul tifo organizzato. A cominciare da quello più recente, ovvero la scelta di D’Alessandro, accusato di essere uno dei due killer del capo ultrà Vittorio Boiocchi, di non rispondere alle domande del gip dopo essere stato arrestato e consegnato dalla Bulgaria in esecuzione di un mandato europeo.
Nato a Monza ma con origini calabresi, D’Alessandro è cugino e factotum di un altro componente del “direttorio” della curva Nord finito nell’inchiesta, Marco Ferdico, anche lui brianzolo con legami a Soriano Calabro, crocevia importante per l’ingresso del rampollo Antonio Bellocco negli affari milanesi. “Bellebuono” ha legittimamente scelto il silenzio e, attraverso il suo avvocato, ha specificato di non aver mai reso dichiarazioni sui fatti e continua «a seguire questa linea». La precisazione è significativa anche perché D’Alessandro, che era nella cerchia di Bellocco, secondo quanto rivelato dall’ex capo ultrà pentito Andrea Beretta, a un certo punto avrebbe deciso di spifferare a quest’ultimo che i suoi soci nel business delle curve avevano deciso di fargli «la festa». A ciò sarebbe seguito l’omicidio del rampollo del clan di Rosarno avvenuto, per mano dello stesso Beretta, davanti a una palestra a Cernusco sul Naviglio il 4 settembre del 2024.
L’interrogativo, dunque, è perché D’Alessandro, da factotum di Ferdico e Bellocco, abbia tutto a un tratto deciso di fare una soffiata di tale portata a Beretta. E se sia stata, ammesso che sia vero, una scelta autonoma di “Bellebuono” o ci sia anche in questo una regia che porta alle cosche calabresi.
Ovviamente si tratta di congetture legate a dichiarazioni da verificare nelle competenti sedi giudiziarie, ma c’è un altro episodio da ricollegare a quelli più recenti. Risale a una mattina di luglio del 2023: a Pioltello, nei pressi dell’abitazione in affitto a Bellocco, gli inquirenti monitorano un viavai di persone che ritengono di interesse investigativo. Davanti casa arriva Bellocco, poi D’Alessandro e poi un fedelissimo del clan di Rosarno con in mano un borsone nero apparentemente vuoto.
Nelle ore successive entrano ed escono dalla casa, e dal box sottostante, a più riprese. In seguito si aggiunge un altro uomo dei Bellocco e alla fine, nel primo pomeriggio, arriva Beretta, che entra nell’abitazione e ne esce dopo circa 45 minuti. Poi escono anche gli altri dividendosi tra due auto e con il borsone nero, stavolta pieno. Gli inquirenti incrociano l’incontro con alcune dichiarazioni di Beretta, che dice di essere stato convocato, in quel periodo, nel box di Bellocco, dove aveva «incontrato due emissari della sua famiglia, di cui uno presentato come un latitante, che gli avevano rivolto direttamente concrete intimidazioni» mirate ad estrometterlo dagli affari sul merchandising.
Uno dei due «emissari», appena tre giorni prima, era stato controllato a Tropea in compagnia di due presunti esponenti del clan Mancuso, tra cui lo zio di un 36enne originario del Vibonese, Alfonso Cuturello, che non risulta indagato ma viene più volte menzionato nelle carte dell’inchiesta. Per l’ennesimo intreccio che porta alla Calabria, pur essendo milanista, Cuturello si sarebbe mostrato interessato al business della curva Nord perorando la “causa” del gruppo degli “Hammer”; inoltre ha partecipato al “derby” di calcetto con Beretta e Bellocco la sera prima dell’omicidio; infine, si sarebbe trovato assieme a Ferdico vicino alla palestra proprio negli istanti successivi all’assassinio del rampollo rosarnese. (Articolo pubblicato sulla Gazzetta del Sud del 17 maggio 2025)
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La pista sul business del tifo organizzato di San Siro, sfociato in due omicidi – quello del rampollo del clan di Rosarno, Antonio Bellocco e, due anni prima, quello del capo ultrà interista Vittorio Boiocchi – porta sempre più alla Calabria. Tanto da irrobustire gli interrogativi su una regia occulta di qualche cosca dietro i due delitti che, al momento, hanno un unico responsabile: Andrea Beretta, ex leader della curva Nord che ha accoltellato a morte Bellocco e si è poi autoaccusato di essere il mandante dell’omicidio di Boiocchi.
Ad eseguire materialmente quest’ultimo sarebbero stati, stando alle accuse, Daniel D’Alessandro, per il quale giovedì la Bulgaria ha dato il via libera alla consegna all’Italia, e Pietro Andrea Simoncini, di Soriano, arrestato lo scorso 11 aprile assieme, tra gli altri, a Marco Ferdico, altro leader del tifo interista, e al padre Gianfranco. I due presunti killer hanno un legame diretto con la Calabria: non solo perché calabresi (D’Alessandro, nato a Monza, lo è di origine), ma perché ricostruendone i movimenti gli investigatori sono stati più volte ricondotti al territorio delle Preserre vibonesi. Sono già emersi i collegamenti di Ferdico con la zona, da cui proviene la sua compagna, figlia proprio di Simoncini, e dai tre filoni investigativi sono emersi anche altri nomi di sorianesi. E proprio a quest’area gli inquirenti sono arrivati rintracciando due sim straniere, attivate su telefoni criptati, che sarebbero state usate per preparare l’omicidio di Boiocchi.
