Domenica, 19 Settembre 2021 11:53

Una “spirdàta” sugli altari. La “monachella di San Bruno” proclamata beata

Scritto da Tonino Ceravolo
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Per l’anagrafe Maria Antonia Samà (1875 – 1953), ma conosciuta “da tutti”, lo sottolinea il Decretum super virtutibus che ne riconosce le “virtù eroiche”, come la “monachella di San Bruno”, la giovane di Sant’Andrea sullo Jonio, condotta nel giugno del 1894 davanti alle reliquie del santo di Colonia perché fosse liberata dalla possessione diabolica, il prossimo 3 ottobre verrà proclamata beata, insieme con Nuccia Tolomeo (1936 – 1977), altra eminente figura della santità femminile del ‘900 della diocesi di Catanzaro-Squillace. È lo stesso Decreto sulle virtù a richiamare la centralità della storia della possessione di Maria Antonia nella sua vita, condotta per oltre sessant’anni in un “bugigattolo” inferma a letto, con la visione del Crocifisso sulla parete di fronte a richiamarle la condizione universale della sofferenza: “Nel 1886, ritornando dalla campagna, dopo aver bevuto da un acquitrino probabilmente infetto, accusò dolori e disturbi che, non essendo stati diagnosticati, fecero pensare a un’ossessione, anche perché ella appariva inquieta e ribelle. Questo stato durò circa sei anni. Una nobildonna, andando generosamente incontro alla povertà della fanciulla e della madre, cercò una via di liberazione e nel giugno del 1894 fece condurre a spalla la ragazza presso la Certosa di Serra San Bruno per un esorcismo. Qui il parroco iniziò le preghiere di liberazione, continuate poi per oltre cinque ore dal Priore della Certosa con tutta la comunità, davanti al busto-reliquiario di San Bruno. Mariantonia si sentì finalmente guarita e abbracciò il busto del Santo come se fosse lì presente fisicamente. Per circa due anni la sua salute fu buona, ma nel 1896 la Serva di Dio fu di nuovo costretta a letto, in posizione supina, con le ginocchia alzate. Iniziò, così, il suo calvario di ammalata allettata, che la affliggerà fino alla morte. Fu assistita prima dalla madre, e poi da altre persone, oltreché, spiritualmente, dal parroco, dai Padri Redentoristi e dalle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, che le assicurarono, dopo la morte della mamma, la costante presenza di una donna del tutto dedita a lei. Verso il 1915 la Serva di Dio pronunciò privatamente i voti religiosi nelle mani della Superiora delle Suore Riparatrici, con la benedizione del parroco. Da quel momento portò sempre sul capo, fino alla morte, un velo nero e per questo fu da tutti chiamata la Monachella di San Bruno”.

