Martedì, 20 Settembre 2016 15:13

Volere volare

Scritto da Salvatore Albanese
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Questa terra hanno cominciato a violentarla secoli fa. L’hanno resa inquieta, difficile, triste. Hanno creato strutture, di robusto stampo familistico, che tolgono il respiro e tritano ogni cosa. L’amministrazione pubblica, gli affari privati, tutto. In Calabria, nelle campagne come nelle città, c’è una cappa dalla quale non ci si può liberare, perché tutto passa attraverso la ‘ndrangheta e la ‘ndrangheta passa attraverso tutto.

Vecchi equilibri, regole note, dalle quali non si deve scappare. Perché se si scappa, se si tenta di violare l’autorità delle famiglie, si finisce per morire ammazzati, soprattutto tra componenti di clan stessi. E ogni anno si registrano decine di omicidi, scomparse, attentati, minacce. Certo, poca roba rispetto ai numeri dei decenni scorsi, forse perché le cose si sono allineate, i territori – quasi tutti – hanno definito un proprio assetto gerarchico. E di preti coraggio, giornalisti audaci, di attivisti e rappresentanti delle istituzioni che davvero fanno antimafia se ne contano sempre meno.

Sta' chiusa nel suo guscio, quasi invisibile, ma è pesante, ci circonda, ci opprime, ci obbliga alla reticenza. È diventata, però, presenza tanto scontata e certa, da non far più notizia quando riemerge nella sua più cruda reminiscenza. Quando si assiste a concreti fatti di ‘ndrangheta, omicidi, morti, faide, agguati, sangue, se ne parla giusto per mezza giornata. Insomma, la ‘ndrangheta non fa più notizia quando si comporta secondo i rituali più arcaici della ‘ndrangheta stessa, quelli che più gli appartengono, ma conquista per giorni le prime pagine di tutto il mondo se agisce spocchiosa e cinematografica. Anzi affascina, nel senso che suscita interesse, quando si specchia vanitosa in sé stessa.

Prendete, a proposito di Vibonese, l’omicidio di Salvatore Scrivo, precedenti penali alle spalle, freddato a Serra San Bruno d’avanti l’abitazione di alcuni parenti. Terminata la cena, appena messo i piedi fuori dal cancello di casa, diventa bersaglio di cinque colpi di fucile caricato a pallettoni, esplosi da una distanza di poco più di 10 metri in una tiepida serata di inizio maggio. Inequivocabile omicidio in stile ‘ndranghetistico. L’esame autoptico e il rito religioso. Aveva avuto qualche "impiccio", ma ultimamente pare fosse rimasto fuori da determinati circuiti. E chi l’ha ucciso? Chi l’ha ucciso non si sa e non si saprà mai. Anche mediaticamente il delitto è scemato prima ancora di farsi notizia. L’articolo del giorno dopo, poi nulla più. Così questo caso, così centinaia di altri casi simili.

A qualche chilometro di distanza e qualche mese più tardi, a Nicotera, c’è una piazza transennata dalle prime ore del mattino. Vi atterrano, a bordo di un elicottero, due sposi, Nino e Aurora, pronti a celebrare l'unione appena suggellata in maniera a dir poco originale. Il punto sembra essere che il tutto sia avvenuto in barba ad ogni autorizzazione. Nessuno, né il vigile del paese, né il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune, né il sindaco, che aveva preso parte da invitato allo sposalizio, dice di aver firmato autorizzazioni per l’atterraggio ed il decollo. Non ci sono morti, proiettili, cadaveri, è solo una vicenda romanzata che non può passare inosservata. Uno show. È successo giovedì scorso e se ne parla ovunque ancora oggi: ai tg nazionali, sulle prime pagine dei giornali, alla radio la notizia scavalca anche l’attentato esplosivo di New York. Si sprecano fiumi di indiscrezioni: il pilota dell’elicottero Rotortech; il tappeto che porta al portone della chiesa; le Ferrari; il lancio del riso; l’altezza, il peso, l’albero genealogico degli sposi.  Ricerca ossessiva di foto e profili social. Il fresco marito è omonimo dell’ottantenne Antonio Gallone, detto “’u pizzichiju”, a sua volta imparentato con Giuseppe Antonio Gallone, solito frequentatore del boss Pantaleone Mancuso (alias “Luni Scarpuni”) e descritto dagli inquirenti come un «affiliato alla cosca criminale capeggiata sul territorio da Mancuso Diego». La Procura di Vibo Valentia ha aperto un’inchiesta per capire come sia stato possibile che una cittadina possa essere stata paralizzata per tre ore per consentire all’elicottero degli sposi di atterrare, alzarsi in volo e ritornare nella piazza centrale di Nicotera, senza nessuna autorizzazione formale. 

Allora, ci chiediamo, in Calabria come in qualsiasi altro posto, perché ci sono mille giornalisti che scrivono duemila articoli per narrare la spettacolarizzazione della ‘ndrangheta e pochi, pochissimi, che montano servizi ed editoriali, esprimono opinioni, quando invece ci scappa il morto? Quando si trova o non si trova un cadavere? Perché il giornalismo italiano e non solo mette la ‘ndrangheta nella lente di ingrandimento quando si esibisce, si pavoneggia in maniera fine a se stessa, e non, piuttosto, quando si comporta da bestia brutale quale è, minaccia o uccide? Perché il Vibonese diventa l’ombelico d’Italia in occasione di manifestazioni plateali e viene quasi ignorato quando, invece, è scenario di fatti di sangue? È il pubblico che è troppo avido di spettacolarizzazioni o è l’informazione troppo easy nel prostituirsi per piacere al numero più alto di clienti? Dobbiamo giocoforza attenerci alle regole dello show e casomai sentirci poco attraenti, magari sbagliati, quando ci “limitiamo” a mettere a nudo una terra denunciandone la vera crudeltà?

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