mini Vincenzo-MacriBeni per un valore di due milioni di euro sono stati confiscati a Siderno ad Antonio Stefano, genero del boss della 'ndrangheta Vincenzo Macrì (foto), deceduto in carcere nel giugno del 2010 mentre stava scontando una condanna a 27 anni di reclusione. Vincenzo Macrì era il nipote di Antonio Macrì, figura storica della 'ndrangheta e capo del cosiddetto ''Siderno Group'', con importanti collegamenti col Canada e l'Australia, ucciso in un agguato nel gennaio del 1975. Vincenzo Macrì, detto "u baruni", era ritenuto proprio il successore del patriarca Antonio alla guida della potente cosca.

I beni confiscati oggi ad Antonio Stefano, che erano stati sequestrati nel marzo del 2011, consistono in un'azienda agricola, con annesso allevamenti di cavalli e pastori tedeschi; una villa di duemila metri quadrati ed un'automobile Audi 3 intestata alla moglie di Stefano. Il provvedimento di confisca e' stato emesso dalla sezione misura di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta del questore, Carmelo Casabona, ed eseguito dal Commissariato di Siderno.

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mini Bruni_Gaetano_Ottavio_IXIl presidente provinciale dell'UDC Sabrina Caglioti e il consigliere regionale Ottavio Bruni si dicono soddisfatti a metà in merito alla quesione dei 31 precari, 21 dei quali medici, dell'Azienda Sanitaria i cui contratti sono stati di recente rinnovati fino al 31 marzo. Una soluzione che non appaga a pieno le aspettative dei due rappresentanti crociati inquanto, a loro dire, il rischio di paralisi dell'ospedale Jezzolino è stato solo rimandato al 31 marzo e non completamente risolto come invece ci i auspicava. Il presidente Caglioti e l'onorevole Bruni, pur prendendo atto e apprezzando il contributo profuso durante l'incontro con i commissari dell'ASP dal governatore Scopelliti (commissario ad acta della sanità in calabria), ritengo che la questione non debba cadere nel dimenticatoio.«Sarebbe opportuno che tutti coloro i quali sono in questi giorni intervenuti per sciogliere il nodo della proroga dei contratti ai 21 medici e all'altro personale precario dell'Asp e non ultimo lo stesso presidente Scopelliti si preoccupassero di garantire la certezza del futuro a questi professionisti, la maggior parte dei quali, fra l'altro, vincitori di concorso. Riteniamo che da oggi si debba puntare a raggiungere un solo obiettivo che è quello di un piano di stabilizzazione per i 21 medici e gli altri dipendenti dell'Asp coinvolti in questa situazione». Otto dei 21 medici precari dell'Asp di Vibo Valentia operano nel Pronto Soccorso, e se il contratto non venisse risolta la situazione dei contratti le ripercussioni sull'erogazione dei servizi sarebbe gravissima. Si riscierebbe infatti, un effetto domino in tutta la provincia con seri disagi per il Pronto Soccorso dell'ospedale di Serra San Bruno e per la Postazione di Primo Intervento di Soriano Calabro, oltre naturalmente alla chiusura di diversi reparti dell'ospedale vibonese. «Quando parliamo di piano di stabilizzazione – proseguono i due UDC  – ci riferiamo, da una parte, al fatto che è necessario garantire un futuro ai medici, ma dall'altra riteniamo indispensabile continuare a garantire i livelli essenziali di assistenza alla popolazione vibonese. I due aspetti sono due facce della stessa medaglia e non si può considerare l'una senza tener conto dell'altra. Ecco perché la proroga dei contratti sino al 31 marzo ci soddisfa a metà, anche perché nelle altre province i contratti sono stati prorogati per 12 mesi e non per tre»

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mini Giuseppe_ScopellitiDopo l'intervento di Scopelliti si è sbloccata, almeno per il momento, la vertenza riguardante i precari in servizio all'Asp di Vibo: i contratti in scadenza saranno rinnovati fino al 31 marzo 2012. La questione delle 31 lettere di licenziamento che erano già partite all'indirizzo di altrettanti precari (di cui 21 medici), ha tenuto banco in questi giorni poichè i sindacati di categoria avevano denunciato, con un'unica voce, che tale provvedimento avrebbe portato alla paralisi la sanità vibonese. Dopo una mannifestazione di protesta, dopo diversi interventi a mezzo stampa da parte di politici vibonesi, dopo l'assemblea dei sindaci, è stato decisivo l'incontro odierno tra il presidente della Regione e la Commissione straordinaria che guida l'Asp di Vibo. "Il Presidente Scopelliti, facendo seguito all’impegno assunto davanti alla Conferenza dei Sindaci della Provincia di Vibo Valentia - informa una nota dell’Ufficio Stampa della Giunta regionale -ha incontrato oggi la Commissione straordinaria dell’ASP di Vibo al fine di dirimere la vicenda legata alla imminente scadenza dei contratti di personale assunto a tempo determinato. Il Presidente Scopelliti, dopo aver evidenziato la totale autonomia e responsabilità della Commissione straordinaria nella conduzione dell’Azienda, ha rimarcato la reciproca collaborazione che la stessa Commissione ha voluto instaurare, da subito, con la Struttura commissariale. La situazione che, pur presentando caratteri di specificità per l’ASP di Vibo Valentia, è comune a tutte le Aziende calabresi  è  stata rappresentata dalla Dott.ssa Bonadies, a nome della Commissione straordinaria dell’ASP di Vibo, che ha illustrato le carenze ed i riflessi sul piano assistenziale che si potrebbero determinare, nel breve, a seguito della scadenza dei contratti. La stessa ha tenuto a precisare il quadro legislativo che sovrintende alle decisioni della Commissione. Il Presidente Scopelliti, dal suo canto, ha ribadito la necessità che si mantengano gli attuali livelli di assistenza che costituisce l’ obiettivo comune e prioritario di tutte le amministrazioni, sia in regime ordinario che straordinario, motivo per cui la Commissione ha deciso di prorogare i contratti in scadenza fino al 31 marzo".

