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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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VIBO VALENTIA - Salvatore Lazzaro pensava di essere al sicuro. Nella casa della sua famiglia, nelle Preserre Vibonesi, seduto sul divano al pian terreno, non poteva sapere di essere nel mirino dei killer appostati sotto la sua finestra. Il 23enne di Savini, frazione di Sorianello, era agli arresti domiciliari perchè coinvolto in un’operazione antidroga della Procura di Torino. Aveva dei precedenti, era legato da amicizie e parentele a un gruppo di giovani che adesso qualcuno vuole sterminare. Storie sbagliate, storie di ragazzi uccisi a colpi di lupara, forse da coetanei, in una striscia di terra, tra Ariola di Gerocarne e Savini, insanguinata dal ritorno di una vecchia, feroce, faida di ‘ndrangheta. Che potrebbe non essere circoscritta alle Preserre, ma essere frutto di manovre occulte, di una guerra fredda tra cosche ben più potenti, se non addirittura tra mandamenti.
FABRIZIA - La Corte d’Appello di Catanzaro ha completamente ribaltato la sentenza di primo grado emessa diversi mesi fa dal tribunale di Vibo Valentia, condannando a 12 anni di reclusione Bruno Nesci e a 9 anni il genero Antonio Montagnese, entrambi di Fabrizia. Nell’ambito dello stesso processo, i giudici di secondo grado, hanno confermato le condanne di 10 anni di reclusione ciascuna ad Antonio Dessi e Domenico Audino, entrambi di Locri.
Le sentenze riguardano quindi il processo scaturito dall’operazione antimafia “Domino”. Ai due imputati fabriziesi è contestato il reato di associazione mafiosa. In particolare Nesci (56 anni) è indicato dagli inquirenti come capo del clan mafioso “Nesci-Montagnese” operante nella locale di Fabrizia. Mentre Dessi e Audino, già condannati nel processo per l’omicidio del vice presidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno, sono stati incriminati per tentato omicidio, in un agguato avvenuto nel 2004, proprio a danno di Bruno Nesci.
Emergono nuovi particolari sull'operazione condotta congiuntamente da Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, che ha portato all'arresto di 24 esponenti della cosca Mancuso di Limbadi. Tra coloro i quali sono finiti in manette, infatti, oltre ai vertici storici del clan, anche noti imprenditori vibonesi impegnati nei settori siderurgici e dei servizi turistici, nonchè un funzionario dell' Ufficio tecnico del Comune di Tropea. Questi i nomi degli arrestati, nei confronti dei quali è stata avanzata la pesante accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso: Pasquale Mancuso, 66 anni; Giovanni Mancuso, 72; Giuseppe Mancuso, 36; Antonio Maccarone, 34; Antonio Cuturello, 23; Giovanni D'Aloi, 47; Giuseppe Costantino, 47; Fabio Costantino, 36; Zbigniew Damian Fialek, 36;
La farsa del "Decreto liste pulite" è risultata alla fine un provvedimento virtuoso da parte del Governo Monti. In sostanza, nessun politico (passato e presente) che ha avuto problemi con la Giustizia rientra nella morsa del Decreto. Infatti, il testo che prevede i criteri di incandidabilità riporta che saranno esclusi coloro che hanno subìto «condanne definitive a più di due anni per delitti di allarme sociale (mafia e terrorismo) e contro la Pubblica Amministrazione (corruzione, concussione, peculato), nonché chi è stato condannato a più di due anni per delitti non colposi per i quali sia prevista una pena non inferiore nel massimo a 4 anni, (stalking, voto di scambio, aggiotaggio, reati fiscali, ecc.)».
Una mossa studiata a tavolino, come se prima della stesura del testo, parlamentari e senatori abbiano confessato le loro condanne per rientrare nei termini di legge. Anche Berlusconi ne esce pulito. Un plauso per il Governo Monti!
«Auspico ? sottolineava infatti la presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio Giulia Bongiorno ? che i partiti si dimostrino ancora più rigorosi della legge approvata, prevedendo regole e limiti ben più stringenti sulle candidature».Il Vizzarro.it - quotidiano online
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