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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Comincia male il 2014 per le ricchezze architettoniche di Serra san Bruno. Nella notte che dava l’inizio al nuovo anno - così come riferito da alcuni abitanti del rione - dei vandali hanno sfregiato irrimediabilmente uno dei monumenti più caratteristici della comunità serrese, la fontana di “Bonsignuri”. Così denominata, probabilmente, perché era originariamente parte integrante del complesso architettonico del palazzo di Monsignor Peronaci, vescovo di Umbriatico. Solo in seguito, quindi, il monumento sarebbe stato rimosso dalla facciate anteriore dell’edificio per essere dislocato al centro della piazza, sita nel cuore del centro storico di Serra San Bruno, nel rione “Terravecchia”.
Anche quest’anno, come ogni 3 febbraio, Serra San Bruno commemora San Biagio Vescovo e Martire, vissuto tra il III ed il IV secolo, è venerato oggi sia dalla chiesa Cattolica, che da quella Ortodossa.
SIMBARIO - Il maltempo che da questa mattina sta interessando un po' tutto il Vibonese, non ha risparmiato nemmeno la zona delle Serre. Le piogge intense, che dalle prime luci dell'alba hanno caratterizzato la zona dell'entroterra, in alcuni casi hanno prodotto anche dei danni. Oltre che disagi alla viabilità, il maltempo ha provocato delle ripercussioni al campanile della chiesa Matrice di Simbario, dove un fulmine ha praticamente distrutto parte della recinzione che sovrasta la struttura. Il fatto è accaduto intorno alle 4 del mattino e, vista l'ora, fortunatamente non c'era nessuno che si aggirava nelle vicinanze. Sul posto sono interventi i Vigili del Fuoco del distaccamento di Serra San Bruno che hanno provveduto a recintare la zona antistante il campanile. Incerta, al momento, la quantificazione dei danni, anche se sembrerebbero ingenti.
VIBO VALENTIA - Nella giornata di venerdì il Consiglio dei Ministri ha varato il riordino dei vertici di ben tre prefetture calabresi, determinando avvicendamenti - oltre che a Vibo - anche negli UTG provinciali di Cosenza e Catanzaro. Michele Di Bari, ormai ex prefetto di Vibo Valentia, sarà ora sostituito da Giovanni Bruno, per trasferirsi a sua volta alla guida della provincia modenese. Di Bari, 57enne di Mattinata (Foggia), era stato nominato alla guida dell’UTG di Vibo Valentia il 27 gennaio 2012, con decorrenza dal 6 febbraio successivo. Aveva debuttato nelle sua carriera prefettizia nel 1990 e nel 2001 era stato promosso alla qualifica di viceprefetto. In passato ha ricoperto vari incarichi, tra i quali quelli di vicecommissario governativo della provincia di Barletta-Andria-Trani, commissario straordinario di numerosi comuni, nonché commissario ad acta per l'esecuzione di provvedimenti giurisdizionali del Tar. Ora, in previsione dell’imminente trasferimento alla prefettura di Modena, ha voluto salutare il territorio vibonese con un breve ma intenso comunicato stampa: "Lascio questa splendida terra nella consapevolezza di essermi posto al suo servizio con passione ed entusiasmo per il bene delle comunità che ho voluto conoscere, apprezzandone le enormi potenzialità di crescita e di sviluppo. Un percorso che ho intrapreso, sin da subito, operando a fianco della popolazione, degli enti locali, della magistratura, delle forze di polizia, delle istituzioni territoriali, della scuola e della chiesa locale, dal sindacato e dagli organi di stampa, traendo quotidiano stimolo dal vasto patrimonio culturale del volontariato e dell'associazionismo. Una esperienza che mi ha messo al cospetto delle numerose povertà antiche ed emergenti, ma anche della forza di tanti che desiderano vivamente affrontare le attuali sfide allo scopo di assicurare una migliore qualità della vita e riappropriarsi, in talune situazioni, dei diritti fondamentali. Insieme, davvero, si possono percorrere anche strade impervie. E la proficua sinergia istituzionale che ho cercato di realizzare anche laddove poteva esserci scoraggiamento. Un grazie di cuore a tutti coloro che ho incontrato nella certezza che ogni sguardo non sarà dimenticato. Auguri per questi meravigliosi territori”.
