processo toga2Il sostituto procuratore Salvatore Curcio, a conclusione della fase requisitoria nel processo per l’omicidio del parrucchiere Placido Scaramozzino, assassinato nel settembre del 1993, ha chiesto ieri due condanne all’ergastolo e una a 24 anni di reclusione, rispettivamente, nei confronti di Antonio Altamura (66 anni, ritenuto il capo della cosca 'ndranghetista della frazione Ariola di Gerocarne), Vincenzo Taverniti (53 anni, di Stilo) e Antonio Gallace (47 anni).

Le richieste di condanna sono state avanzate dai giudici della Corte d'assise d'appello di Catanzaro, dinanzi ai quali è in corso il processo di secondo grado, mentre, in primo grado, nell'aprile dello scorso anno, era stata sentenziata la condanna di Altamura e Taverniti e l'assoluzione di Gallace. Chiave del dibattito si è rivelata essere la dichiarazione fornita da un minore coinvolto nel delitto, che ha deciso di collaborare testimoniando al processo. Le dichiarazioni fornite dal giovane alla Dda di Catanzaro hanno permesso di fare luce sull’omicidio, ritenuto un fatto riconducibile alla “strategia” di sterminio posta in essere dal gruppo Maiolo in modo tale da favorire l’ascesa del clan Loielo.

Placido Scaramozzino fu legato e trascinato nella boscaglia alla periferia di Gerocarne, tramortito a colpi di zappa in testa ed, in seguito, sepolto ancora vivo. Il punto esatto della sepoltura non è stato mai individuato, né segnalato agli inquirenti, di conseguenza il corpo di Scaramozzino, a distanza di anni, non è ancora stato ritrovato.

 

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sette paia di scarpeSERRA SAN BRUNO - Sette paia di Scarpe, la prima fatica letteraria della giovane archeologa serrese Eliana Iorfida, sarà presentata domani, sabato 29 marzo, a partire dalle ore 17.00, a Serra San Bruno nei locali di Palazzo Chimirri.

Interverranno all’evento Bruno Rosi, sindaco di Serra San Bruno; Giovanni Bruno, prefetto di Vibo Valentia; Franca Falduto, responsabile delle consulte studentesche - Ufficio Scolastico Regionale; Demetrio Crucitti, direttore Rai Calabria; Paola Gaglianone, Rai Eri; Mario Bozzo, già presidente della commissione regionale del Premio Letterario "La Giara" e presidente della Fondazione Carical; nonché l’autrice Eliana Iorfida, Giara d'Argento 2013. Nelle vesti di moderatore il professor Tonino Ceravolo. 

Il libro nell’agosto scorso si meritò “la Giara d’Argento”, un importante riconoscimento assegnato al romanzo nell’ambito dell’edizione 2013 del Premio Letterario “La Giara” indetto da Rai Eri; una preziosa opportunità di scouting per scrittori esordienti al di sotto dei 39 anni, la cui premiazione è avvenuta nello splendido scenario della Valle dei Templi di Agrigento.

«Sette paia di scarpe – si legge nella motivazione che spinse la prestigiosa giuria alla consegna del premio – è la storia di Ahida e della sua adolescenza, che sullo sfondo della guerra arabo-israeliana del 2006, ci trasporta in un mondo arcaico, rurale, destinato a metamorfosi profonde, senza tuttavia rinnegare i valori di una tradizione millenaria. Eliana Iorfida, narrandoci la vita del piccolo villaggio nella Jazeera siriana, ci descrive, senza giudizi morali o politici, una società dettata da rigide leggi patriarcali, di cui riconosce i limiti, la durezza, ma anche la forza e l’integrità morale. Di quel mondo ci restituisce i colori, la natura, e un senso profondo di humanitas, di collettività, che ci ricorda la genesi delle nostre radici mediterranee».

Il giovane talento letterario ha tratto aspirazione per la stesura del suo romanzo di esordio, durante una delle tante missioni archeologiche, effettuata tra il 2006 e il 2007, sotto la direzione scientifica del Prof. Buccellati (Università della California), in un territorio, dunque, che può senza alcun ombra di dubbio essere annoverato tra i più caldi e sventurati al mondo. Nonostante i tanti impegni quotidiani, Eliana inizia a scrivere il suo romanzo, in maniera intermittente, nel 2008, lasciandolo in sospeso più volte. Poi nel 2012, una volta ultimata, decide di inviare la sua opera alla sede Rai di Cosenza per prendere parte al concorso. Tra gli autori di riferimento della giovane autrice serrese, Corrado Alvaro, che la stessa Eliana Iorfida riconosce peculiare per essere stato «tra i primi a cogliere l’omogeneità della tradizione mediterranea, la comunanza del Meridione d’Italia coi paesaggi e i volti che popolano la sponda opposta e che io stessa ho potuto apprezzare».

