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Lunedì, 03 Gennaio 2022 09:46

NUVOLE* | La Certosa romanzata di Misasi: la sinfonia dei certosini e il monaco “duellista”

Scritto da Tonino Ceravolo
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N. Misasi, La Certosa di Serra San Bruno, Pierro, 1982 (particolare della copertina, in basso l'immagine integrale) N. Misasi, La Certosa di Serra San Bruno, Pierro, 1982 (particolare della copertina, in basso l'immagine integrale)

E cominciamo a parlare, approfittando della continuità che una rubrica può dare, di un territorio che ha anche conosciuto novelle, romanzi, racconti d’invenzione, nuvole di parole, gabole e favole travestite talvolta da storia o che alla storia hanno attinto, mescolando le dosi, giocando, nello stesso tempo, al gioco del vero, del falso e del verosimile.

E cominciamo con Nicola Misasi (Cosenza, 1850 – Roma, 1923), giornalista e narratore ben noto tra Otto e Novecento, definito da Benedetto Croce il “pittore delle Calabrie”, autore di storie forti e passionali che continuavano – è sempre Croce a osservarlo – il romanticismo calabrese anche grazie alla “simpatia ammiratrice per le violente passioni d’amore, di gelosia e di vendetta, che erano di quella gente […]”, come già alcuni titoli di sue opere basterebbero a far intuire: O rapire o morire (1892), Sacrifizio d’amore (1894), Devastatrice (1907). Per non dire degli origami narrativi intorno al brigantaggio, ritradotto in forma mitica e anch’esso immerso in un clima di passionalità intensa, in cui debordano le pulsioni dell’anima: Cronache del brigantaggio (1893), Massoni e carbonari (1899), Briganteide (1906).

Inevitabile (?) immergere in questa atmosfera persino un monastero di clausura e leggere nella scelta di vita claustrale il risultato di una fuga dal mondo cercata e realizzata come espiazione di una colpa o come rifugio dopo un’esistenza dissoluta, che era ciò che Misasi faceva dedicando alla Certosa di Serra una delle sue novelle, uno di quei quadri a tinte accese di cui certamente era specialista.

Il racconto lungo La Certosa di Serra San Bruno era apparso per la prima volta in volume a Napoli nel 1881, presso l’editore Morano, dentro la raccolta dei Racconti calabresi, un testo a cui sarebbe toccata una certa fortuna editoriale. Ristampati nel 1892 dall’editore napoletano Regina con l’aggiunta della novella Gabriella, i Racconti di Misasi avrebbero avuto altre edizioni nel 1905 (editore Romano) e nel 1908 (Bideri), mentre la Certosa sarebbe apparsa anche in pubblicazione singola insieme con la commedia Mastro Giorgio (editore Pierro, 1892).

Solo che per Misasi la Certosa diventa pretesto, fondale, per l’ambientazione di un dramma sentimentale che viene risolto con poco gusto per le sfumature, in una trasfigurazione visionaria di matrice romantica: “Di notte quel convento ha un aspetto fantastico e pauroso. In quelle senza luna vi è colà come un condensamento d’ombre, rotto da punti bianchicci […]. Quando la luna proietta i raggi colà dentro, ombre fantastiche vi si delineano, e or s’allungano, or s’accorciano, or dispariscono affatto se qualche nube vela la luna; poi di un tratto, ad un soffio di vento, un largo velo di ombre passa fuggendo pel chiostro, e le mura s’imbiancano e si distendono di nuovo sul grigio del calcinaccio […]. Nelle torri muscose or fanno il nido i gufi e le civette, che in sull’imbrunire si veggono svolazzare per quel recinto, e lo riempiono di frulli di ali e di sinistre e lugubri voci”.

Non basta l’ambientazione, all’evidenza di ispirazione puramente letteraria, perché anche l’intreccio si nutre di situazioni e momenti che sono la conseguenza di opzioni narrative decontestualizzate (non si sa se volontariamente o per difetto nella conoscenza dei meccanismi che regolano la logica interna di un racconto), per nulla preoccupate di restituire un quadro all’insegna della verosimiglianza. Il monastero diventa a un certo punto, nella narrazione di Misasi, il teatro di una festa solenne, con i monaci che officiano sull’altare, la chiesa “piena zeppa di signori, di contadini, di forestieri” (e tra essi anche la baronessa co-protagonista del racconto) e con l’orchestra che dà inizio a una sinfonia (in un ordine monastico che fa uso esclusivo del canto gregoriano! E una sinfonia, poi).

Lo stesso protagonista, Padre Serafino, è quasi il riflesso di una sorta di poetica dell’eccezionale, dell’estremo, esplicitamente dichiarata da Misasi nei Racconti calabresi. Infatti, il monaco era stato “ufficiale nelle Guardie del Corpo, un buontempone come pochi, un duellista famoso, un famoso donnaiuolo, pel quale si erano compromesse molte signore della aristocrazia, e che aveva sciupato tutto il suo con le ballerine e nelle bische; e poi, per un’avventura scandalosa con una signora posta in alto, molto in alto, era stato costretto a mutare il suo bell’uniforme di ufficiale con l’abito bianco del certosino”. Mutazione che, tuttavia, non gli aveva impedito di riallacciare la relazione con la baronessa e di uccidere durante una colluttazione, il marito di lei, trasformandosi in un monaco omicida.

Romanziere d’appendice, come qualche critico ha osservato, espressione di deteriore letteratura popolare? Sta di fatto che Misasi sembra assumere un contesto storico (quello della Certosa di Serra San Bruno) e poi lo rivoltola, lo stravolge, non lo mantiene neppure come credibile cornice, tanto che il monaco protagonista dà l’idea di essere costruito come una variante minore del brigante di altre sue storie, di cui accoglie la marginalità della collocazione sociale, l’irruenza delle passioni, i rapporti controversi e contrastati con le donne.

Alla fine, occorre far ritorno per un attimo alle ombre, ai fantasmi, ai gufi e alle civette della descrizione della Certosa, perché sta lì un elemento importante che consente di comprendere meglio Misasi e di collocare la sua Certosa persino al di fuori del perimetro calabrese, verso quel filone gotico tedesco degli schilleriani Masnadieri e del Rinaldo Rinaldini di Christian Vulpius. Forse non solo il paesaggio spettrale del monastero serrese, popolato di ombre e attraversato dal senso della fine, deriva da quella letteratura gotica, ma pure l’interesse per la figura del monaco, già al centro di fondamentali prove narrative di ambito anglosassone e germanico.

Nel 1795 era stato pubblicato The Monk di Matthew G. Lewis, nel 1797 l’Italian, or the Confessional of the Black Penitents di Ann Radcliffe, nel 1815-16 Gli elisir del diavolo di E. Th. Hoffmann ispirato proprio al romanzo di Lewis. La Certosa di Serra San Bruno di Misasi, uscito per la prima volta in volume nel 1881, sembra allora, almeno in questo, essere un epigono di quei nobili antecedenti, come tutti gli epigoni probabilmente anche fuori tempo massimo.

*Nuvole è una rubrica del Vizzarro a cura di Tonino Ceravolo, storico, antropologo e scrittore