Domenica, 08 Novembre 2015 11:24

Mata e Grifone all’università: i giganti finiscono in una tesi di Architettura

Scritto da Bruno Greco
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«Il nano vede più lontano del gigante quando ha le spalle del gigante su cui montare». Le parole di Coleridge racchiudono il senso dell’essere umano, così piccolo ma estremamente ambizioso, capace di nascondere dentro se stesso un gigante pronto a mostrarsi all’occorrenza.

Quell’essere umano visto con gli occhi dell’artista Ilya Kabakov, che nelle sue installazioni (Where is my place) rappresenta le persone come dei giganti ma solo dalla cintola in giù, a dimostrazione del fatto che un uomo non si può mai conoscere profondamente. Così, chi partecipa alle mostre di Kabakov, mentre ammira l’opera diventa un gigante esso stesso, guardato dal basso da installazioni più piccole e incapaci a loro volta di cogliere l’essenza del visitatore.

 Le installazioni dell’artista Ilya Kabakov
 

Le parole di Coleridge e le immagini di Kabakov introducono il lavoro di ricerca svolto sui giganti calabresi dai giovani architetti Giuseppe Alessandria e Francesco Chilà e coordinato dal professor Rosario G. Brandolino e dai correlatori professor Giuseppe A. Zucco e architetto Pietro Mina. Uno studio strutturale, minuzioso, incentrato sull’analisi dei mitici simulacri. Ma anche una profonda riflessione antropologica su ciò che i giganti hanno rappresentato e rappresentano tuttora.

Ma cosa ci azzeccano i giganti calabresi con l’Architettura? Come argomento di tesi in questo ambito potrebbe a prima vista risultare fuori tema, se non fosse che il simulacro del gigante sia caratterizzato nella sua struttura da una componente architettonica che ne definisce la vera essenza e detta le caratteristiche del ballo, che può differire da luogo a luogo. Una struttura che allo stesso tempo per Alessandria e Chilà ha significato una sorta di abitazione, dove chi è chiamato a guidare il fantoccio si annida, fornendo al gigante un’anima per farlo rivivere, e a se stesso una piacevole sensazione di grandezza.

Tutto parte dal desiderio di riqualificare il borgo di Papaglionti (frazione di Zungri in provincia di Vibo), completamente abbandonato da­l 1984 e con ferite ancora visibili risalenti ai terremoti del 1783, del 1905 e all’alluvione del 1952.

Una veduta del borgo di Papaglionti

 

Questo paese abbandonato, di cui Vito Teti ha tracciato un profilo in “Il senso dei luoghi”, pare che sia stato tra i primi posti della Calabria a dare i natali ai famosi gigantari. Testimone la tradizione orale e leggendaria di Papaglionti riportata alla luce da Raffaele Lombardi Satriani attraverso i racconti della gente del posto. Come scrivono i due architetti, a Papaglionti «in una Grotta (ancora esistente, ndr), dimorerebbe Trisulina, donna di statura alta, padrona di monete d’oro, che un giorno all’anno esce dal proprio nascondiglio. […] Al contempo bisognava portare una pistola nuova e sparare alla persona che si aveva davanti (un cavaliere secondo quanto riporta Satriani, ndr) e così Donna Trisulina si privava delle proprie monete d’oro per donarle all’avventuriero […] all’esterno, i giganti Mata e Grifone si corteggiano in un ballo infinito».

I GIGANTI DI PALMI E I GEMELLI DEL BRIGANTE Il legame tra il borgo di Papaglionti e la tradizione dei giganti calabresi sembrerebbe avere origini antiche. E ancora oggi, nel giorno di San Pantaleo, protettore del borgo, i giganti animano la festa con i loro balli mantenendo vivo questo ricordo.

Nell’analizzare la struttura dei simulacri, Alessandria e Chilà sono partiti dai fantocci antichi conservati nel museo di Palmi (struttura lignea) e dalle copie fedeli (struttura in alluminio) realizzate a Reggio Calabria negli anni 80 e custodite dall’associazione culturale Il Brigante di Serra San Bruno, grazie a cui la tradizione dei giganti è tornata a rivivere nelle Serre calabresi. Nell’ambito delle attività di studio e recupero delle tradizioni popolari, l’associazione serrese ha concretizzato l’intenzione di riportare in vita un evento altri­menti relegato all’oblio. In un periodo in cui, tra l’altro, il fenomeno migratorio è al centro del dibattito politico internazionale, oltre al valore dell’antica tradizione, per Il Brigante l’amore tra la nobildonna spagnola (Mata) e il principe saraceno (Grifone) ha rappresentato un simbolo antirazzista ormai conosciuto in molte piazze d’Europa. 