Il gip di Milano mette in risalto «le modalità assolutamente professionali» con cui è stato preparato ed eseguito l’omicidio: «Sono state utilizzate utenze olandesi applicate su telefoni cellulari modello Google Pixel sui quali erano state installate applicazioni di messaggistica istantanea criptata, con tecnologia di comunicazione Pgp, non intercettabili con gli ordinari strumenti di intercettazione telematica, pertanto in grado di eludere il monitoraggio da parte delle forze dell’ordine». Il giorno dell’omicidio queste utenze, dopo essere state localizzate da celle compatibili con l’abitazione dei Ferdico, vengono segnalate nei pressi dello stadio Meazza e sul luogo dell’omicidio, per questo gli inquirenti ritengono che siano state impiegate per comunicare i movimenti di Boiocchi dallo stadio verso la sua abitazione, dove poi è stato assassinato. «Dalla ricostruzione dei movimenti dei dispositivi menzionati, è stato verosimile ritenere – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – che dette utenze fossero inizialmente proprio nella disponibilità dei membri della famiglia Ferdico e, una di queste, sia stata affidata agli esecutori del delitto, Simoncini e D’Alessandro».
Le stesse utenze vengono localizzate proprio tra Soriano e Gerocarne, «dove hanno prevalentemente agganciato gli apparati radiomobili nella disponibilità di Simoncini». Ciò è avvenuto non solo pochi giorni dopo il delitto ma «quasi a cadenza mensile nell’arco del 2022». E sempre alla cella in cui rientra il territorio di Soriano nello stesso anno hanno registrato agganci anche le utenze riconducibili ai Ferdico e a D’Alessandro. Il gip conclude rilevando «un vero e proprio collegamento» tra coloro che risultano aver acquistato i telefonini criptati, indicati tra l’altro come collaboratori di un 48enne originario di Stefanaconi, e il territorio calabrese, «nello specifico Soriano Calabro». (Articolo pubblicato sulla Gazzetta del Sud del 12 maggio 2025)
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C’era anche lui nella partita di calcetto giocata tra ultrà interisti e milanisti il giorno prima che Andrea Beretta uccidesse il suo “socio” Antonio Bellocco. E, stando alle cronache milanesi, sarebbe ricomparso proprio sulla scena del delitto che ha palesato quanto appetibili e pericolosi possano essere gli affari attorno alle “Due curve” di San Siro. Alfonso Cuturello, 36 anni da compiere e plurimi legami di parentela con i Mancuso, è noto sia agli inquirenti che a diversi dei capi ultras coinvolti nell’inchiesta sul tifo milanese.
Non figura tra gli indagati, è milanista – ma lo stesso Bellocco era in realtà juventino – e il suo nome ricorre più volte nelle carte vergate dai pm Paolo Storari e Sara Ombra. Lo si ritrova nei capitoli da cui emerge quanto i Bellocco abbiano «dovuto interporsi per tenere “lontane” altre famiglie mafiose, con incontri realizzati dapprima in Lombardia, poi in Calabria, e poi di nuovo in Lombardia».
Si parla anche del potente clan vibonese che ha il suo feudo tra Limbadi e Nicotera: uno degli arrestati, Marco Ferdico, ancora prima dell’altro omicidio eccellente che ha preceduto il delitto Bellocco, quello del “vecchio” capo ultras Vittorio Boiocchi, «supportato da soggetti calabresi legati alla “Cosca dei Mancuso”, avrebbe avuto in animo – si legge nei faldoni dell’inchiesta – di escludere Boiocchi dal direttivo della curva per acquisire la gestione degli affari economici del gruppo ultrà interista». E «a fronte del suo rifiuto maturava il proposito di una eliminazione fisica dello stesso».
Dopo l’omicidio di Boiocchi fu proprio Beretta a raccontare agli inquirenti di essere «stato avvicinato da personaggi di origine calabrese che lo avevano minacciato». Sarebbe stata la frangia di estrema destra degli ultras a rivolgersi «a soggetti collegati alla criminalità organizzata calabrese» e tra gli incontri del nuovo “triumvirato” per chiarire la situazione ce ne sarebbero stati anche alcuni con Cuturello, con Bellocco che «riusciva, con sagacia, ad alternare messaggi minatori a momenti di composizione dei contrasti». Dopo uno di questi incontri proprio Ferdico «ha rivelato di essere stato turbato dalla presenza di Cuturello», benché assieme a quest’ultimo si sarebbe poi allontanato dal luogo dell’omicidio di Bellocco.
Lo zio di Alfonso Cuturello, Salvatore, è sposato con la figlia del boss “Peppe ‘Mbrogghia”, l’esponente di vertice dei Mancuso ritenuto di maggiore spessore tra quelli attualmente in libertà. Per via materna invece Cuturello è nipote della defunta Romana Mancuso (sorella dei boss della “generazione degli 11”, tra i quali Luigi Mancuso), il cui marito era per altro fratello della moglie di “Peppe ‘Mbrogghia”. Sul suo conto i pm annotano «precedenti di polizia per reati inerenti gli stupefacenti, rapina, ricettazione e detenzione di armi clandestine», mentre il padre e lo zio sono stati coinvolti nel 2020 in un’inchiesta che ne avrebbe «accertato l’operatività» alle «strette dipendenze della cosca Mancuso».
Ma la strada che da Limbadi porta alla Milano dei vip è più breve di quanto si possa pensare: in una “storia” Instagram di Cuturello riportata dagli inquirenti ci sono anche le immagini dell’inaugurazione di “Italian Ink”, attività «correlabile» anche al rapper Emis Killa, con la sua foto assieme a Fabiano Capuzzo e Islam Hagag (entrambi arrestati), nonché a Jacopo Lazzarini, in arte Lazza. (Articolo pubblicato sulla Gazzetta del Sud del 11 ottobre 2024)
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