La casa di cura “Domus Aurea” di Chiaravalle, centro delle Preserre catanzaresi in cui si è registrato un vero e proprio focolaio a causa dell’elevato numero di persone risultate positive al Coronavirus, che ha causato anche 28 decessi, non riapre. Almeno per ora. Il Tar (Tribunale amministrativo regionale) di Catanzaro, infatti, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla “Salus M.C.” contro l’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro per l’annullamento della sospensione del procedimento di formazione del contratto relativo all’anno 2020.

I proprietari, in sostanza, avevano rilevato che la sospensione azionata dall’Asp catanzarese nascondesse una «revoca tacita dell’accreditamento, adottata al di fuori delle previsioni di legge e in contrasto con il perfezionamento del contratto». Secondo quanto evidenziato dalla proprietà (difesa dagli avvocati Antonello Talerico e Ileana De Santis), «non c’erano i presupposti per la revoca dell’accreditamento e, in ogni caso, della sospensione dell’attività della struttura». Secondo i giudici del Tar, invece, il contratto fra la struttura e l’ente sanitario «non si è ancora perfezionato, non essendo stato sottoscritto dall’Azienda, la quale deve ancora acquisire, secondo i rilievi dalla medesima esposti, la prescritta certificazione antimafia». Le indagini interne avviate nei giorni più caldi dell’emergenza sanitaria avevano fatto emergere queste carenze documentali.

Era stato il dirigente generale del dipartimento regionale Tutela della Salute, Antonio Belcastro, a firmare la «sospensione del procedimento di formazione del contratto, diffidando la società dall’effettuare nuovi ricoveri, anche in regime privatistico, nelle more delle verifiche sulla sussistenza dei requisiti di autorizzazione e accreditamento».