 

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isola ecologica sequestrataSERRA SAN BRUNO - Si rischierà già da domani di imbattersi in decine e decine di cumuli di rifiuti sparsi per le vie del centro abitato di Serra. Nella tarda mattinata di oggi, infatti, i militari della locale Stazione dei carabinieri e gli uomini del Noe di Reggio Calabria, hanno operato il sequestro preventivo dell’Isola ecologica comunale sita in località “Leonà” sulla statale 110 in direzione Mongiana. L’isola – operativa dal 2007 – fu realizzata, quindi, oltre 6 anni fa, su un terreno precedentemente destinato a parco giochi.

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Domenica, 09 Febbraio 2014 14:14

A Serra e dintorni si torna ad emigrare

serraSERRA SAN BRUNO – Non hanno più in mano le valige di cartone che, molto spesso, abbiamo visto nelle “foto vintage” di emigrati senza tempo e senza età. No. Ma le scintille di sofferenza e povertà che si leggono negli occhi dei migranti dal sud, sono sempre le stesse. E anche se oggi si emigra col trolley, la partenza viene vissuta, senza eccezione, come una sorta di “violenza”. Tant’è, che allo sguardo meticoloso di chi parte, anche gli alberi sembrano piegarsi su se stessi - quasi un inchino - per dare un addio.

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Anche quest’anno, come ogni 3 febbraio, Serra San Bruno commemora San Biagio Vescovo e Martire, vissuto tra il III ed il IV secolo, è venerato oggi sia dalla chiesa Cattolica, che da quella Ortodossa.

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pendolariÈ risaputo da tempo quanto già fosse complicato per molti studenti delle Serre alzarsi alle prime luci dell’alba, per correre in fretta e furia verso la fermata dell’autobus più vicina ed attendere - alla mercé delle intemperie meteorologiche - l’arrivo di un pullman utile a condurli verso le scuole site a Vibo Valentia. Ogni mattina costretti ad affrontare decine e decine di minuti di viaggio, in abitacoli “disumani”, quasi mai di ultima generazione e quasi sempre strapieni di passeggeri. Per poi precipitarsi, trascorse le sei canoniche ore di lezione, ancora di corsa verso l’autostazione più vicina per risalire a bordo dello stesso autobus disponibile, questa volta per il viaggio di ritorno, a trasportare gli studenti in direzione opposta, verso - finalmente - un lauto e meritato pranzo caldo.

È la storia che accomuna la maggior parte degli studenti pendolari residenti nei più disparati angoli del Vibonese – molti dei quali stanziati nella zona montana delle Serre - che, con cadenza quotidiana, si dirigono appunto dai paesi interni verso il capoluogo di provincia per prendere parte alle lezioni scolastiche in svariati istituti d’istruzione secondaria. Una missione resa oggi ancora più dura dal corposo rincaro apportato di recente dalla Regione Calabria sui prezzi dei biglietti per il viaggio. «Se in tempi celeri la Regione non ci verrà incontro - hanno dichiarato gli studenti – molti, che appartengono a famiglie che si trovano in particolari difficoltà economiche, potrebbero addirittura essere costretti presto a lasciare gli studi».

La vita degli alunni fuorisede si scandisce in modo molto diverso da quella dei coetanei che invece vivono nella stessa città in cui sono presenti gli edifici scolastici, ma tutti assieme hanno protestato ieri mattina in una manifestazione pubblica organizzata proprio a Vibo per reclamare contro il caro-ticket posto in essere da qualche settimana dalla Regione. La manifestazione sembrava avesse sortito le prime conseguenze sperate, tanto che questa mattina il Commissario straordinario della Provincia di Vibo Valentia, Mario Ciclosi, aveva ufficialmente accolto una delegazione degli studenti vibonesi pendolari, provenienti dai 49 comuni della provincia. L’incontro, alla fine, si è effettuato però solo a titolo informativo, proprio perché in realtà l’ente provinciale non ha alcuna competenza in merito. Piuttosto, per far fronte alle legittime istanze sollevate dagli studenti, il pallino – si spera – possa già nei prossimi giorni passare in mano direttamente ai dipartimenti competenti della Regione Calabria.

 

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mini _DSC0038SERRA SAN BRUNO Nello studiolo c’è poca luce. Il volto di dom Jacques Dupont si illumina a intermittenza mentre parla di povertà, di amore, di fragilità, di bellezza. Pesa ogni parola, ma ha la passione che non si immaginerebbe in un eremita. L'anno appena iniziato ha un'importanza particolare. Ci si appresta a celebrare i cinquecento anni dell’autorizzazione al culto di San Bruno e del ritorno dei certosini a Serra, dopo che dal 1192 al 1514 l’abbazia era passata sotto la regola cistercense. Al priore abbiamo chiesto com’è, nel 2014, la vita in Certosa, e come ci si appresta a celebrare questi anniversari nel monastero. «La vita del monaco – spiega dom Jacques – è definita dalla liturgia, che è scandita da ricorrenze. Non le viviamo come feste mondane, ma toccano la nostra esistenza. Queste ricorrenze ci portano a ringraziare Dio per questa realtà che è viva ancora oggi».