Nel corso del loro percorso di ricerca, Alessandria e Chilà sono venuti a conoscenza dell’esistenza a Serra San Bruno dei gemelli moderni di quelli antichi di Palmi. Grazie alla collaborazione con il Brigante i giovani architetti hanno analizzato con rigore scientifico la struttura dei giganti. E Mata e Grifone, alla fine, in occasione della discussione della tesi di Alessandria e Chilà, sono arrivati anche all’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Giganti di Palmi e copie fedeli a confronto 

Come si deduce dalla tesi, i giganti di Palmi e dell’associazione Il Brigante sono stati costruiti secondo lo studio dell’anatomia umana (caratteristica comune ai simulacri del Reggino), rastremati in alto per dare proporzionalità alle spalle. Di profilo risalta subito all’occhio la sezione trapezoidale del petto che permette (grazie anche all’imbottitura) di vestire il fantoccio come un essere umano. In più, al centro della gabbia c’è un poggiatesta, per avere un maggiore controllo del gigante e farne un vero e proprio prolungamento del corpo. «Attraverso il poggiatesta – sostiene Alessandria – il ballo della tarantella a ritmo di rullante è più veritiero, si controlla meglio e si dà al fantoccio un’impressione di naturalezza».

Differisce di molto invece la struttura dei giganti del Vibonese, costruiti con una gabbia semplice a 4 elementi e che non tiene conto dello studio anatomico. «Qui – fanno sapere i due architetti – la gabbia del gigante è molto più semplice e libera rispetto a quella del Reggino. Il vestito è quasi sempre a tubo data la struttura priva di poggiatesta e che si adagia sulle spalle del portatore. Intervistando alcuni portatori di giganti del Vibonese, abbiamo capito che questa scelta strutturale è dipesa dalla volontà di avere maggiore libertà di movimento. La base del ballo è sempre la tarantella, ma in quello vibonese si possono notare dei movimenti più estremi, che permettono al gigante di piegarsi maggiormente ai lati. Qui si predilige di più lo spettacolo rispetto al ballo».

La struttura dei giganti del Vibonese

LA NUOVA PAPAGLIONTI La chiave di lettura per la riqualificazione di Papaglionti sta nel parallelismo tra gigante e borgo: la struttura del fantoccio senza l’uomo che gli dia un’anima rappresenta un rudere, privo della sua funzione di ospitare esseri umani.

Ruderi e giganti come insediamenti umani

Partendo da questo presupposto, Alessandria e Chilà sostengono che il binomio fantoccio-rudere piuttosto che essere mero oggetto museale potrebbe riacquistare la sua originaria funzione sociale. Il segreto sta nella riqualificazione dell’area attraverso innesti architettonici realizzati nel pieno rispetto dei ruderi di Papaglionti. Con tre funzioni: spazi espositivi, unità minime di abitazione e laboratori. Lo spazio espositivo sarebbe rappresentato dalla chiesa di San Pantaleo, con un interno ristrutturato secondo un disegno distorto e che rimanda alla propagazione del suono dei rullanti.

Le unità rappresentate con il colore blu (vedi img) prevedono invece la costruzione di laboratori destinati alla lavorazione della cartapesta – materiale maggiormente utilizzato per la fattura delle parti visibili del simulacro (testa e mani) – e al reparto tessile utile alla cucitura dei vestiti destinati ai fantocci. L'impalcatura rimanda ai dipinti di Mondrian.

I centri rappresentati con il colore giallo (vedi img) sono le unità minime di abitazione, dove è stata prevista anche la scuola di danza per imparare i passi della tarantella.

 Innesti architettonici: chiesa, abitazioni e laboratori
 

Come in ogni paese che si rispetti, non poteva mancare il luogo di fruizione degli spettacoli per antonomasia: la piazza. Quelle esistenti a Papaglionti sono due. La prima (la più piccola) è delimitata da alcuni elementi architettonici (a forma cilindrica) che rimandano, a seconda della loro altezza, all’entità dei passi nel ballo della tarantella. La seconda piazza (la più grande) è costruita con una pavimentazione a maglia, sulla quale 4 giganti in resina (alti 4 metri), con appositi agganci alla base, possono essere spostati a piacimento come elementi scenografici per gli spettacoli.

  Le due piazze di Papaglionti
 

La grotta di Trisulina – si tratta in realtà dei resti di un’antica villa romana – invece sarebbe resa fruibile tutto l’anno grazie a una tecnica conservativa fatta con acciaio cor-ten applicato al soffitto.

L'entrata della grotta di Trisulina, antica villa romana

 

Ultima chicca del lavoro di riqualificazione, l’installazione nel borgo – quasi come se fosse una mostra permanente – di alcune statue dell’artista calabrese Angela Pellicanò, famosa per i suoi collage tridimensionali realizzati con stralci di giornale su anima in argilla. Le statue del borgo di Papaglionti, come hanno spiegato i due giovani architetti, verrebbero realizzate attraverso delle lamelle malleabili in ferro e legno, appositamente create per mantenere inalterata la tecnica compositiva dell’artista.

 Le statue realizzate secondo la tecnica dell'artista Angela Pellicanò

 

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