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Giovedì, 03 Maggio 2012 15:33

Le lacrime del mattone. La crisi dell'edilizia a Serra

Scritto da Salvatore Albanese
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mini 1580Alessandro Lefons non ha retto ai morsi della crisi. Giovane salentino di soli 32 anni, una tiepida mattina d’aprile è uscito da casa a bordo della sua Ford Fiesta. Nel cruscotto una pistola a tamburo. Giunto fuori paese, in aperta campagna, si è sparato in testa. Un altro costruttore edile del meridione suicida. L’ennesima vittima di questa maledetta recessione che si ostina a voltare le spalle ai sogni e agli investimenti di molti giovani imprenditori. Una crisi profonda che ha messo in ginocchio un settore trainante per l’intera economia e che a Serra San Bruno, nell’entroterra calabrese, si protrae ormai dal 2005. Una flessione che negli ultimi 7 anni ha fatto registrare un calo del volume d’affari pari al 37,49%.

Da qui la sempre più frequente mortalità delle grandi imprese e la conseguente nascita di piccolissime ditte individuali con uno, massimo due addetti. Il che non è sintomo di una sana effervescenza imprenditoriale, piuttosto è una disperata reazione alla crisi. L’ultimo angosciante tentativo per non uscire definitivamente dal circuito del reddito.

A Serra il mattone è in piena crisi. E le conseguenze sull’occupazione sono visibili e preoccupanti: centinaia di posti di lavoro in fumo. Centinaia di padri di famiglia con il cappio al collo. Ex impiegati non solo del settore delle costruzioni, ma anche dei comparti collegati.  Sono ormai lontani gli anni del boom economico in cui gli operatori edili sono stati sopraoccupati. Oggi rimangono inerti con il martello fermo nella fondina e le mani in mano. Vittime di un mercato in cui domanda ed offerta non riescono ad incontrarsi, in cui le banche non erogano più prestiti a favore degli imprenditori che denunciano inascoltati “gravi problemi di accesso al credito”. E senza capitale circolante diventa impossibile mantenere i rapporti con grossisti e fornitori, per l’approvvigionamento di prodotti finiti, semilavorati, materie prime e beni di investimento. Presagi neri per un settore in cui i clienti si dimostrano sempre meno avvezzi a saldare per tempo il proprio debito: molti costruttori denunciano ritardi nella riscossione dei pagamenti che vanno dai 6 mesi ai 2 anni oltre la data di consegna dei lavori.

Il settore edile serrese, già martoriato dall’impossibile peso fiscale, è caratterizzato dalla prevalente conduzione familiare, dall’organizzazione artigianale del processo produttivo, dalla scarsa capacità di emergere oltre il mercato locale. Si conta un considerevole numero di ditte individuali e di imprese con organico ridotto, variabile fra 1 e 3 addetti. Un nanismo che comporta l’incremento di una malsana concorrenza tra imprese e che sfocia nella minimizzazione dei costi. Ciò si evidenzia nel ribasso d’asta: il ribasso medio operato dalle imprese locali si assesta attorno al 28%, rispetto alla media nazionale del 10. Una strategia competitiva che, gioco forza,  inquina le logiche produttive con ribassi che per essere ammortizzati si ripercuotono sulla qualità dei prodotti utilizzati e della mano d’opera, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro o sui costi di assicurazione dei dipendenti.

A questo si aggiunge una snervante indifferenza della classe politica locale: la neo amministrazione serrese nonostante le promesse in campagna elettorale non ha ancora varato il nuovo piano strutturale comunale, quello che doveva essere tracciato con il famoso compasso puntato nel centro del paese. Un’amministrazione apatica e sorda, che non fa nulla per promuovere l’imprenditorialità, con provvedimenti che incentivino le imprese, che sviluppino l’occupazione, che sostengano gli investimenti in settori innovativi delle costruzioni, quali il recupero, l’edilizia di sostituzione, la manutenzione del territorio e dell’ambiente, l’edilizia eco-sostenibile che guarda al risparmio energetico.

Un quadro soffocante per gli imprenditori edili serresi in cui cozzano un’offerta eccessiva di abitazioni edificate in passato e che non si riescono a vendere, acquirenti che non riescono a comprarle per una situazione economica sempre più penalizzante (in particolar modo per le giovani coppie che vedono la casa come un’urgente necessità) e, sullo sfondo, un enorme patrimonio di case vuote.

Le abitazioni disabitate a Serra, sono superiori alla metà di quelle occupate. Ecco perché sarebbe utile non consumare altro territorio, non puntare più sulle costruzioni. Serra è vecchia e fragile. Troppo cementificata. Con un centro storico, una volta cuore pulsante del paese, oggi inquietantemente disabitato. Quasi fantasma. Serra ha più case di quanto ne servano, molte sono sfitte e tutte hanno bisogno di manutenzione e di agibilità statica. Non si può continuare ad ignorare che l’unica edilizia che può dare lavoro è quella della manutenzione. Costruire case nuove serve solo a far guadagnare banche e palazzinari, impiccando a mutui insostenibili giovani coppie e persone singole. Non è ancora chiaro che la crisi nasce anche dal legame perverso tra finanza ed edilizia? Bisogna recuperare, restaurare, prediligere l’esistente piuttosto che edificare nuove costruzioni. Perché anche intervenendo su un immobile già edificato si possono raggiungere risultati sotto il profilo dell’isolamento, dei consumi, e di una comodità abitativa di tutto rispetto. La riqualificazione è l’unica via d’uscita da questo angosciante de profundis.

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