 

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mini autoLa Guardia di finanza, nell’ambito di operazioni di controllo effettuate sul territorio provinciale, proprio a Vibo Valentia, ha scoperto ieri l’esistenza di un deposito abusivo di autovetture. Una rimessa non autorizzata gestita da un imprenditore del luogo, proprietario dello stesso terreno sul quale giacevano le carcasse dei veicoli. L’area è risultata essere illegittimamente adibita a rimessa, tanto che la stessa non disponeva delle dovute cautele previste per i depositi regolari, soprattutto in funzione della tutela ecologico-ambientale. L’uomo infatti avrebbe effettuato l’attività di raccolta di rifiuti speciali - come ad esempio olii esausti o batterie obsolete - e di deposito di autovetture in un terreno privo di qualsiasi dispositivo di salvaguardia ambientale, nel quale le Fiamme gialle avrebbero rinvenuto ben venti autovetture che dallo stesso deposito abusivo venivano poi spacciate verso altri soggetti in grado di recuperarne le parti ancora utilizzabili. La posizione dell’uomo si sarebbe complicata soprattutto perché nel successivo accertamento condotto sulle vetture presenti in deposito, la stessa Guardia di finanza, ha rilevato che una delle automobili risulta essere addirittura rubata. Da ciò la segnalazione dell’imprenditore all’Autorità giudiziaria competente per ricettazione di auto rubata oltreché per reati contro l’ambiente. L’intera area abusiva e tutto il materiale stoccato al suo interno è stato sottoposto a sequestro.

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mini libro_rubbettinoIn una notte buia e senza luna, dopo un viaggio estenuante e con lo stomaco in subbuglio per il tragitto in corriera lungo la vecchia statale 110 (che, rispetto agli anni in cui è ambientato il romanzo, è persino peggiorata n.d.r.), Bruno Randò fa ritorno a Fabrizia, il paese dal quale era partito tre anni prima in cerca di fortuna. Sono tempi duri. Il fascismo governa il paese e chi come Bruno non ha voglia di chinare la testa non se la passa certo bene. E così che il giovane calabrese è costretto a tornare a bussare alla porta di quel tugurio che aveva lasciato con la bisaccia carica di belle speranze. Insieme a lui Ornella, la giovane moglie del Nord che, impaurita e preoccupata, gli si stringe accanto. L'incontro tra la famiglia d'origine di Bruno e la graziosa signora settentrionale non poteva essere dei peggiori. La madre piange come per un figlio morto, il padre dimostra al giovane tutto il suo astio per quella scelta che gli appare sciagurata. Chi era quella donna? Che voleva da loro? Doveva essere certamente «una ballerina... di quelle che fanno la magia. Robe da romanzi, da far atterrire tutto il paese, da far rivoltare persino i santimorti del Camposanto, uno schifo».
 
Inizia così C'è ancora una stella, romanzo dello scrittore di origini fabriziesi Serafino Maiolo (1911-1964), noto ai più per essere stato il padre di Tiziana Maiolo, dapprima giornalista del Manifesto, poi militante radicale e infine ex deputata di Forza Italia e assessore della giunta Moratti al Comune di Milano; opera che Rubbettino manda in libreria a gennaio con un'originale introduzione dello scrittore Gioacchino Criaco.
 
È un incipit che sorprende, un esempio da manuale di xenofobia intesa nel senso etimologico del termine, di paura dello straniero di chi è diverso da noi. Sono due mondi che si confrontano in modo spietato e crudele. Ornella è bella, colta, raffinata. Di fronte a tanto squallore non può non pensare al suo paese «con i vertici dei sei campanili, i portici allineati sullo stradone principale, il convento dei cappuccini e la bella chiesa di San Lorenzo, disteso nell'ubertosa pianura, in una delle anse del Po, doviziosa di messi di bietole, di quei ciliegi che quando fioriscono, in aprile, a maggio, offrono un colpo d'occhio fiabesco e sembra tutta una serra profumata, uno sterminato paradiso». Come rassegnarsi invece a quella nera miseria che, come spesso accade a chi ha lasciato il proprio paese, nel ricordo di Bruno era invece più vicina a una modesta agiatezza?
 
