mini sharo_per_vizzarro_1Quando aprì il portone del suo appartamento, Sharo Gambino rimase impietrito. Era l’inizio del 1973. A Serra San Bruno faceva freddo e “Don ‘Ntoni” Macrì era avvolto in un cappotto scuro. Lo guardava dritto negli occhi. Il mammasantissima della ‘ndrangheta jonica disse che era andato in quel palazzo perché doveva recarsi da un notaio che stava al piano di sotto. Almeno così disse. E per caso si era accorto del nome sul citofono. Sharo lo conosceva bene: sulla scrivania, di là, c’erano le ultime bozze della seconda edizione de La mafia in Calabria. Aveva già scritto di quel boss della vecchia mala reggina, e lui adesso era lì davanti che provava a spiegargli, con un elegante giro di parole, il senso della sua inaspettata visita. Aveva letto, oltre che qualche suo articolo sulla ‘ndrangheta, anche la prima edizione del libro-inchiesta sulla ‘ndrangheta, e si dimostrava quasi sorpreso del clamore suscitato da sequestri e omicidi.

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mini luciano_vasapolloContinua il percorso di lotta culturale dell’associazione 'Il Brigante' che, in collaborazione con l’associazione - Rivista 'Nuestra America', ha presentato nei giorni scorsi, nella ricorrenza del 160 anno della nascita del poeta rivoluzionario Josè Marti, il volume dal titolo 'Il risveglio dei maiali'. All’iniziativa hanno preso parte collettivi politici, organizzazioni sindacali, associazioni e cittadini. Ad aprire la discussione è stato Salvatore Albanese, il quale ha illustrato il progetto politico del Brigante ed il suo ruolo nella società come 'punto di riferimento culturale e di protesta nella nostra regione'. 

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Giovedì, 17 Gennaio 2013 13:26

Leggendo Sole Nero...

 

mini sole_nero_disegno

Per alcuni autori della letteratura meridionalistica e non solo, molto spesso, l’infanzia o l’adolescenza sono state un utile strumento di lettura e d’analisi: primo per raccontare storie che fossero espressione di un contesto socio-culturale territoriale regionale, se non addirittura nazionale; secondo, evidenziare eventuali fenomeni sociali. E’ il caso di Saverio Strati con il suo “Tibi e Tascia” e “Mani vuote”, di Corrado Alvaro con “Gente in Aspromonte”, di Pier Paolo Pasolini con “Ragazzi di vita” ed “Una vita violenta”, ma anche della letteratura del centro-nord del Paese, come con Fenoglio ed il suo Agostino di “Malora”, di Carlo Cassola con “La ragazza di Bubbe”e per certi aspetti, anche se figura controversa, ma comunque adolescenziale, anche l’Alessandro di “Eroi del nostro tempo” di Pratolini; ed  infine, ultimi, non per ordine d’importanza, Silone e prima ancora di Verga, rispettivamente con il loro Neorealismo politico e Verismo letterario. Ma non sono solo i personaggi di questi romanzi le icone della letteratura sociale del sud del Paese (escludendo i borgatari violenti di Pasolini e le metafore di Pratolini, Fenoglio, Gadda, ecc.) i paradigmi di quegli scenari reali o presunti (molto spesso agropastorali della prima metà del Novecento) che la realtà, pure letteraria, ha oramai consegnato alla storia o alla finzione cinematografica. Più di altri, a raccontarci di tutto questo è il Gesuino di Malifà di Sharo Gambino (Frama e Rubbettino edizioni), l’esempio e  l’emblema  di quel racconto sociale che esce fuori dagli stereotipi della violenza di mafia, di casta sociale o delle vicende degli adulti in generale e ne mette in luce le contraddizioni dell’uomo in quanto essere, e dell’essere sociale con i suoi ma e i suoi perché. L'Autore, per la prima volta nel panorama letterario meridionalistico, in superficie spinge dal fondo dell’abisso della coscienza collettiva, di quel Meridione indifferente ed a volte apatico, in particolare  di quella Calabria rurale, che in parte oramai appartiene al passato, la violenza feroce, distinta dai tratti gentili dell’adolescenza, tratteggiandone aspetti e psicologia, tanto da farne un'unicità ed un caso letterario. Sì, il Malifà di Gambino esce dagli stereotipi e proietta sullo sfondo di quel mondo l’immagine di quella violenza degli adulti, frutto ed effetto di condizionamenti culturali e deviazioni sociali, ma porta in rilievo, soprattutto, un altro tipo di violenza: più cruda, più feroce, più drammatica, perché fatta d’innocenza ed ingenuità; perché perpetrata da bambini in un mondo di adulti violenti, ma subita da un ragazzo per l’espiazione di una colpa che lui non ha commesso, nel momento più bello e più tragico della sua vita. E' quell'attimo in cui, nell'avvertire la gioia inebriante dell'abbracciare e sentire il profumo di un corpo caldo bagnato di  una  donna e  la scoperta del suo stesso, di corpo, con il torpore della ragione e la piacevole inquietudine dell’anima, nell’aprirsi dei sentimenti, lo allontana  così dal suo Dio ( perché sente il paradosso della ragione della fede, sentendo la ragione dell'avvertire), e lo avvicina alla vita degli uomini, però, purtroppo, quando già il suo cammino è oramai segnato (da quel suo stesso Dio?) verso le porte del paradiso. Dall’altra, la visione deistica e l’inculcata percezione della presenza sbagliata di quel  Dio non suo, nonché l’idea di una religiosità opprimente, fatta anche di residuati ancestrali di paganesimo e visione delirante, quasi eremitiana, di primo cristianesimo orientale o da  primo Medioevo; ma anche presenza violenta nell’assenza di un padre e di una speranza insperata per un futuro migliore, lo portano al risveglio della coscienza ed al "lume della ragione," e lo assegnano al mondo delle cose e dell'inquietudine del corpo.

