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Domenica, 21 Maggio 2023 08:54

Sopravvivere dopo la guerra. La struggente lettera di un giovane serrese nel 1946

Scritto da Sergio Pelaia
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«Se credete che le Vostre funzioni debbano essere puramente amministrative e limitate all’applicazione delle leggi – se non Vi pare rientri nell’ordinario campo delle Vostre attività una generosa considerazione del caso mio, che alla Vostra bontà fa appello – allora risparmiatevi la fatica di leggere questa lettera e dimenticatela». 

Nella classificazione archivistica dell’epoca – siamo agli albori del Secondo Dopoguerra – l’oggetto della «14esima categoria» sono gli «Affari diversi», ovvero uno spazio documentale in cui finiscono tutte quelle carte non diversamente e più precisamente classificabili. Questo fascicolo, custodito nell’archivio comunale serrese recuperato e reso fruibile presso la biblioteca “Enzo Vellone”, contiene in realtà tante “piccole” storie che restituiscono, benché parzialmente, i contorni spesso drammatici dell’umanità che tentava di sopravvivere in un paese del Sud Italia tra le macerie e le miserie della guerra. È proprio da queste carte che è venuta fuori la lettera di cui abbiamo citato per intero l’incipit (foto). Ne valeva la pena, perché si intuisce la sensibilità umana e culturale, ma anche il disincanto e la disperazione, di chi la scrisse. 

Pur essendo passati più di 70 anni non è il caso di fare il nome del mittente perché non è poi così importante. È invece rilevante, ed estremamente struggente, il contenuto della lettera. Inviata alla Prefettura di Catanzaro l’8 ottobre del 1946, si tratta di una vera e propria richiesta d’aiuto, un grido di dolore lanciato da un giovane serrese convinto che «la bontà di pochi sopravviva ancora alla malvagità dei più», anche se «finora nessuno è stato buono» con lui. L’autore della missiva aggiunge infatti di aver «aspettato inutilmente» l’aiuto promessogli «da deputati» che lo hanno «gabbato» e di aver «supplicato invano altri personaggi influenti».

La sua famiglia, spiega, un tempo «era prospera» ma «una bancarotta», i debiti e le «truffe da parte di malevoli hanno rovinato il patrimonio». L’autore della lettera rivela anche che il padre è stato «internato in Germania» e non è tra i deportati serresi che vengono ricordati al giorno d’oggi, ma nel momento in cui scrive il genitore è ormai «un penoso avanzo d’uomo già tocco nelle sue facoltà mentali». Mentre lui, il primogenito, ha appena 24 anni, è un «eterno studente che non raggiunge la meta perché il denaro non c’è» ed è costretto ad «assistere impotente allo spettacolo di una famiglia in disfacimento».

Ammette di non poter «vantare eroici fatti d’armi» e di non possedere «un brevetto di partigiano» né «un foglio» che lo «dichiari reduce» perché inabile al servizio militare «per debolezza di costituzione». Non ha dunque abbastanza forze per «zappare» e non sa «trovare un ripiego nei facili guadagni del mercato nero grosso e minuto e delle altre losche attività escogitate oggi – osserva con amara ironia – dal “bello italo ingegno”». Potrebbe dunque fare «assegnamento sui titoli di studio soltanto»: ha «l’Abilitazione Magistrale», è iscritto «al Magistero di Messina» e conosce «bene l’inglese, anche praticamente».

Quella che rivolge al prefetto dell’epoca è una supplica: «Vi scongiuro di darmi o farmi dare un’occupazione che mi consenta di vivere e proseguire i miei studi. Fate ch’io trovi nella Vostra persona un esempio della bontà che non credo sia del tutto scomparsa dalla faccia della terra». Ma i tempi sono quelli che sono ed evidentemente, al di là delle contingenze storiche, chi riveste il ruolo di rappresentante dello Stato sul territorio quasi sempre risulta impermeabile alla commozione. 

La risposta alla lettera è datata 23 ottobre 1946 ma arriva al sindaco di Serra il successivo 2 novembre. Ed è di una freddezza raggelante: «Per quel corso che crederà darvi e con preghiera di far conoscere all’interessato che nessun provvedimento può questa Prefettura adottare a suo favore». Ricostruire cosa sia stato poi dell’«interessato», quale destino abbia affrontato quel 24enne disperato, è cosa difficile a distanza di molti decenni. Ma è possibile, per la sua e per altre sfortunate esistenze, provare almeno a riannodare qualche filo di memoria, a restituire scampoli di dignità a “piccole” storie altrimenti sommerse dalla polvere delle scartoffie e dalle tragedie del Novecento.