Stampa questa pagina
Lunedì, 11 Dicembre 2017 09:42

Quella moda di "folklorizzare" la Calabria che alimenta gli stereotipi

Scritto da Vito Teti
Letto 4610 volte

L‘articolo di Tonino Ceravolo (La saja, il vancale, il dobbletto. I costumi popolari serresi tra negazione e riconoscimento) è, come tutte le cose che lo studioso scrive, bello, incisivo, documentato. Pone anche un problema, civile e culturale, di ordine più generale.

L’approssimazione, la superficialità, la mancanza di un’idea di percorso culturale e scientifico, con cui vengono costruiti e, purtroppo, anche “aperti” Musei che rispondono soltanto a un bisogno di apparire e di attrarre danaro pubblico.

Ai visitatori viene data così una visione tendenziosa, colorata, patinata, folkloristica di una terra complessa, bella e ombrosa. Si amplificano così i luoghi comuni e gli stereotipi sulla Calabria e i calabresi e si alimenta una “folklorizzazione” della Calabria attraverso processi di “invenzione della tradizione” (presentata come pura, genuina ecc.) che nulla ha a che fare con la storia del passato e con le esigenze del presente. Mi preme ribadirlo: non mi riferisco a questo caso, che non conosco direttamente, ma a un “malcostume” generale che Ceravolo ha il merito di mettere in evidenza. Se operatori, a volte in buona fede, magari anche appassionati, invece di seguire le mode e i tempi dei politici che erogano finanziamenti (a volte generosi, sempre "clientelari") si premurassero, ad esempio, di "recuperare" il Fondo Corso (citato da Ceravolo), con i tanti reperti, oggetti, costumi che dormono (speriamo) nelle casse del Museo di Arte e Storia delle Tradizioni popolari di Roma, forse potremmo esporre qualcosa di più veritiero, attendibile... in maniera critica, e senza retorica.

È soltanto un esempio delle tante cose che potrebbero essere fatte.