E’ vero, il Gesuino di Gambino con la sua Malifà è un concetto letterario nella Storia, ma che trova la sua origine e si alimenta nell’arretratezza socio-culturale e nell’ignoranza religiosa ed a volte violenta della ruralità sociale di Ragonà e Cassari di Nardodipace, nonché della Calabria degli anni cinquanta, residuali scampoli di una feudalità d’anno Mille. Ma è anche l’espressione di una società morente (perché vittima dei suoi stessi pregiudizi) la quale, non riuscendo a creare tensione connettiva e sviluppo sociale, si ripiega su se stessa e muore. Se la morte del protagonista è la metafora di una società che raggiunge il suo epilogo e si piega su se stessa, sotto il suo stesso peso, dall’altra, però, la presenza di figure, direi minori, poste sullo sfondo: il Fiorello, l’organizzatore di rivolte, l’uomo che rifiuta l’idea manzoniana dell’ineluttabilità della violenza del potere sulla società, fanno dire all’autore che c’è una possibile speranza, anche in quell’emisfero fatto di sottomessi. Purtroppo, il mondo di Gesuino nonostante tutto non è morto, anche se in agonia, mentre quello indicato e suggerito da Fiorello non è ancora nato, perchè Godot,  non è ancora arrivato. Nel riferimento letterario di Malifà, saranno pure cambiate le forme del suo malessere sociale, ma non la sostanza. La terra che vide Gambino fare il maestro serale nel 1959 - “Eroe del nostro tempo!” - sin da più di trent’anni, oramai ha la sua chiesa ed il suo cimitero; non girano più per le strade uomini avvinazzati a portare cadaveri stecchiti al camposanto del vicino paese o durante le lunghe nevicate invernali non si conservano più morti in casa, in attesa di poter aprire un varco lungo distese di neve e scoscesi pendii. Ma il riferimento letterario del Gesuino di Gambino gira ancora, come residuato di ere a noi lontane nel tempo, carico e gravato dei suoi pregiudizi religiosi e della sua idea di giustizia, un po’ ricurvo per il peso degli anni e della sua statura, a volte, con il suo sacco vuoto sulle spalle, e le lunga braccia penzoloni, come rami rinsecchiti. Metafora di una metafora! Figure che la modernità non ha cancellato e che il presente sta sbiadendo, ma comunque, ancora testimoni di un Tempo, come corpi di pietre scolpite su una strana isola: alieni che tracciano scie, senza volerlo, nella memoria delle loro Malifà. Aspetti di un mondo dove la finzione letteraria non ha avuto confini e la realtà, anche d’oggi, è sfumata, dove il bianco dell’uno ed il nero dell’altro intridono l’area di un grigio indistinto. L’idea di speranza di Gambino e di autodeterminazione e presa di coscienza di sé dei malifioti con Fiorello, non è come quella di Silone con il suo Berardo Viola, il quale condisce di visione leniniana pseudo-pararivoluzionaria la pentola della storia dei cafoni della Marsica. Il Fiorello di