Domenica, 20 Novembre 2022 08:31

Il giorno dei tre protettori. San Biagio, San Bruno e l’Addolorata nell’anniversario dell’alluvione

Scritto da Tonino Ceravolo*
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Le statue dei tre protettori “radunate” nella chiesa di Serra il 21 novembre 1936 Le statue dei tre protettori “radunate” nella chiesa di Serra il 21 novembre 1936

La foto è un documento storico di straordinaria suggestione e racchiude il ricordo doloroso di una tragedia. 21 novembre 1936: esattamente un anno dopo la terribile alluvione che sconvolse l’abitato di Serra San Bruno e di altri comuni delle Serre. Al centro la Vergine dei Sette Dolori, alla sua destra San Biagio con le insegne della dignità episcopale, alla sua sinistra il busto argenteo di San Bruno con dentro le reliquie della calotta cranica del santo. “Teatro” della scena la chiesa Matrice di Serra – nella quale è tutt’oggi ben visibile una targhetta a memoria del livello raggiunto dall’acqua alluvionale – che ospita i tre simulacri proprio ai piedi della statua marmorea di Bruno scolpita dallo scultore tedesco David Müller, per la Certosa, nel 1611. Anche questa statua entra, del tutto marginalmente, nella rappresentazione fotografica, al confine tra la foto e il nulla: di Bruno si coglie soltanto una piccolissima porzione della fronte e si vedono le mani, che reggono solidamente un libro. La scena è, in qualche modo, anomala, perché le tre statue sono state “radunate” nella chiesa principale di Serra esclusivamente per l’occasione. San Bruno e l’Addolorata, com’è noto, non stanno abitualmente nella Matrice: l’uno è custodito sopra l’altare della chiesa conventuale della Certosa, l’altra nella chiesa dell’arciconfraternita a lei intitolata. Il gruppo di tre statue è stato formato per la ricorrenza dell’anniversario. Anniversario di lutto e di dolore, ma anche anniversario di ringraziamento dei fedeli per i tre protettori, senza i quali il bilancio sarebbe stato peggiore. Altre tragedie recenti avevano dimostrato ai serresi l’efficacia della protezione dei santi venerati nel culto locale, se proprio alle reliquie contenute nel busto argenteo di San Bruno era stata attribuita la cessazione nel 1918 dell’epidemia di “spagnola”, che aveva già fatto un centinaio di vittime secondo una cronaca certosina, e nel 1924 dei contagi da scarlattina. Protezione dei santi che rinviava a una vicenda plurisecolare, in cui culti, devozioni, richieste di “grazie”, non erano stati un elemento secondario dei drammi individuali e collettivi, ma li avevano “accompagnati” fornendo conforto e lenimento al dolore. 

Tra 21 e 22 novembre 1935: acqua da fine di mondo

Un documento dall’apparenza quasi neutra nella sua secchezza descrittiva, la scheda n. 300194 del “Progetto AVI – Archivio piene” del Sistema Informativo sulle Catastrofi Idrogeologiche, fornisce un quadro desolante di quanto era avvenuto un anno prima della scena immortalata nella foto, tra il 21 e il 22 novembre del 1935: “Nei giorni 21 e 22 novembre 1935 si verificò in Calabria un violentissimo nubifragio che interessò la parte meridionale della regione prima e, quindi, poiché spiravano venti da sud-est, la parte più settentrionale. Le eccezionali precipitazioni ebbero la durata di circa 24 ore (dalle 9 del 21 novembre alle 9 del giorno successivo) e si esaurirono alquanto rapidamente. Le zone interessate dall'alluvione furono i Bacini ubicati sul versante Ionico a sud di Punta Alice, mentre i Bacini Tirrenici a sud del Golfo di Sant'Eufemia, furono colpiti solo nella loro parte montana. I nuclei di maggiore precipitazione si ebbero tra i Bacini del Corace e del Tacina e tra l'Aspromonte e le Serre Calabre. In molti casi furono registrate precipitazioni mai raggiunte nel periodo 1921-1970. Le stazioni idrometriche furono distrutte e di esse ne furono cancellate le tracce. È stato pertanto necessario calcolare le portate dei principali corsi d'acqua con determinazione indiretta. Il fiume Ancinale è stato inserito nell'elenco del Ministero dei Lavori Pubblici fra i corsi d'acqua da sistemare, mediante ricostruzione delle difese trasversali da Serra San Bruno alla foce. Spesa prevista 15.000 milioni di lire”. Le successive informazioni idrogeologiche aggiungono ulteriori dettagli al quadro del terribile evento atmosferico: “Il 22/11 sul Fiume Ancinale a Razzana (bacino di dominio: 116 kmq) fu calcolata una portata massima istantanea di 1650 mc/s, mentre a Crisura (bacino di dominio: 135 kmq) la portata fu di 1890 mc/s. Pioggia (valore puntuale): 350 mm in 1 giorno (Pluviometro Simbario). Pioggia (valore puntuale): 509 mm in 1 giorno (Pluviometro Serra San Bruno). Pioggia (valore puntuale): 432 mm in 1 giorno (Pluviometro Chiaravalle)”. E una nota sui danni e sui provvedimenti, inserita nella scheda, informa sul modo in cui le autorità si disposero a fronteggiare la devastazione prodotta dalle acque: “Emesso dalla Prefettura Decreto di attivazione centro operativo, salvataggio, recupero salme e carogne. Emesso dal Comune Decreto di evacuazione, sistemazione sfollati e recupero salme e carogne. Emesso dal Ministero dei Lavori Pubblici Decreto di sistemazione, sistemazione argini e interventi in alveo. Emesso dalla Regione Decreto di sistemazione, sistemazione argini e opere varie. Sono stati attuati: interventi di sistemazione degli argini con rinforzo e sopraelevazione degli argini rimasti, costruzione di nuovi argini, chiusura delle rotte e riparo dei fontanazzi; interventi in alveo con briglie, traverse, pennelli repellenti, soglie e ricalibratura dell'alveo; opere di bonifica con rimozione delle alluvioni e sistemazioni idraulico-forestali; opere varie”. Danni che non avevano risparmiato nulla: i centri abitati, le case sparse, le fognature, gli impianti zootecnici, i ponti e i viadotti, le opere di regimazione fluviale, le strade, le linee di telecomunicazione. Una furia che aveva, infine, causato quattordici vittime, come la scheda di censimento ricorda, senza aggiungere altro se non un “esatto” tra parentesi.

