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Il boss della 'ndrangheta, Pantaleone Mancuno, 53 anni detto "l'ingegnere" - tra gli eredi designati della nota consorteria mafiosa di Limbadi - è stato fermato il 29 agosto scorso mentre tentava di attraversare la frontiera a bordo di un bus diretto in Brasile. La gendarmeria argentina, però, ha diffuso soltanto ora la notizia, spiegando anche che, a breve, verranno avviate le procedure per la sua estradizione in Italia.
Mancuso è accusato di associazione mafiosa e duplice tentato omicidio. L'uomo, inseguito da un mandato di cattura internazionale, era latitante da tempo. Luni "l'ingegnere", nel momento in cui è stato fermato dalla gendarmeria, era in possesso della somma di 100mila euro in contanti e di un passaporto intestato a Luca De Bortolo. Ad incastrarlo, però, sono state le impronte digitali.
Il sostituto procuratore generale di Catanzaro, Marisa Manzini, nell'ambito del processo antimafia “Luce dei Boschi” ha formulato richieste alla Corte d'Assise d'Appello di un ergastolo e condanne complessive per 43 anni e 10 mesi di reclusione all’indirizzo di nove imputati, accusati di far parte della ‘ndrangheta delle Preserre vibonesi. La pena dell'ergastolo è stata chiesta per Vincenzo Loielo (5 anni in primo grado) accusato del duplice omicidio di Rocco Maiolo ed Emanuele Fatiga. Mentre, 10 mesi è invece la pena richiesta per Enzo Taverniti (collaboratore di giustizia), 6 mesi per Michele Ganino (collaboratore), 4 anni per Francesco Maiolo, 2 anni per Giuseppe La Robina, 3 anni per Rocco Oppedisano (collaboratore), 8 anni per Piero Sabatino, 2 anni per Damiano Zaffino, 8 anni per Angelo Maiolo e 10 anni e 4 mesi per Antonio Forastefano (anch’esso collaboratore di giustizia ed imputato per duplice omicidio). Il processo “Luce dei boschi” ha acceso i riflettori sulla cosiddetta “locale di Ariola”, attiva già dagli anni '80 nel Vibonese. In particolare sono emersi durante la fase inquisitoria importanti elementi sulla faida fra i clan Loielo di Gerocarne e Maiolo di Acquaro. Parti civili nel processo i comuni di Gerocarne, Arena, Acquaro, Dasà, Sorianello, Soriano, Pizzoni, Vazzano e Confindustria Calabria.
A gennaio la prima sezione penale della Corte di Cassazione aveva annullato, con rinvio alla Corte d'assise d'appello di Catanzaro, la sentenza di condanna a 18 anni di carcere per Vito Gallè (a sinistra), inflitta in appello il 29 giugno 2009, in quanto ritenuto responsabile del duplice omicidio di Angelo Cravè (a destra), 42 anni, e Giuseppe Campese (al centro), 35, avvenuto a Serra San Bruno la mattina del 18 febbraio 2008. A scatenare l'accaduto furono alcuni dissapori legati ad una servitù di passaggio, tra le due proprietà confinanti. Lo scorso mese di marzo furono anche concessi i domiciliari per il 47enne. La Corte d'Assise d'Appello, però, si è espressa sulla vicenda, condannando Vito Gallè a 19 anni di reclusione.
SERRA SAN BRUNO - Sono stati disposti gli arresti domiciliari per Vito Gallè, inizialmente ritenuto responsabile del duplice omicidio di Angelo Cravè, 42 anni e Giuseppe Campese, 35, avvenuto nel popoloso centro montano la mattina del 18 febbraio 2008. La Corte di Cassazione, in particolare, il 10 gennaio scorso ha annullato, con rinvio alla Corte d'assise d'appello di Catanzaro, la sentenza di condanna a 18 anni di carcere inflitta in appello il 29 giugno 2009. Secondo quanto siamo riusciti ad apprendere, i giudici della Cassazione avrebbero individuato tutta una serie di illogicità sia nella sentenza della Corte d’ Assise che in quella emessa dalla Corte d’ Assise d’ Appello. I giudici, dunque, hanno accolto il ricorso presentato dagli avvocati difensori di Gallè, Giancarlo Pittelli e Maurizio Albanese, che puntavano a mettere in luce la mancanza di motivazione nell'attribuzione di credibilità all'unico testimone oculare del fatto. Gli avvocati hanno inoltre rilevato la contraddittorietà tra la sentenza di condanna della Corte d'assise d'appello e la sentenza con cui il Gip di Vibo Valentia aveva condannato il padre di Vito Gallè, Salvatore Rocco, a 20 anni, poi ridotti a 12 in appello. Non solo: la Cassazione ha ritenuto contradditoria l'attribuzione della responsabilità del duplice omicidio sia al padre che al figlio, ed ha annullato la sentenza anche in merito al mancato riconoscimento da parte dei giudici della Corte d'assise d'appello della provocazione come attenuante del fatto di sangue, scaturito da controversie legate ad una servitù di passaggio e preceduto da "violente prevaricazioni e da gravi minacce - hanno eccepito i difensori - subite per lungo tempo dalla famiglia Gallè". Tutto da rifare, dunque, con la Cassazione che ha deciso di rinviare il processo alla Corte d’ Appello.
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