Malifà, nelle sue istanze ed esigenze di rivolta non ha ambizioni velleitaristiche di organizzare la loro rivolta attraverso il giornale e l’informazione, o di fomentare sedizioni e spedizioni punitive;  non individua nelle classi sociali più abbienti  l’elemento e l’ostacolo d’ abbattere per la creazione di una società comunista (come nel caso della rivolta di Caulonia) ma rivendica il diritto di dissentire e di protestare, nelle regole e con le regole (questa sì è finzione letteraria!) organizzando a sua volta i malafioti, contro quello Stato che gli nega l’identità di cittadino: la mancanza  assoluta di strutture viabilistiche, l’assenza di un medico, di un prete, delle più elementari condizioni di vita sociale. Nella Malifà di Gambino, ovvero, la Ragonà e la Cassari vive degli anni cinquanta, questi sono i temi e gli aspetti che sembrano riportarci, anche se eufemisticamente, all’Eboli leviana. Un mondo al di fuori del tempo e della storia, un mondo dove quel Cristo stenta ancora ad arrivare, anche perché l’assenza di quello stesso Cristo, ne determina la mancanza della critica della ragione e dell’autocritica della coscienza, disponendo così il proprio biglietto da visita, ancora stampato col grigio dell’ignoranza. Il paradosso è che, nonostante il vorticare, a volte  violento, del mondo d’oggi e delle società occidentali, la spinta propulsiva del motore di quel Nazareno, ancora non s’intravvede, e l’attesa di Vladimiro e compagni sembrerebbe inutile. Il viaggio di Girotta da Malifà alla casa del medico, perché visitasse quel corpo morente, sembra essere la metafora dell’assenza di un “cammino”, di quel famoso e più volte evocato Cristo (come il richiamo di Godot, diluito e spalmato sull'attesa dell'eternità) lungo il palcoscenico della vita. Così, le pozioni magiche della Scazzòntara (vicina di casa dei Sambàrvara) mentre Gesuino muore, non ci portano di certo oltre “I morti della collina”, e ci lasciano nel nostro viaggio “dei fatti e delle gesta” - come - “simboli del destino” dei malifioti, molto, molto prima del cimitero di “Spoon River”, e direi nel tempo remoto, anche se fuori dalla storia. E’ “Il mondo dei vinti”. E sebbene sia un universo fatto di una umanità vera, paesaggi reali, sentimenti concreti, come i personaggi alla Concia della Brancaleone del “Carcere” di Cesare Pavese; un universo oramai quasi archiviato dalla grigiosa e sfumata memoria di una senilità traballante, o dalla nebbia del tempo, di ancora sopravvissuti testimoni di un mondo, o ancora come patrimonio collettivo dentro le ingiallite pagine di un libro. Racconti, questi, nati non dall’estro fantasioso di uno scrittore immaginifico, ma solo vicende, a volte non definite col proprio nome, e registrate dall’acuta ed attenta osservazione di uomini che con la loro umanità si sono calati nell’inferno di quel presente.