Ecco che i due pregiudizi si incontrano o, meglio, si scontrano. Ad Ornella tornano in mente le parole delle sue amiche che le dicevano che «i "napoletani" sono sudici, che dalle loro parti non si conosce il sapone e che quando Garibaldi ce l'aveva portato, i "napoletani" se l'erano mangiato». I reciproci stereotipi formano una barriera tra la "forestiera" e i genitori di Bruno, barriera che tuttavia si infrange quando Ornella, stanca, spaventata e depressa comincia a piangere. Ecco allora che la madre di Bruno intuisce che in fondo quella donna non è un'astuta poco di buono, pronta a portare il figlio sulla via della perdizione, e appronta con quel poco che c'è in casa una cena. La giovane donna, dal canto suo, capisce che gli anziani genitori del marito non sono dei selvaggi ma due poveri contadini che hanno sul viso, sulle mani e sulle spalle gli anni di dura fatica nei campi.
 
C'è ancora una stella vide la luce nel 1959 presso l'editore Ceschina di Milano. È il secondo romanzo di Maiolo di ambientazione fabriziese. Il primo, Ciaramaca, è del 1949. Ambedue i romanzi possono essere ascritti a pieno titolo al filone neorealista, seppure C'è ancora una stella vi entri un po' tardivamente. Erano gli anni in cui si scopriva un'Italia marginale, diversa, fino ad allora sconosciuta. Il cinema, la letteratura e l'antropologia si interessavano sempre più alle "indie di quaggiù", come già nel Seicento i gesuiti definivano quella costellazione di piccoli mondi contadini sparsi soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia.
 
Quegli anni di lavoro ci hanno regalato una mole altrimenti impensabile di ricostruzioni, filmati, documentari, romanzi e racconti spesso di straordinaria qualità letteraria (si pensi ai "grandi" calabresi, come Perri con i suoi Emigranti, Seminara con Le baracche o al Corrado Alvaro di Gente in Aspromonte per citarne solo qualcuno) e, tuttavia, non sono serviti, in molti casi, a conoscere meglio la realtà ma sono stati funzionali, come ha spiegato di recente Vito Teti in Maledetto Sud alla costruzione di un nuovo stereotipo speculare a quelli che avevano circolato fino ad allora.
 
Al mito del meridionale ozioso, sudicio, infingardo si sostituiva quello del Buon Selvaggio, del meridionale capace di sentimenti sinceri che si contrapponevano a quelli della borghesia del resto d'Italia fatta di opportunismo e falsità. A questa trappola non sfugge nemmeno Maiolo. Il suo è un romanzo in cui Nord e Sud diventano due modi di vivere, di intendere la realtà e i sentimenti umani.
 
Fabrizia, il paese di Bruno, è un paese cupo, un paese "che non sa cantare", nel quale persino la religione sembra risentire degli echi dei lugubri misteri orfici che si celebravano in queste terre in epoca remota. Gli stessi santi appaiono lontani e capricciosi. San Vito la cui effigie viene portata in processione per chiedere la grazia della fine della siccità, risponde alle preghiere dei fedeli con un'alluvione che devasta il paese. Su tutto incombe il senso del fato.
 
Eppure Ornella, con gli occhi del cuore, con quegli stessi sentimenti che le avevano permesso un punto di incontro con i genitori del marito, riesce ad andare oltre quella spessa corazza fatta di secoli di soprusi, disgrazie e ignoranza e, di fronte alla possibilità concreta di lasciare il paese per tornare alla sua vita di prima, sceglie di rimanere accanto al marito, a quella che considera ormai la sua gente. «È meravigliosa questa gente – dirà al suo spasimante del Nord insieme al quale aveva progettato la fuga – ha un cuore grande e se anche soffre, non abbandona la fiducia nella terra e nel cielo».
 
Sbaglierebbe tuttavia il lettore che vedesse nel romanzo di Maiolo unicamente una sorta di Libro Cuore calabrese. Il "paese che non sa cantare" di Maiolo è al tempo stesso luogo di disperazione e di speranza, di tragedia e di nuova vita, oggetto d'odio e di amore. È un paese dal quale gli abitanti sono spesso costretti a fuggire ma ovunque essi vadano c'è sempre una «piccola stella che ogni notte lampeggia sul Monte Pecoraro e li vigila da lontano per le vie del mondo».
 

Antonio Cavallaro (Rubbettino Editore)

 
(articolo pubblicato su ''Il Quotidiano della Calabria'')
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Venerdì, 03 Gennaio 2014 15:04

Cinema a Sud. L'anima e la natura

mini naturaNonostante Michelangelo Frammartino sia cresciuto a Milano, il suo legame con il Sud sembra diventare sempre più forte. Pare essere un'attrazione istintiva, la sua, un richiamo che forse ha poco a che vedere con le sue origini. Certo, Caulonia è il paese dei suoi genitori, il luogo dove il regista ha trascorso le sue estati da ragazzo e anche “Le quattro volte”, film pluripremiato, è stato girato in Calabria. Ma non sono, non possono essere state solo le sue radici a fargli volgere di nuovo lo sguardo verso questa parte di mondo.
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