Sabato, 04 Aprile 2020 11:05

Tutti i dubbi e le mezze verità sul drammatico caso della Rsa-focolaio

Scritto da Redazione
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Il trasferimento dei pazienti della Domus di Chiaravalle è stato completato nella notte di giovedì scorso dopo che i sindaci della zona hanno promosso un sit-in di protesta davanti alla struttura, ma restano ancora molti nodi e molte incertezze sui tempi e le modalità con cui tutto è avvenuto, mentre continua a salire il numero dei pazienti deceduti che, ad oggi, sono 11. A fare luce sul dramma, che ha interessato la Rsa di Chiaravalle nei giorni scorsi, proverà la Procura di Catanzaro, che starebbe già da tempo indagando sulla vicenda. Ci sono documenti che si incrociano, storie e punti di vista differenti rispetto alla tardiva decisione di trasferire i degenti nelle strutture ospedaliere di Catanzaro, dato che i primi casi accertati di Coronavirus nella Rsa-focolaio risalgono al 25 marzo.

Dopo l’accertamento di 75 casi di positività la Regione ha provveduto alla sospensione dell’autorizzazione alla Salus Mc per la gestione della struttura. Da parte sua l’amministratore della Salus Mc, per bocca del suo legale, aveva invece diffidato la Regione per «abbandono dei pazienti» dopo le continue sollecitazioni per il trasferimento che sarebbero cadute nel vuoto. Di seguito al primo caso di positività riscontrato tra i pazienti il 25 marzo scorso, la task force sanitaria arrivata da Catanzaro per effettuare i tamponi all’interno della Domus (in totale 119 test) porta, il 27 marzo all’esito che conferma ufficialmente la gravità del focolaio: 49 pazienti e 19 operatori sanitari sono affetti da Covid-19, che diverranno poi 75 in tutto nei giorni successivi.

Come ricostruito dal Corriere della Calabria e da Il Fatto Quotidiano, la Procura del capoluogo vuole vederci chiaro e capire perché solo dopo 5 giorni dal primo sopralluogo in cui sono stati fatti anche i tamponi, e a 8 giorni dal primo caso di positività, il dipartimento Sanità della Regione Calabria ha disposto il trasferimento dei pazienti, e non prima. La Regione, nella ricostruzione del caso, cita un’operatrice sanitaria di Serra San Bruno che a sua volta potrebbe aver avuto contatti con il primo contagiato della città della Certosa. Risale al 25 febbraio scorso un funerale tenutosi proprio a Serra San Bruno a cui avrebbero partecipato, non essendo ancora in vigore le restrizioni arrivate dopo, oltre a molti cittadini anche i parenti del defunto «provenienti da Bologna». Il “paziente zero” di Serra (deceduto nella giornata di ieri allo Jazzolino di Vibo), era titolare di un locale pubblico dove, l’8 marzo, si sarebbe tenuta una festa di compleanno alla quale ha preso parte anche l’operatrice sanitaria di Serra in forza alla Domus. Sempre stando a quanto sarebbe riportato nella ricostruzione della Regione, l’operatrice avrebbe continuato a lavorare presso la Rsa di Chiaravalle anche nei giorni successivi.

Alcune cose però, nella ricostruzione messa in piedi dagli uffici della Cittadella, non quadrano. Lo rileva un articolo di LaCnews24 che, rispetto al funerale serrese del 25 febbraio, precisa che alcune delle persone che vi hanno partecipato non arrivavano da Bologna bensì da Modena. Ma i dubbi più consistenti riguardano i tempi, dato che solo il 22 marzo l’operatrice sanitaria sarebbe risultata positiva al Coronavirus, mostrando i sintomi qualche giorno dopo. Probabilmente dunque, e su questo dovrà fare chiarezza la Procura, quantomeno il funerale del 25 febbraio potrebbe essere troppo distante nel tempo per essere stato la causa iniziale del contagio.

A parte la miccia scatenante del focolaio, comunque, la Procura adesso dovrà anche fare chiarezza sul rispetto di procedure e protocolli sanitari soprattutto a partire dal 22 marzo scorso, quando l’operatrice serrese è risultata positiva. Una vicenda poco chiara, oltre che drammatica, che palesa ancora troppe incertezze per poter indicare quale sia stata la fonte del contagio che ha innescato il tragico focolaio nella Rsa di Chiaravalle. Di ieri il messaggio del sindaco di Chiaravalle Domenico Donato, che, per non rischiare di perdere il controllo della situazione, data anche la poca chiarezza rispetto alla gestione del focolaio, ha chiesto «tamponi per tutti» lanciando il grido di allarme anche agli altri sindaci che gli sono stati a fianco in questi giorni.

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