Vincenzo Nadile

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Lunedì, 07 Gennaio 2013 14:24

Sette gennaio 1925

mini sharo_autoritratto_1955Era il sette gennaio del 1925, quando, in Vazzano, Fortunata Barba moglie di Antonio Gambino, mio nonno, dava alla luce il suo terzo figlio maschio. I primi due figli erano morti, come del resto avveniva nella maggior parte delle famiglie di estrazione proletaria, di un male allora considerato letale. La gastroenterite. Eligio, il primo ed Eligio il secondo. Antonio decise allora di cambiare nome, un po’ così, forse per scaramanzia. Decise però di caratterizzare il nome del suo “nuovo” primogenito con una bella H. Nasceva dunque ottantotto anni fa Sharo Gambino. Sharo, nonostante lo stratagemma del nuovo nome, si beccò anche lui la sua bella dissenterite. Antonio imprecava, prendendosela col destino crudele, disconoscendo le multinazionali del farmaco. Miglior destino toccò a Sharo, che visse. Con quell’acca dapprima persa: nel periodo fascista non era possibile dare ai bambini nomi non prettamente italiani, e Antonio dovette riportare la sua bella H a casa.

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Domenica, 23 Dicembre 2012 12:35

'Vizzarro' di Sharo Gambino diventa anche ebook

mini vizzarro_copertinaSbarca in formato elettronico uno dei capolavori del compianto scrittore calabrese Sharo Gambino. “Vizzarro”, edito da Rubbettino, è ora disponibile, oltre che in formato cartaceo, anche in ebook al prezzo di 7,99 euro. L’operazione commerciale della casa editrice calabrese ha quindi permesso al libro di Gambino di raggiungere gli scaffali elettronici di numerose librerie on-line, rendendo maggiormente disponibile al pubblico uno dei maggiori scritti letterari sul periodo del brigantaggio. Francesco Moscato, il protagonista, detto Ciccio, è un giovane di umilissime origini, nato nella parte più povera e miserabile dell’entroterra calabrese. Cresce forte e robusto, adatto alla fatica dei campi, e subito si mostra insofferente del suo destino. Destino che lo accomuna a tanti altri calabresi che allora vivevano una vita grama perché «tutto era baronale sulla terra - scrive Gambino - e bisognava pagare una tassa sulle sorgenti d'acqua ed una sull'acqua piovana». Gambino, prende per mano il lettore e lo conduce via via attraverso una serie di eventi che raccontano la storia del suo paesano (lo scrittore, serrese d’adozione, era originario di Vazzano, in provincia di Vibo Valentia)  che «non fu un emulo di Robin Hood, né un Angiolillo (Angelo Duca), né un Vardarelli. Non rubò mai al ricco per donare al povero». Fu, invece, un brigante, un figlio di un popolo sempre sofferente e subalterno che in un primo momento si mise al servizio dei baroni e poi dei Borbone; entrambi se ne servirono per poi scaricarlo definitivamente quando incominciò a dare fastidio o non serviva più. L’introduzione all’opera è di Enzo Ciconte.

(articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria)

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mini nondatecelaabere'Non datecela a bere'. Sarà questo lo slogan dell' incontro - dibattito sull' invaso dell'Alaco, organizzato dal movimento 'Facciamo rumore', che si terrà nel pomeriggio di oggi, alle 17 e 30, nella sede della Fondazione Federica per la Vita Onlus in via del Pescatore a Bivona. Nonostante sia stato posto sotto sequestro, infatti, 'ancora oggi l' Alaco rifornisce le abitazioni del territorio del Vibonese'. Tra 'disinformazione' e 'leggende', dunque, verrà trattato - con chi ha fatto luce ed ha aperto la strada dell' inchiesta - il tema del bacino situato a cavallo tra le provincie di Vibo Valentia e Catanzaro. Interverranno il giornalista de 'Il Vizzarro', Sergio Pelaia, il componente dell' associazione culturale 'Il Brigante', Sergio Gambino, la giornalista e curatrice dell' inchiesta andata in onda su 'Crash', Giulia Zanfino, il presidente del Comitato civico Pro - Serre, Salvatore Albanese ed il presidente provinciale del Codacons, Claudio Cricenti.

 

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Venerdì, 12 Ottobre 2012 14:26

Bertoldo e la rapa

mini rapa_cimiteroSulla lapide di Bertoldo c'era scritto che "morì tra aspri duoli per non aver mangiato rape e fagiuoli".

Secondo i nostri amministratori bisogna scriverlo anche sulla tomba dei nostri cari?

Franco Gambino

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mini Paolo_MeneguzziNon ci siamo mai fatti mancare nulla, a Serra San Bruno. Un santo di quelli che contano. La visita di due papi. Una certosa millenaria. Carte in regola, insomma, per essere “la capitale europea del turismo religioso”. Come no. Ci credeva il sindaco Bruno Rosi. Così com’era convinto che il “binomio Comune-Regione” avrebbe davvero elargito 100 posti di lavoro al Parco delle Serre, che avrebbe potenziato l’ospedale e che ci saremmo resi autonomi da Sorical e dall’Alaco. Ci credeva. D’altronde i suoi “santi in paradiso” glielo avevano garantito, e lui si è sempre fidato dei suoi santi.