MONGIANA – Questa volta non ci sarà il solito percorso di montagna che porta al lavoro, fatto di terra umida o polvere, questa volta ad accogliere Nazzareno Nadile, l’operaio 42enne morto a causa di un incidente sul lavoro, ci sarà un sentiero fiorito che porta al ristoro dalla fatica, dove riposa chi ha vissuto con la coscienza pura. I funerali del boscaiolo si sono celebrati ieri pomeriggio nella chiesa di Mongiana dedicata alla Beata Vergine delle Grazie. Il corteo quasi ammutolito, ha seguito il feretro che dalla casa è giunto in chiesa tra la commozione di parenti, amici e colleghi di lavoro, che da sempre hanno condiviso con lo sventurato lavoratore, numerose ore di lavoro e di fatica per garantire a se stessi e alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Nazzanero Nadile da alcuni giorni si trovava ricoverato in gravissime condizioni presso il reparto di rianimazione dell’ospedale Pugliese di Catanzaro, dov’era giunto, a bordo di un elicottero del 118, in seguito alle conseguenze di un incidente sul lavoro che lo avevano costretto a lottare tra la vita e la morte, come spesso accade alla persone meno fortunate, non ce l’ha fatta. Le condizioni negli ultimi giorni si erano aggravate al tal punto che i sanitari stessi avevano lasciato ai familiari ben poche speranze circa la ripresa del giovane. La prognosi per tutto il periodo del ricovero era stata riservata fino a quando per il giovane non c’è stato più nulla da fare. E’ deceduto dopo le gravi ferite riportate in quella che avrebbe dovuto essere una delle tante mattinate di lavoro e che invece si è trasformata in una tragedia. Ora non è rimasto altro che un ultimo saluto a quel giovane che, dopo le estenuanti ore di lavoro, con la dolcezza che solo il cuore di un figlio può avere, era solito occuparsi della madre invalida a cui ogni sera rimboccava le coperte adagiandola amorevolmente nel letto. Quel letto dove lui era nato e che ora non lo rivedrà più.
Vorrei continuare il mio percorso tra la gente. Tra la gente di paese, quella semplice e genuina, quelle persone che continuano a conservare il valore delle regole del vivere civile e dell’armonia che dovrebbe essere di nuovo regola di vita. Un paese come lo si identifica? Quando un paese diventa paese? Quando cominciano ad esserci tutti gli elementi principali che, miscelati in un unico impasto, creano una comunità. Il campanile, la Chiesa, naturalmente, specialmente nel meridione, e di fronte la Chiesa la piazza, luogo di incontro, di mercato, dei negozi, di dicerie, di incontri, di baci di adolescenti. Ma un paese si può solamente chiamare tale quando lo si osserva da dentro la “bottega” di un barbiere. E’ un classico: il gilet bianco, i modi gentili, il cavalluccio sul quale ti mettevano a sedere da bimbo, e per aiutare nel lavoro l’artista delle chiome, e per convincere il bambino a starsi fermo. “Stai fermo per la Madonna, finirai per farti tagliare!”. E ogni tanto, l’impaziente genitore molla anche qualche sonoro schiaffone all’irrequieto capellone in attesa di una solenne tosatura. E il paese che mi torna in mente è fatto di bei modi - non di macchine incendiate… -, del ricordo di un genitore che dalla mano ti accompagna da Mastro Bruno. “Buon giorno Mastro Bruno!”. “Buongiorno Professore, come sta la sua Signora? E il bimbo…”. Sorrisi e cortesie nella bottega di Mastro Bruno Amato, che io ho sempre identificato in Figaro, il più famoso “fac totum della città”. Ed alla fine, una bella riga di lato e una caramella prima di scendere da quel cavalluccio che intanto era diventato Furia e dal quale non ti saresti mai alzato anche a costo di farti rapare a zero. E poi il buon odore di quella spruzzatina di acqua di colonia che ti facevano per farti sentire grande e ben ordinato. Da buon serrese, oltre al suo lavoro, Mastro Bruno porta dentro di se sia l’arte dei nostri antenati, sia la fede. E - tra “Bruni”… - amico fraterno di Mastro Bruno Amato è Mastro Bruno Tassone: assieme parlano delle loro serenate e delle loro storie d’amore, quelle della meglio gioventù, quelle di un paese fatto di rapporti umani che non sempre riusciamo a trasferire ai nostri figli, come quei galantuomini che son stati già i nostri genitori.
La sua bottega, al centro del paese, tra Terravecchia e Spinetto, (ora “trasformata” dalla altrettanto brava figlia Santina in una parrucchieria e centro estetico per uomini e donne) è uno di quei punti dove si respira ancora l’ambiente di una volta, carico di storie, di valori, di umanità. Probabilmente dovremmo cercare di riappropriarci della nostra cultura popolare, che guardava di più al paese, alla reale situazione della gente, del proprio vicino. Essere uomini degni. La dignità che non ti permette di propinare acqua velenosa alla gente per soldi, la dignità e la bontà di questi uomini che non permetteva a loro stessi di arricchirsi a dismisura rubando al prossimo e usurpando i diritti del prossimo. Forse, in quelle botteghe, fatte ancora di saluti e di sorrisi, potremmo andare a cercare quell’amore per noi stessi, prima di tutto, l’amore per la nostra storia, le nostre radici. Il senso del bello, mostrato in spose con la chioma piena di fiori e statue di un Santo che forse, offeso per esser stato tradito, avrà girato il suo benevolo sguardo da un’altra parte.
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