Venerdì, 28 Agosto 2020 08:40

Un viaggio nel tempo tra i mosaici dell’antica Kaulonìa

Scritto da Bruno Greco
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La storia è fatta anche di compromessi, espedienti che a volte riescono a portare a risultati sorprendenti. Tutto nasce dalla costruzione del “Faro di Punta Stilo”. Quando alla fine dell’800 Paolo Orsi fu chiamato a soprintendere per la sua realizzazione sapeva benissimo che quell’opera, eretta sull’antica “Torre di castellone”, avrebbe celato per sempre i resti di popoli antichi. Ma, nonostante tutto, rappresentò il punto di partenza per condurre le proprie ricerche altrove. Dagli scavi, infatti, vennero a galla diversi oggetti, probabilmente destinati al culto di divinità come Poseidon (dio del mare). Orsi, nonostante il minus rappresentato dal futuro “Faro di Punta Stilo”, capì comunque che era il caso di avviare nuove ricerche. «Se in questo luogo – fu il suo ragionamento – riaffiorano oggetti destinati al culto di antiche divinità, significa che nelle vicinanze esiste dell’altro». La scoperta del “tempio dorico”, a livello del mare, fornisce così all’archeologo quel plus che in tanti rincorrevano da tempo, ossia la città che ancora mancava all’appello: l’antica Kaulonìa.

La premessa è d’obbligo per l’archeologo di origini serresi Francesco Cuteri, che prima di addentrarsi nel racconto dei “suoi” mosaici rappresentanti Draghi, Delfini e Ippocampo (scoperti nel 2013), ripercorre i passi della Storia sulle tracce degli antichi greci giunti sulle coste calabresi. Dalla vita distesa dei sibariti, che portavano i galli fuori dalla città per non essere disturbati al mattino; passando alla stizza di Myschellos, nei confronti di Apollo, per non aver avuto in concessione terre simili alla fiorente Sibari per la fondazione di Crotone (città, quest’ultima, dalle donne incantevoli e in cui l’ultimo degli atleti sarebbe risultato più forte del primo degli atleti greci); fino alla nascita di Kaulonìa con Tifone, distrutta poi dal siracusano Dionisio I e ricostruita ancora dal figlio Dionosio II su consiglio del filosofo Platone, per poi soccombere completamente nello scontro tra romani e cartaginesi (dopo che Kaulonìa aveva dichiarato fedeltà allo sconfitto Annibale). Dunque, la famosa città nota per i suoi giacimenti di ferro, abile anche a coniare la propria moneta con sopra rappresentato il dio Apollo, rimarrà da quel giorno dormiente sotto la campagna della costa ionica.

«La sala dei mosaici dovrà rimanere sotto terra», si leggeva nel post/provocazione scritto da Cuteri sul suo profilo Facebook, nei primi giorni di agosto. E invece no! I “suoi” mosaici, quelli dell'unico edificio termale ellenistico scoperto in Calabria, anche ai tempi del Coronavirus, sono stati riportati alla luce per essere ammirati. Nel viaggio, che Cuteri fa affrontare alle persone prima di “entrare” nella stanza dei mosaici, si dispiega la preparazione alla quale bisognava sottoporsi prima dell’arrivo al cospetto dei Draghi, dei Delfini e dell’Ippocampo. Secondo la ricostruzione dell’“archeologo scalzo”, prima di entravi gli avventori si inebriavano con del vino in una stanza precedente (dove è stato rinvenuto un grosso cratere/recipiente) per poi passare nell’atrio, momento in cui avveniva tassativamente il lavaggio dei piedi prima di fare l’ingresso nella sala dei mosaici. «All’interno – racconta l’archeologo/scopritore dei mosaici – avviene una sorta di purificazione del corpo. Un contatto quasi con l’aldilà, col regno dei morti, anticipato già dal mosaico d’ingresso, un fiore a 12 petali che sta a rappresentare le 12 divinità dell’Olimpo». Nella piscina, sulla parte sinistra della sala (lato ovest), le immersioni portavano il corpo a una posizione simile a quella del feto, date le dimensioni della vasca. Il Drago, con lo sguardo rivolto a est verso il mare, aveva invece la funzione di vigilare affinché all’interno non vi entrasse il male, proprio come nella casa del drago (scoperta sempre nelle vicinanze) ancora chiusa al pubblico e il cui mosaico è adesso esposto all’interno del museo (Mak). Di fronte a lui, muso a muso, il Delfino che, nel racconto di Cuteri, rappresenta Apollo, Delfi, «l’ombelico del mondo». Apollo, lanciatosi in acqua dal monte Parnaso, si trasforma in delfino per andare incontro ai micenei, che da allora non saranno più mercanti ma suoi sacerdoti.

Secondo la spiegazione di Francesco Cuteri, anche Dioniso (unica divinità che muore per poi risorgere, rinato dalla coscia del padre Zeus) è spesso associato alla figura del delfino. “Il dio dell’ebrezza”, in cerca di “popolarità” tra i greci, decide di porre fine alla pirateria che rappresentava un grande problema dell’epoca. Trasformatosi in viandante finisce su una nave pirata. Tutti vogliono ucciderlo tranne uno «che nei suoi occhi aveva riconosciuto una luce particolare». Così Dioniso, per difendersi, scatena tutta la sua ira trasformandosi in Leone e i pirati, buttatisi in acqua per salvarsi, si trasformano così in delfini.

Il delfino per Cuteri è «colui che ci accompagna durante il viaggio, un’immagine benefica in quanto mai si riesce a concepire il male alla sua vista» sia che nuoti in acque felici (contrassegnate dal colore rosso nel mosaico) sia in acque tormentate (viola). Infine «la figura dell’Ippocampo, come per gli etruschi anche per i greci, rappresenta la chiave che permette all’anima di uscire dal corpo». Il punto di arrivo è il soffitto, riportato anche nel mosaico come a raffigurare l’universo, o l’aldilà, protetto da queste creature marine. «L’ippocampo – è la chiosa di Cuteri – rappresenta la chiave per guardare oltre, per questo motivo veniva riportato anche sulle tombe. Una figura che, anche se non ha la capacità di garantirci certezze, ci dice che è comunque sempre possibile cercare».

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