L’ospedale del futuro promesso da Nazzareno Salerno, presidente della Commissione sanità, si è sbriciolato sotto i colpi dei decreti emanati dall’Altissimo, Scopelliti, a cui i nostri eroi volevano dare la cittadinanza onoraria.

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mini vizzarroLa figura del brigante, indomito e tragico eroe "negativo" della storia calabrese, ha acquisito una sua riconosciuta dignità letteraria soprattutto nella letteratura regionale del XIX secolo. Si pensi agli esempi, notissimi, del Brigante di Biagio Miraglia, di Antonello capobrigante calabrese di Vincenzo Padula o del Giosafatte Tallarico di Nicola Misasi, del quale non è superfluo ricordare il suo ripetuto attingere alla fonte d'ispirazione del brigantaggio, com'è testimoniato, tra l'altro, anche dal romanzo Briganteide. Siamo dalle parti, in questi autori, di un "romanticismo naturale" che del brigante sottolinea la marginalità della collocazione sociale, l'irruenza delle passioni, il ribellismo violento e "primitivo". Così il brigante diventa una figura dai tratti quasi stereotipi, connotata antropologicamente dallo stigma indelebile della "calabresità" e contrassegnata, come ha ben evidenziato Pasquale Tuscano, dai caratteri dell'astuzia, del coraggio, della ferocia, della rozza cultura, inevitabile conseguenza del suo appartenere non alla "civiltà", ma alla natura.

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mini intitolazione_v._gambinoSERRA SAN BRUNO – E’ stata intitolata a Vinicio Gambino, storico  Direttore Didattico, nonchè scrittore, scomparso nel 2010, l’Aula Magna della Direzione Didattica Statale della scuola "Azaria Tedeschi" di Serra San Bruno. L'incontro è stato moderato dal dirigente scolastico Tonino Ceravolo e ha visto la partecipazione del sindaco di Serra Bruno Rosi, di Giuseppe De Raffele (Presidente del consiglio di circolo e presidente del consiglio comunale), di Giuseppe Mirarchi (Dirigente Vicario Uff. Scolastico Regionale della Calabria), di Giacomo Cartella (Dirigente Ambito Territoriale Provinciale di Vibo Valentia), di Francesco Scopacasa (Presidente Regionale ANP), di Francesco Gambino (D.s.g.a.) e fratello del compianto ex direttore. Vinicio Gambino, oltre ad essere stato un valido direttore didattico della scuola elementare serrese è stato ricordato anche per essere fratello del celebre scrittore Sharo Gambino da cui ha acquisito l’interesse per la letteratura e la storia locale. Poco prima della sua morte, infatti, Vinicio Gambino ha pubblicato una serie di racconti grazie ai quali ha dato voce a quei personaggi che hanno vissuto l’interezza della loro vita all’ombra dei vicoli serresi, una vita passata ad imbrunire sull’uscio di una povera stanza che ha trovato la sua  trasposizione una bella pagina di letteratura calabrese. «Una figura poliedrica dal lavoro meticoloso», cosi lo ha ricordato il dirigente scolastico Tonino Ceravolo che ha aggiunto «le cose che conosco e quelle che non conosco le devo a lui, il ricordo di Vinicio Gambino è tutt’ora vivo e sedimenta nel profondo del cuore». Il sindaco di Serra, dal canto suo ha sottolineato come dopo lo scrittore Sharo la famiglia Gambino «ha fatto dono anche di Vinicio che è stato un pilastro della scuola e per questo un ringraziamento particolare va a questa famiglia che ha dato lustro alla nostra cittadina». Il Dirigente Ambito Territoriale Provinciale di Vibo Valentia, Giacomo Cartella, ha definito Vinicio Gambino «uomo di grande spessore» mentre il Presidente del consiglio di circolo e presidente del consiglio comunale Giuseppe De Raffele ha sottolineato come l’intitolazione a Vinicio Gambino dell’aula magna della scuola “Azaria Tedeschi” sia stato «un atto doveroso frutto di senso della responsabilità nei confronti di chi è stato uno storico direttore didattico e nel contempo un simbolo di cultura e profonda umanità». Nel corso della cerimonia un percorso fotografico ha mostrato, attraverso delle proiezioni, le tappe fondamentali della vicenda umana, culturale e professionale del compianto Vinicio Gambino.

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