Stampa questa pagina
Martedì, 16 Aprile 2013 13:23

Il lago di gomma

Scritto da Sergio Pelaia - Sergio Gambino
Letto 3279 volte

mini alaco_schiumaLo hanno battezzato il lago di gomma. Un bacino artificiale nelle montagne delle Serre, a quasi mille metri d’altezza, nel cuore verde della Calabria centro-meridionale. Non è una montagna come un’altra, quella che ospita l’invaso dell’Alaco. Probabilmente ha nascosto tra i suoi abeti molti briganti sfuggiti ai Savoia e, più recentemente, anche qualche latitante di ‘ndrangheta. Una montagna in cui sono stati investiti tanti soldi, che ha dovuto cedere i suoi spazi incontaminati ad un parco eolico e ad una megapiscina abbandonata, che ha visto anche l’orrore delle nuove faide che hanno insanguinato tre province. Negli anni 70, qui, sono cominciati i lavori per costruire una diga diventata ben presto leggenda: decine di sospensioni e altrettante varianti, lavori bloccati per vincoli ambientali poi spariti, 160 miliardi di lire di fondi pubblici spesi a fronte dei 15 previsti nel progetto iniziale. Un’opera maestosa su cui si sono addensati gli interessi della malapolitica, di imprenditori e multinazionali senza scrupoli, e della ‘ndrangheta

, che sui lavori della diga potrebbe aver recitato un ruolo importante.

Nel 2004 da queste parti arriva la Sorical. Gli uomini della Regione Calabria e di Veolia ci mettono “pochi soldi e molta intelligenza”. I pochi soldi sarebbero quelli che la società ha speso per terminare i lavori della la diga, la molta intelligenza invece ha fatto sì che in città come Vibo Valentia si rimanesse senza acqua potabile per oltre 100 giorni consecutivi, e in paesi come Serra San Bruno arrivasse nei rubinetti un liquido maleodorante mentre dalle montagne sgorgano tuttora ettolitri di acqua pura, proveniente dal sottosuolo e filtrata dalle rocce granitiche e dal quarzo. Sono tanti, invece, i soldi che l’Alaco ha fatto guadagnare ai suoi ideatori. La responsabilità di Sorical arriva fino alle tubature dei comuni, il che permette di scaricare sui piccoli enti qualsiasi responsabilità su eventuali disagi – un copione che si ripete ormai da anni – e di fatturare anche l’acqua che poi non viene effettivamente consumata a causa delle perdite nelle condotte. Con quei 100 milioni di metri cubi del lago ci si può presentare come i salvatori della patria e si può mandare tantissima acqua in uscita: più se ne manda e più i comuni se ne prendono, più se ne prendono e più soldi pagano a Sorical in bolletta.

Il problema è che da quando l’Alaco è in funzione si sono verificate tante, troppe stranezze: acqua gialla, a volte marrone, cloratissima, al sapore di candeggina; decine di ordinanze di non potabilità, disagi, proteste, denunce. Si creano dei comitati di cittadini che cominciano ad indagare e a denunciare all’opinione pubblica il peccato originale: quell’invaso non è stato mai bonificato adeguatamente, per questo c’è una gran mole di vegetali in decomposizione che si sciolgono nell’acqua e che, uniti poi al cloro, danno vita a sostanze potenzialmente pericolosissime. Ci sono anche le “vacche sacre” che pascolano indisturbate nell’area cosiddetta “di salvaguardia”. Cominciano ad affiorare delle testimonianze sulla fase di riempimento: alcuni testimoni ricordano uno strano traffico verso la diga di camion dell’azienda Coccimiglio (accusata di aver interrato rifiuti tossici nella valle dell’Oliva). E tutto il materiale che era nell’invaso – legname ma anche rifiuti di ogni tipo – è rimasto lì dentro. Non è un caso quindi se i valori di ferro, manganese, ammoniaca, cloriti e batteri siano spesso oltre i limiti di legge. Succede ancora, anche dopo che si è arrivati, il 17 maggio 2012, al sequestro preventivo dell’invaso da parte della Procura di Vibo: decine di indagati, presunta assenza di controlli da parte di Asp e Arpacal, vertici e dirigenti di Sorical accusati di avvelenamento colposo di acque. Secondo la Procura, che si avvale degli uomini di Nas e Cfs, le criticità non sono solo localizzate a valle ma probabilmente nascono a monte: il problema è strutturale, il problema è l’invaso.

E’ asfittico. Non c’è alcuna forma di vita, mentre a pochi chilometri un bacino molto simile – l’Angitola – ospita un’oasi naturalistica del Wwf popolata da rare specie di animali. Qui, quando non c’era il lago, si pescavano le trote, che vivono solo in acque purissime, mentre adesso pare sia in atto un processo di eutrofizzazione ormai avanzato. In sostanza il lago è un enorme pantano senza ricambio d’acqua e senza ossigeno. E basta l’occhio nudo per capire che la bonifica non è mai stata fatta in maniera adeguata.