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mini brigante-damaIl “decennio francese”, il periodo storico iniziato, nel 1806, con l’invasione napoleonica del regno di Napoli e concluso, nel 1815, con la cattura e la fucilazione di Gioacchino Murat, rappresenta, anche per la Calabria, un’epoca particolarmente densa di avvenimenti. Ogni angolo della regione venne investito da un generale stato di agitazione. Ad esacerbare gli animi, da una parte, l’oro inglese, dall’altra, gli agenti borbonici che dalla Sicilia alimentavano l’ansia di rivincita di re Ferdinando e della regina Carolina. A fare il resto lo sprezzante atteggiamento della soldataglia francese che, come ricorda Sharo Gambino, arrivava «in Calabria convinta di essere giunta tra i “savauges d’Europe”». Le continue vessazioni e gli oltraggi subiti scatenarono il risentimento di una popolazione destinata ad alimentare il fenomeno del brigantaggio. In mezzo rimase la “zona grigia” quella che più di ogni altra subì gli effetti nefasti di una lotta senza quartiere. Il Brigantaggio e le ribalderie dei francesi non risparmiarono neppure Serra San Bruno, la cittadina della certosa, brutalmente saccheggiata nel 1807. Sotto l’incalzare del comandante della gendarmeria, il “crudele” Voster, per utilizzare la definizione usata ne “La platea”, la cronistoria cittadina redatta dai cappellani della chiesa Matrice, la guardia civica si spingeva ripetutamente nei boschi a dare la caccia ai briganti. A causa dell’impari lotta il loro numero andava assottigliandosi. Il 2 marzo 1811, tre briganti, nella speranza di ottenere un salvacondotto, si rivolsero a tale “Raffele Timpano del Paparello”. In assenza del Voster il comando della piazza era stato affidato al tenete di gendarmeria, Gerard ed al maresciallo Ravier. Il Paparello, accompagnato dal giudice di pace, Bruno Chimirri, dal comandante della guardia civica, Domenico Peronacci e dal civico Giuseppe Amato, recatosi presso l’alloggio dei due comandanti francesi li trovò completamente ebbri. Consegnata una pistola ciascuno al Peronacci ed al Chimici, si misero in marcia. Giunti presso la baracca in cui si trovavano i briganti, vennero freddati nel tentativo di fare irruzione. Insieme ai due gendarmi trovò la morte il serrese Domenico Iorfida. Gli altri, rimasti incolumi, attesero l’arrivo della guardia civica che uccise i malfattori. In seguito all’accaduto un gendarme si recò Nicastro per informare il generale Manhes. I serresi inviarono una loro delegazione incaricata di presentare un circostanziato rapporto. «Ricevuta una lettera stilata dall’intendente – si legge ne “La platea” – il generale che “non era un uomo ma un diavolo vestito di carne umana”, strappò la missiva senza neppure leggerla». Trascorsi un paio di giorni accompagnato da una ventina di dragoni, giunse a Serra il generale Manhes. Prima di partire, il 10 marzo 1811, oltre l’impiccagione di Raffele Timpano, dispose l’esilio dei preti e la chiusura delle chiese. Il bando con il quale venivano preclusi i luoghi di culto stabiliva: «Le chiese tutte del comune di Serra saranno serrate, e le campane legate, poiché il culto sarà sospeso in esso comune fino alla distruzione del brigantaggio. In conseguenza non vi sarà amministrazione di sacramenti, e perciò i preti tutti del comune di Serra si porteranno a Maida finché i loro briganti saranno distrutti». Il proclama, nel paese definito da Norman Douglas “il più bigotto della Calabria”, non tardò a manifestare gli effetti sperati. Alla partenza di Manhes i serresi si misero sulle tracce dei briganti i quali, a corto di vettovaglie, furono costretti a divorare i loro compagni morti. “Venne rinvenuto il cadavere di un capo brigante al quale era stata asportata la carne delle cosce”. A fine marzo 1811 dei briganti alla macchia ne erano rimasti solamente due, Pasquale Ariganello e Pasquale Catroppa, detti i due Pasquali. Grazie ad una taglia di 200 ducati la loro avventura si concluse il 12 aprile 1811, quando vennero uccisi nel sonno da due pastori di Pazzano. I serresi, informati dell’accaduto il 14 aprile, reclamarono immediatamente le chiavi delle chiese ed il ritorno di tutti i sacerdoti allontanati dal Manhes.

(articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria)

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