Dei particolari della possessione di Maria Antonia – una delle spirdàte che tra XIX e XX secolo contribuirono, con le loro guarigioni, a diffondere il culto di san Bruno – si ha, peraltro, riscontro in un testo manoscritto (Guarigione della giovinetta di Sant’Andrea. Saggio del racconto della guarigione di un’ossessa attribuita al Nostro Padre S. Bruno), custodito nell’archivio certosino, nel quale sia la preistoria della sua “malattia” sia il suo temporaneo e positivo esito terapeutico, attribuito dalle fonti dell’epoca all’intervento taumaturgico del santo, sono riportati in un contesto di raccolta documentaria per la quale due certosini, Dom Francesco M. Ciano e Dom Hyppolite Duvivier, si adoperarono, in momenti diversi, in vista della preparazione di un’opera agiografica mai data alla stampe. Maria Antonia si era ammalata, secondo il racconto della madre, all’età di 11 anni: “Un giorno andando con altri parenti al mulino, fu presa dall’ossesso, che la ridusse attratta ed immobile per quasi un mese. Ma poi il demonio la molestò per circa 6 anni in maniera orribile, strapazzandola e facendole pure pronunziare delle brutte bestemmie. Non poteva prendere cibo se non a mezzanotte. Così poi si determinò condurla alla Certosa nel mese di giugno dell’anno 1894. Prima di essere condotta costà giaceva a letto, e la cassa fu usata solo per il viaggio alla Certosa. Il viaggio di andata fu fatto per la montagna; impiegandosi circa 8 ora; il ritorno si attraversò la via rotabile di Serra-Soverato. […] La comitiva che trasportava la cassa coll’inferma, giunse a Serra prima di mezzogiorno, attraversando la strada, molta gente intenerita da quello spettacolo, seguì l’inferma alla Certosa, dove non fu trovato il Padre Priore, che era uscito fuori. Stava per caso, costì l’arciprete di Amaroni, che volle cominciare gli esorcismi. Poi venne il P. Priore, assistito da più padri e cominciò le preghiere solite che durarono circa 5 ore, e qui avvenne il miracolo”. La cassa, dentro cui Maria Antonia era stata trasportata, era “piuttosto una bara” – si osserva nel manoscritto – e questo era avvenuto “perché colei essere ossessa faceva delle scosse, aveva delle convulsioni che avrebbero reso impossibile un viaggio tanto lungo. Ma durante il viaggio, di quando in quando, schiudevano la bara per domandarle se non le occorresse nulla, ed essa rispondeva niente e faceva gesti di impazienza e quanto più si avvicinavansi alla Certosa tanto più diveniva furiosa”. Successivamente al rituale esorcistico praticato davanti alla Certosa e “dopo alcune preghiere, l’inferma da sé si alzò dalla cassa e colle braccia spalancate si abbracciò alla statua di S. Bruno e si sentì meglio. L’inferma assicura che vide S. Bruno nella sua forma naturale, non in argento, aveva il volto allegro e che immediatamente fu guarita. Ella gridò dicendo: San Bruno mi ha fatto la grazia, e poi a tutti che la scuotevano, assicurava di aver veduto S. Bruno e ricevuta la guarigione e così restò per circa 2 anni”.

In salute per circa due anni, dice la fonte certosina, che è sufficientemente precisa nel riportare questo dato, perché nel 1896 o forse nel 1897 Maria Antonia venne colpita da quella malattia artrosica (“gonartrosi bilaterale con sintomatologia algico-funzionale”) che l’avrebbe inchiodata nel letto, in posizione supina, per sei decenni. Quel letto fu il luogo della terribile prova e il “bugigattolo” in cui abitava, la “stanza angusta” a cui si riferisce anche il manoscritto della Certosa, il “teatro” da cui scaturì la sua fama sanctitatis: Maria Antonia – è ancora il Decreto sulle virtù a dirlo – “divenne sempre più testimonianza spirituale e di consiglio prudente per gli abitanti del paese: stimolo di offerta e di preghiera, di conversione e di solidarietà. In questa sofferenza, fisica e spirituale, il Padre celeste, con la sua maniera di insegnare e grazie ai doni dello Spirito Santo, la condusse alla piena conformazione con Gesù Crocifisso. […] Con semplicità ed efficacia divenne per tutti un modello di vita cristiana, con la diffusione del messaggio evangelico, della preghiera soprattutto mariana, la pratica della comunione quotidiana, l’annuncio della necessità di essere uniti a Cristo, come il tralcio alla vite, per portare frutto. Crocifissa col Crocifisso e aperta alle richieste e bisogni del prossimo, contribuì a edificare la Chiesa e la società umana, segnata da due guerre mondiali, con la sua testimonianza orante e silenziosa, la sua costante immolazione, la sua fiducia nella Provvidenza ed il suo abbandono a Dio”. Tale vita esemplare le avrebbe aperto la strada sul cammino della beatificazione che il 3 ottobre prossimo sarà proclamata.

I funerali della "monachella di San Bruno"

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