“Le acque dell’Alaco – ha rilevato Antonio Tomaino, Ctu della Procura – presentano elevate quantità di manganese e coliformi che necessitano di un trattamento fisico-chimico che varia in base alla stagionalità, al clima e alla temperatura. L’impianto dell’Alaco per come gestito e strutturato non è assolutamente capace di ristabilire prontamente i parametri”. A dicembre 2012 ci si è messo anche il benzene: 2 mesi per trovarlo, 2 ore per farlo scomparire. Nell’occasione si assiste ad un black out comunicativo tra Asp e Arpacal: le analisi hanno rilevato cloriti oltre la norma e non meglio specificati “derivati del benzene”, ma alla gente viene detto che l’acqua è potabile.

La Procura va avanti spedita, ha iscritto nel registro degli indagati anche decine di sindaci che non hanno richiesto i controlli previsti e tra pochissimi mesi potrebbe arrivare alla chiusura delle indagini. Intanto il certificato di idoneità dell’acqua del lago non è stato fino ad oggi mai trovato. Gli investigatori continuano a cercare, ma niente. Intanto Sorical, Asp e Arpacal – tutti enti regionali, finiti nell’inchiesta con gravissime accuse – continuano a dire che è buona. Ma questo di solito lo dice solo chi non la beve.

Sergio Pelaia

******************************************************

Il mostro dell’Alaco, che come una piovra sviscera i suoi velenosi tentacoli nelle tubature di un terzo dei calabresi, è oramai un incubo che diventa reale. Il paradosso dei paradossi, il cattivo esempio di una gestione selvaggia di risorse essenziali, vere ricchezze di un territorio saccheggiato. Scriveva Brunone di Colonia, appena arrivato in questi luoghi. “Al venerabile signor Rodolfo, prevosto di Reims, degno di essere onorato con i più sinceri sentimenti di affetto, Bruno porge il suo saluto…In territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali molto colti, che, in una perseverante vigilanza divina attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli subito appena bussa, io abito in un eremo abbastanza lontano, da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini. Della sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole che si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi descriverà in modo consono l'aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili”.

Un Paradiso in Terra. Popolazioni che vedono sventrata quel minimo di economia locale che era resistita alle spallate date dall’emigrazione, dall’assistenzialismo, che noi calabresi ci siamo fatti colare addosso come una comoda culla nella quale trastullarci mentre il mondo ci crollava addosso nel silenzio. Il patrimonio boschivo, ittico, paesaggistico, è stato depauperato nel corso degli anni, cementificando, tagliando, distruggendo. E a guadagnare è stata soprattutto la criminalità. Gli abitanti delle Serre sono stati i primi a farne le spese, ma adesso è proprio da quei luoghi che comincia la battaglia dell’Alaco, volta a contrastare una politica dissennata di gestione dei beni comuni. Sul grande invaso si è scritto e detto di tutto, si è scoperto che intorno ad esso sono gravitati per decenni interessi prima miliardari, ora milionari. Dall’ordinanza di sequestro è emersa la totale assenza di controlli da parte degli organi preposti e l’impossibilità tecnica di realizzare un monitoraggio serio sulle caratteristiche organolettiche di questo lago malato.

Malgrado le criticità evidenziate, molte amministrazioni comunali hanno deciso di mantenere la potabilità dell’acqua nei loro rispettivi comuni, fosse solo per il “principio di precauzione” avrebbero dovuto quantomeno cercare di mettere in guardia la popolazione.E la vicenda Alaco, nonostante sia stata aperta una breccia considerevole in questo muro di gomma, è di difficilissima soluzione. Il danno è incalcolabile, soprattutto per chi, quotidianamente, deve andare a rifornirsi di acqua altrove e rinuncia persino ad aprire il rubinetto di casa.La via d’uscita sembra impervia anche se le proposte arrivano, come al solito, dal basso. I Comitati dei cittadini e gli attivisti, hanno redatto un documento, presentato alle istituzioni, che punta a dichiarare immediatamente l’acqua non potabile, per poi partire con un piano sostitutivo che riduca la portata dell’acqua del lago e arrivare, prima possibile, alla chiusura definitiva dell’Alaco. Il sequestro preventivo dell’Alaco dura da quasi un anno e la Procura a breve potrebbe chiudere le indagini. Il quadro, al momento, è torbido. Come l’acqua del lago malato.

Sergio Gambino

(servizio pubblicato su Il Corriere della Calabria n. 94)

Articoli correlati (da tag)