Lunedì, 25 Aprile 2016 00:25

Gli ultimi partigiani vibonesi e l’eredità di un sogno infranto

Scritto da Bruno Greco
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I partigiani Restuccia, Fusca e Staglianò I partigiani Restuccia, Fusca e Staglianò

Un riconoscimento alla Storia, ma soprattutto alle donne e agli uomini che questa pagina hanno contribuito a scriverla. Oggi, in occasione dei festeggiamenti del 25 aprile, saranno conferite ai partigiani ancora in vita (ultimi protagonisti della Resistenza) le medaglie della Liberazione per il tramite delle prefetture. Riconoscimento istituito lo scorso anno dal ministero della Difesa su proposta dell’Anpi e della Confederazione delle associazioni partigiane.

Protagonisti nel Vibonese saranno i partigiani Carmine Fusca, nato a Limbadi il 24 novembre 1923, Pasquale Staglianò nato a Bagnara il 16 dicembre 1926, residente a Vibo Marina e Francesco Restuccia, nato a Joppolo il 25 gennaio 1924. Quest’ultimo molto amato dagli abitanti di Tropea, dove vive, oltre che per il suo contributo alla Resistenza, anche per aver lasciato alla città un indelebile apporto culturale nelle vesti di giornalista, scrittore, politico nonché educatore in qualità di maestro. In questo giorno, tra gli ultimi testimoni della Resistenza ci sarebbe stato anche il partigiano “Rosina”, Domenico Mazzitelli di Zaccanopoli, scomparso all’età di 94 anni il 17 gennaio del 2015. Altro prezioso custode della memoria, che nel gennaio del 2013, assieme al corregionale Fusca e al deportato-partigiano Adelmo Franceschini, nella biblioteca comunale di Vibo raccontò ai presenti quell’esperienza che diede all’Italia la possibilità di coltivare il seme della democrazia - che da allora stenta ancora a germogliare -. In quell’occasione – raccontata anche dal giornalista Corrado L’Andolina – alla presenza di Adelmo Franceschini, il presidente della sezione Anpi di Vibo, Silvestro Scalamandrè, conferì ai partigiani vibonesi ancora in vita la tessera ad honorem (Restuccia e Staglianò erano assenti per motivi di salute).

 

Oggi, sul volto di questi grandi uomini che tentarono di cambiare il mondo non rimane che un sorriso rivolto al passato in un presente caratterizzato dall’amarezza. Riecheggiano ancora aguzze come pezzi di cocci rotti e affilati le parole della partigiana di Savona Adriana Colla, che in una lettera a Carmine Fusca esternava il suo risentimento nei confronti di una società tradita, che aveva provato a percorrere il sogno della Resistenza ma si era smarrita ancor prima di realizzarlo: «Sa Carmine, per me quei mesi, dal settembre del ‘43 all’aprile del ‘45, racchiudono un periodo meraviglioso, pieno di passione ed entusiasmo. Forse per i maschi non è stato così, perché per voi si è trattato di un obbligo. Mentre per noi è stata una scelta di libertà! Ma oggi dov’è finito il nostro sogno di un futuro libero, democratico, dove tutti dovevano essere rispettati? Io ho ormai novant’anni e questo non è più il mio mondo». In questa giornata, i nostri partigiani porteranno al collo un’altra medaglia, della quale tutti abbiamo contribuito a sporcare una faccia, facendo finta, il 25 aprile, di non essere avvezzi all’indifferenza così odiata da Gramsci: «Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti».

LA CALABRIA E LA RESISTENZA Qual è stato il ruolo del Sud e dei calabresi nel contesto delle lotte contro il sistema nazifascista? Questa domanda l'abbiamo posta, in occasione del 70esimo anniversario dalla Liberazione, al professore Pantaleone Sergi, presidente dell’Icsaic (Istituto calabrese per la storia dell’Antifascismo e dell’Italia contemporanea): «Una rivisitazione della storiografia sulla Resistenza è necessaria quanto determinante per riconoscere la giusta funzione che le regioni del Sud hanno avuto nella lotta al nazifascismo». Sergi, attraverso il suo saggio “La Calabria dopo l’8 settembre, tra ripresa democratica e dinamiche conservatrici” ha spiegato che, nonostante la Resistenza sia stata un fenomeno geograficamente ascrivibile alle regioni centro-settentrionali, non è assolutamente da sottovalutare l’importante ruolo che i partigiani meridionali hanno avuto in questa singolare parentesi storica. Sfogliando il censimento dei partigiani combattenti redatto dall’Istituto piemontese per la storia della Resistenza, risultano essere ben 917 i calabresi che in quella regione contribuirono alla cacciata dei nazifascisti, rispettivamente 220 della provincia di Cosenza, 256 della provincia di Catanzaro e 441 della provincia di Reggio. Il solo dato piemontese – forse ad oggi il più completo – evidenzia di già come determinante sia stato il ruolo della Calabria durante la Resistenza. Basti verificare che nell’elenco i vicini lucani sono solo 211 e 417 i partigiani sardi. Tra i tanti, ne ricordiamo qui due, ossia il compianto Mazzitelli e Fusca, che attraverso i loro interventi pubblici hanno raccontato la singolare storia di come appoggiarono gli ideali della Resistenza.

LA DEPORTAZIONE O LE BRIGATE NERE? Già reduce del battaglione monarchico “divisione sforzesca”, nel quale si ritrovò di seguito al servizio di leva obbligatorio, Domenico Mazzitelli, il partigiano “Rosina”, non ha mai dimenticato l’evento che gli fece evitare la Campagna di Russia e che lo stesso ha sempre definito come la sua salvezza: «In una battuta di caccia subii una grave distorsione che m’impedì di rientrare in caserma. Al rientro a Novara i miei commilitoni erano tutti partiti per la Campagna di Russia. Ne rientrarono in pochissimi». Alla fine del 1943 Mazzitelli entra a far parte delle Brigate nere al servizio dello “Stato fantoccio” della Repubblica Sociale Italiana. «Grazie al consiglio di un colonnello di nome Arena – amava ricordare Mazzitelli – entrammo a far parte delle Brigate nere per non essere deportati oltre il confine italiano. Era stato pubblicato un avviso che convocava tutti i militari presso la propria caserma in un giorno prestabilito. Lo scopo era quello di farci lavorare per i tedeschi o ancora peggio l’internamento in qualche campo. Il generale Arena aveva firmato un permesso cumulativo per me più altre quattro persone. I tedeschi non lo accettarono chiedendo autorizzazioni individuali. Per fortuna il colonnello era ancora in caserma e acconsentì alle richieste. Scappai assieme ad altri due compagni con i quali mi arruolai tra le fila dei partigiani». Stanco di quella camicia nera imposta e che sempre gli era stata stretta, nel gennaio del 1943 Carmine Fusca entrò a far parte dei partigiani nel 228° reggimento fanteria, prendendo servizio dapprima nella città di Milano, poi a Varese e infine ad Albenga. Così anche Fusca, partigiano vivente di San Nicola de Legistis (frazione di Limbadi), nonostante il Bando Graziani prevedesse la pena di morte per disertori e renitenti, non ci pensò due volte ad abbandonare “i repubblichini” per sposare una causa più grande. 

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