mini omicidio_ciconte_sorianello_25_settembre_2012VIBO VALENTIA - Salvatore Lazzaro pensava di essere al sicuro. Nella casa della sua famiglia, nelle Preserre Vibonesi, seduto sul divano al pian terreno, non poteva sapere di essere nel mirino dei killer appostati sotto la sua finestra. Il 23enne di Savini, frazione di Sorianello, era agli arresti domiciliari perchè coinvolto in un’operazione antidroga della Procura di Torino. Aveva dei precedenti, era legato da amicizie e parentele a un gruppo di giovani che adesso qualcuno vuole sterminare. Storie sbagliate, storie di ragazzi uccisi a colpi di lupara, forse da coetanei, in una striscia di terra, tra Ariola di Gerocarne e Savini, insanguinata dal ritorno di una vecchia, feroce, faida di ‘ndrangheta. Che potrebbe non essere circoscritta alle Preserre, ma essere frutto di manovre occulte, di una guerra fredda tra cosche ben più potenti, se non addirittura tra mandamenti.

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mini Placido_ScaramozzinoPlacido Scaramozzino fu legato, trascinato in un sentiero nei boschi di Gerocarne, colpito con una zappa al petto e alla testa, e fu seppelito ancora vivo. Il fatto avvenne il 28 settembre 1993 e il corpo del parrucchiere di Acquaro, che avrebbe pagato con la vita una presunta vicinanza alla cosca Maiolo di Acquaro, non fu mai ritrovato. Ieri, a distanza di vent'anni, la Corte d'Assise di Catanzaro ha emesso due condanne a 28 anni di reclusione per Antonio Altamura, 66 anni, ritenuto dagli inquirenti il capo della "società dell'Ariola", e Vincenzo Taverniti, 53 anni, riconosciuti colpevoli dell'omicidio di Scaramozzino. Un’assoluzione piena, invece per Antonio Gallace, 47 anni, anche lui di Ariola di Gerocarne. Altamura e Taverniti sono stati assolti dal reato di occultamento di cadavere. Per i tre il pubblico ministero Romano della Dda di Catanzaro aveva chiesto la condanna all’ergastolo.

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mini ccVIBO VALENTIA - Due filoni di inchiesta condensati in un totale di 38 provvedimenti di custodia cautelare recapitati ad altrettanti soggetti - non solo affiliati ma anche professionisti ed imprenditori - legati, a vario titolo alla cosca dei Mancuso di Limbadi. Prosegue così, nell’ambito della seconda tranche dell’operazione Black Money coordinata dalla Dda di Catanzaro, l’offensiva delle forze dell’ordine sugli affari milionari della cosca egemone nel vibonese, ma attiva ben oltre i confini nazionali. In particolare, il filone dell’inchiesta denominata “Overseas”, che ha impegnato soprattutto la Guardia di finanza, ha portato alla luce una truffa transnazionale effettuata tra la Calabria e l’Irlanda. Un meccanismo estremamente sofisticato, basato sulla cosiddetta estero vestizione, che aveva come protagonisti i due titolari della VFI, un’azienda con sede a Dublino

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mini tribunali-pmFABRIZIA - La Corte d’Appello di Catanzaro ha completamente ribaltato la sentenza di primo grado emessa diversi mesi fa dal tribunale di Vibo Valentia, condannando a 12 anni di reclusione Bruno Nesci e a 9 anni il genero Antonio Montagnese, entrambi di Fabrizia. Nell’ambito dello stesso processo, i giudici di secondo grado, hanno confermato le condanne di 10 anni di reclusione ciascuna ad Antonio Dessi e Domenico Audino, entrambi di Locri.

Le sentenze riguardano quindi il processo scaturito dall’operazione antimafia “Domino”. Ai due imputati fabriziesi è contestato il reato di associazione mafiosa. In particolare Nesci (56 anni) è indicato dagli inquirenti come capo del clan mafioso “Nesci-Montagnese” operante nella locale di Fabrizia. Mentre Dessi e Audino, già condannati nel processo per l’omicidio del vice presidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno, sono stati incriminati per tentato omicidio, in un agguato avvenuto nel 2004, proprio a danno di Bruno Nesci.

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mini 4052_12_mediumLe intercettazioni telefoniche rilevate dai Ros dei Carabinieri di Catanzaro, nell’ambito dell’operazione che ieri ha condotto in arresto ben 24 esponenti della cosca Mancuso di Limbadi, hanno fatto emergere, alla base dello stesso clan, un’articolata rete di rapporti fra ’ndrangheta, massoneria, amministrazione pubblica e settore imprenditoriale. Tra i 24 finiti in manette, infatti, oltre ai vertici del clan, spiccano anche i nomi di diversi imprenditori impegnati nella siderurgia e nel settore turistico. Ma a scuotere il vibonese sono soprattutto le rivelazioni emerse riguardo ai presunti rapporti fra i Mancuso ed il Consigliere regionale Ottavio Gaetano Bruni, già per ben due mandati consecutivi Presidente della Provincia di Vibo Valentia (dal 1999 al 2008), nonché Presidente del Consorzio di Sviluppo Industriale provinciale (dal 2009 al 2010). Sembra che i rapporti fra Bruni e i Mancuso fossero coordinati soprattutto dagli uomini politicamente “operativi” del clan: il Consigliere provinciale Aurelio Maccarone e suo nipote Antonio Maccarone (genero di Pantaleone Mancuso).