La furia dell’Ancinale e del Garusi

Per niente neutro o asettico, bensì intessuto di pathos, è il resoconto della tragedia che si ritrova in una densa pagina del volume Sull’Ancinale di Sharo Gambino: “Era da poco più di un mese iniziata la guerra contro l’Etiopia, quando, la sera del 21 novembre 1935 […] su Serra si spalancarono le chiuse celesti e si rovesciò una valanga d’acqua. I tanti corsi d’acqua nella montagna si gonfiarono, si inturgidirono; e venendo giù a rovina trascinando quanto incontravano sul cammino, convogliarono la loro furia in quella dell’Ancinale e del Garusi, e insieme strariparono, invasero la parte bassa del paese invadendo le case e salendo paurosamente di livello (nella Chiesa Matrice, abbattuto il gran portale, sfiorarono la base del tabernacolo, il che parve miracolo). Fu una notte di tragedia. Lampi e tuoni e raffiche di vento e la pioggia continua, impetuosa, e l’Ancinale che mugghiava spaventosamente. Due voragini si aprirono in mezzo allo ‘stradone’, il corso Umberto I; e in una di esse rimasero travolti col camion due poveri commercianti di Siderno saliti a Serra per il mercato del giovedì. Furono ritrovati giorni dopo, morti. Così come morto fu ritrovato ‘Cagnolazzo’, l’anziano fattorino che recapitava i telegrammi, strappato dalla furia delle acque dall’ufficio telegrafico […]. E morì annegato nel suo basso, un vecchio riparatore di chitarre, il ‘Chitarraru’. Dalle case basse e ritenute insicure la gente passava in quelle limitrofe abbattendo pareti e bucando soffitte o passando alla luce dei lampi da un balcone all’altro; e non tutti avevano la speranza di veder tornare l’alba. Che venne, ed  illuminò un paese sgomento, atterrito, invaso da uno spesso strato di fango, mentre l’Ancinale lo lambiva come un mare giallo in corsa veloce sul quale viaggiavano alberi, carogne di animali, vecchi materassi, tavole ed ogni altro materiale che arrivava chissà da dove e chissà dove si sarebbe fermato”. L’abitato, osserva ancora Gambino, modificò, per effetto dell’alluvione, il suo volto: vennero sistemati gli argini del Garusi e dell’Ancinale, fu tracciata la circonvallazione all’ingresso nord del paese, la piazza intorno al monumento ai Caduti e piazza San Giovanni furono rifatte. L’obelisco che stava in quest’ultima piazza, smontato in pezzi, fu depositato nel cimitero cittadino. Singolare destino di questo manufatto, proveniente dal cimitero della Certosa e, dopo il terremoto del 1783, quasi pellegrino e nomade di luogo in luogo nel territorio di Serra San Bruno, per trovare, dal 1952, definitiva sistemazione sulla scalinata di Santa Maria. Testimone muto di due tragedie, il grande sisma settecentesco e l’alluvione del 1935, nemmeno lascia intuire i segni di quelle terribili storie (né mano d’uomo ha mai cercato, per suo tramite, di ricordarle) e se ne sta lì, in mezzo a quello straordinario scenario naturale, come se fosse sempre stata casa sua.

*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole

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