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Venerdì, 01 Aprile 2016 13:41

La saga dell'Alaco, tra sindaci incoscienti e giustizia lenta

Scritto da Angelo De Luca
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VIBO VALENTIA - Ieri sera a “Le Iene” è andato in onda un nuovo capitolo della famosa saga dell’acqua dell’Alaco (qui il video). Ormai è una storia che conoscono tutti ed è inutile stare qui a scriverne ulteriormente. È assodato, certificato, spiegato, documentato che quell’invaso maledetto fa schifo. E se proprio qualcuno ancora non vuole capire non importa. Si faccia al più presto la volontà della cittadinanza, che nel caso specifico ha due ragioni superiori a qualunque scusante politica: il referendum plebiscitario sull’acqua bene comune e lo status di cittadino/cliente. Ovvero: pago l’acqua? Decido io cosa bere. Punto.

Ma siccome la stragrande maggioranza dei sindaci vibonesi è cieco-sordo-muta, la considerazione da fare è la seguente: se i tanti primi cittadini non sono corrotti o cointeressati, sono degli emeriti incoscienti. Delle due l’una. Scelgano in totale coscienza a quale filone ideologico appartenere. Perché non passa più la storiella del «ma se mi dicono che l’acqua è buona io cosa posso farci». No, basta con le spallucce e con le solite teorie della vergogna sulle spalle della gente. Per l’ennesima volta, il Comitato civico Pro-Serre ha dato prova di grande coraggio. Metterci la faccia è l’esempio più bello di questa terra malata. C’è ancora un briciolo di resistenza e c’è ancora un briciolo di lotta. Che non si ferma e non si fermerà quando la lotta è di necessità. O i benpensanti, quelli cioè che non credono alla favola dell’acqua sporca, credono di essere immuni, oltre che all’ignoranza, pure ai tumori? Certo, la palla passa per l’ennesima volta nelle mani della Procura, che ha in mano adesso una quantità industriale di prove schiaccianti nei confronti di Sorical, di Regione e di Veolia. Prove schiaccianti contro 16 indagati, alcuni dei quali sotto accusa per un reato infamante: avvelenamento colposo di acque. Ripeto: avvelenamento. Forse sarebbe più giusto chiamarlo doloso, perché dirigenti e funzionari vanno ancora dicendo che dall’Alaco esce acqua buona.

Ma tant’è. Basta però che il processo vada avanti. Anzi, che cominci. Perché c’è come la sensazione che il pool diretto da Mario Spagnuolo, che certamente ha avuto il merito di dare seguito giudiziariamente alle proteste dei cittadini, vada costantemente a sbattere contro un muro senza nome e cognome. Come mai, ad esempio, l’udienza preliminare per decidere sui rinvii a giudizio è continuamente rinviata a data da destinarsi? Come mai, se per la Procura gli indizi di colpevolezza sono pesanti e l’affare è serio per davvero, si lascia che tutto assuma i contorni della farsa? A cosa si punta? Alla prescrizione? Perché più tardi il processo comincia e prima i (presunti) colpevoli verranno baciati dalla fortuna, dal farla franca. Una cosa inaccettabile. Qui la gente ci ha messo anima e corpo, dignità e schiena dritta, tempo e denaro come mai nella storia calabrese. Ha lottato per anni, continua a farlo. E vorrebbe sentirsi finalmente protetta dalla giustizia. Che però stenta a fare il suo percorso.

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