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mini pantaleone-mancuso-150x150Emergono nuovi particolari sull'operazione condotta congiuntamente da Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, che ha portato all'arresto di 24 esponenti della cosca Mancuso di Limbadi. Tra coloro i quali sono finiti in manette, infatti, oltre ai vertici storici del clan, anche noti imprenditori vibonesi impegnati nei settori siderurgici e dei servizi turistici, nonchè un funzionario dell' Ufficio tecnico del Comune di Tropea. Questi i nomi degli arrestati, nei confronti dei quali è stata avanzata la pesante accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso: Pasquale Mancuso, 66 anni; Giovanni Mancuso, 72; Giuseppe Mancuso, 36; Antonio Maccarone, 34; Antonio Cuturello, 23; Giovanni D'Aloi, 47; Giuseppe Costantino, 47; Fabio Costantino, 36; Zbigniew Damian Fialek, 36; 

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mini giustizia

Il pubblico ministero Elio Romano ha avanzato, nei confronti di Antonio Gallace (57 anni), Antonio Altamura (66 anni), entrambi di Gerocarne, e Vincenzo Taverniti (53 anni) di Stilo,la richiesta di tre ergastoli. I tre sono accusati dell’omicidio del parrucchiere Placido Scaramozzino avvenuto il 28 settembre del 1993 e furono identificati in seguito alle dichiarazioni di un minorenne coinvolto nel delitto. Secondo l’accusa l’omicidio sarebbe da includere nella faida che colpì, proprio all’inizio degli anni ’90, il gruppo Maiolo per favorire l’ascesa della cosca Loielo. 
Secondo il pubblico ministero i tre imputati avrebbero ucciso Placido Scaramozzino perché ritenuto vicino al boss Antonio Maiolo di Acquaro, anch’egli assassinato dalla famiglia rivale. Scaramozzino fu ucciso brutalmente: legato e trascinato lungo un sentiero in una contrada di Gerocarne e successivamente colpito ripetutamente con una zappa alla testa e al petto ed, in seguito, sepolto vivo e mai ritrovato. La sentenza è prevista per l’11 febbraio prossimo. 
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Lunedì, 07 Gennaio 2013 14:24

Sette gennaio 1925

mini sharo_autoritratto_1955Era il sette gennaio del 1925, quando, in Vazzano, Fortunata Barba moglie di Antonio Gambino, mio nonno, dava alla luce il suo terzo figlio maschio. I primi due figli erano morti, come del resto avveniva nella maggior parte delle famiglie di estrazione proletaria, di un male allora considerato letale. La gastroenterite. Eligio, il primo ed Eligio il secondo. Antonio decise allora di cambiare nome, un po’ così, forse per scaramanzia. Decise però di caratterizzare il nome del suo “nuovo” primogenito con una bella H. Nasceva dunque ottantotto anni fa Sharo Gambino. Sharo, nonostante lo stratagemma del nuovo nome, si beccò anche lui la sua bella dissenterite. Antonio imprecava, prendendosela col destino crudele, disconoscendo le multinazionali del farmaco. Miglior destino toccò a Sharo, che visse. Con quell’acca dapprima persa: nel periodo fascista non era possibile dare ai bambini nomi non prettamente italiani, e Antonio dovette riportare la sua bella H a casa.

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mini Nicodemo_OliverioLa farsa del "Decreto liste pulite" è risultata alla fine un provvedimento virtuoso da parte del Governo Monti. In sostanza, nessun politico (passato e presente) che ha avuto problemi con la Giustizia rientra nella morsa del Decreto. Infatti, il testo che prevede i criteri di incandidabilità riporta che saranno esclusi coloro che hanno subìto «condanne definitive a più di due anni per delitti di allarme sociale (mafia e terrorismo) e contro la Pubblica Amministrazione (corruzione, concussione, peculato), nonché chi è stato condannato a più di due anni per delitti non colposi per i quali sia prevista una pena non inferiore nel massimo a 4 anni, (stalking, voto di scambio, aggiotaggio, reati fiscali, ecc.)».

Una mossa studiata a tavolino, come se prima della stesura del testo, parlamentari e senatori abbiano confessato le loro condanne per rientrare nei termini di legge. Anche Berlusconi ne esce pulito. Un plauso per il Governo Monti!

«Auspico ? sottolineava infatti la presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio Giulia Bongiorno ? che i partiti si dimostrino ancora più rigorosi della legge approvata, prevedendo regole e limiti ben più stringenti sulle candidature».

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mini provincia-vibo

L’ex presidente della Provincia, Francesco De Nisi, la Giunta e l’intero Consiglio provinciale - oltre ai dirigenti Vinci e De Sossi - sono finiti sotto la lente d'ingrandimento della Procura della Repubblica, che ha emesso alcuni avvisi di garanzia nei loro confronti per il reato di peculato. Gli amministratori, in particolare, avrebbero distribuito 100mila euro, non dovuti, a tutti i gruppi consiliari, sottraendoli da altre poste di bilancio, tra cui anche quella dei fondi antiracket. Un nuovo polverone, dunque, si abbatte sugli ex inquilini di palazzo ex Enel, dopo quello relativo al commissariamento dell'Ente disposto dal prefetto di Vibo Valentia, Michele Di Bari, a seguito delle dimissioni di De Nisi.

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